Sintesi della relazione a cura del prof. gustavo zagrebelsky (Ordinario di Diritto Costituzionale presso l’Università di Torino, attualmente Giudice della Corte Costituzionale, editorialista de La Stampa)

 

La  tragedia greca di Sofocle, l’Antigone, nonostante sia  molto antica, continua ad offrire spunti interessanti di riflessione in ambito sociale, politico, giuridico ed economico e da essa si possono trarre varie interpretazioni politiche, utili quando due diverse leggi sono in contrasto tra loro.

   Esistevano dilemmi nell’antica Grecia, che sono tutt’oggi attuali: la legge del più forte contro i deboli, l’arroganza della politica, le ragioni di Stato contro quelle della famiglia, la violenza e la non-violenza, l’età matura e la giovinezza, l’ordine pubblico e la coscienza privata.

    L’Antigone, che si è sviluppata nell’Atene democratica del V secolo a.C., è una tragedia: ma cosa significava tragedia in quei tempi? In un determinato giorno, di solito primaverile, tutti i cittadini della polis si riunivano a teatro per assistere alle cerimonie di riconoscimento di eroi caduti per la propria città, alle premiazioni di persone ancora in vita, che si erano distinte per il proprio coraggio e infine per assistere a tre rappresentazioni tragiche e al dramma satiresco: questa era una giornata particolare, che usciva dai soliti schemi della quotidianità e alla quale partecipavano proprio tutti.

La tragedia si può definire come  una rappresentazione civile, perché induceva tutti i cittadini a  riflettere su drammi reali, su problemi quotidiani, con un preciso scopo catartico: i cittadini, dopo un’attenta riflessione, dovevano purificarsi e trovare le soluzioni più giuste per risolvere i loro dilemmi.

    La tragedia narra del conflitto tra il re di Tebe, Creonte, e Antigone, sorella di Polinice, caduto durante un duello, ma al quale è stata negata la sepoltura, tramite un decreto, perché ritenuto traditore della patria. Antigone viene sorpresa mentre getta un pugno di terra sul cadavere del fratello e per questo condotta alla presenza del re. La donna ammette il proprio gesto, dichiarando che esistono anche leggi divine non scritte più importanti di quelle del sovrano. Creonte la condanna a essere rinchiusa viva in una caverna.

Un veggente cieco si reca dal re, per svelargli i presagi della collera degli dei per la mancata sepoltura di Polinice e gli predice mali per lui e per la sua città. Creonte, spaventato, ordina la sepoltura del cadavere e la liberazione di Antigone, ma ormai è troppo tardi, perché la donna si è tolta la vita, così come Emone, figlio del re, innamorato di Antigone. Un messaggero riferisce anche il suicidio della moglie Euridice e, al sovrano, annientato dal dolore, non resta che piangere la propria rovina e invocare la morte.

    Questa tragedia è una tra le più famose e classiche, dalla struttura semplice, ma ricca di contenuti: purtroppo restano solo gli scritti e quindi il materiale risulta impoverito rispetto alla capacità emotiva che poteva trasmettere a quei tempi; occorre quindi interpretarla non solamente con la filologia, ma caricarla di emotività, ricavandone significati sempre nuovi, deducibili dalla nostra esperienza.

Oggi, purtroppo, ci sono letture strumentalizzate dei classici, ma nel caso di Antigone si può parlare di  una attualizzazione chiara.

   La scena era composta dall’anfiteatro, sul quale c’era il coro, che rappresentava la voce della città e commentava gli avvenimenti, cantando e danzando; gli attori, infine, che erano sempre non più di tre, cambiavano la maschera in base ai diversi personaggi che ogni qualvolta dovevano rappresentare: erano degli eroi, perché veniva chiesto loro uno sforzo immane, anche fisico, perché camminavano su trampoli, danzavano e con la loro voce dovevano raggiungere migliaia di persone.

   All’inizio e alla fine di questa tragedia si possono già trovare delle tracce interpretative: nella prima scena il coro commenta un discorso di Creonte, teorizzando il suo potere assoluto ? ciò che desidera il re, è legge?; negli ultimi versi, invece,  prende coscienza della cecità e dell’arroganza del potere.

   Tutta la vicenda è costruita su una questione, che è il problema della sepoltura del cadavere: nell’epoca antica questo rito era un punto nodale della vita collettiva dei vivi, era un dovere della cerchia familiare verso gli dei e verso i defunti; il divieto alla sepoltura era considerata una delle massime pene, perché il defunto sarebbe stato condannato alla non-esistenza.

Questo problema era quindi decisivo dal punto di vista etico, religioso e politico, perché durante le funzioni funebri le famiglie rappresentavano la loro forza e il proprio prestigio sociale.

   Questa tragedia ruota intorno a tre temi fondamentali: il problema della non sepoltura del morto; il desiderio di  Antigone di onorare il fratello defunto con una degna sepoltura; il divieto legale di farlo.

Fondamentale è il riferimento alla violenza politica attuata da Creonte e il tema centrale è quello del tempo: quando il re si pente e cambia idea, è ormai troppo tardi.

    L’Antigone è stata oggetto di numerose interpretazioni politico-giuridiche e tra le principali possiamo ricordare: l’interpretazione classica che vede il diritto, la ragione dalla parte di Antigone,che è la vera eroina,  e il torto integralmente dalla parte di Creonte, che è l’eroe negativo: è espresso il tema della libertà contro l’oppressione del tiranno.

I due soggetti vivono in due sfere separate, infatti Creonte obbedisce agli dei superi e alla legge dello Stato, mentre Antigone agli dei inferi, esprimendo la legge del génos.

Un’altra interpretazione, sempre secondo questo orientamento, è quella di Pontara, che possiamo definire ?pacifista?, in quanto afferma che, nel conflitto tra i due protagonisti, si può intravedere una prima rappresentazione di lotta politica, usando metodi non violenti: Antigone sacrifica la propria vita per salvare il fratello e Creonte usa solamente la propria autorità, il proprio potere.

Infine, si può anche leggere, in questa opera, l’atteggiamento dei giovani, a volte ribelli, ma sempre pieni di entusiasmo, nei confronti degli adulti, visti come nemici, perché di ostacolo alla libertà e all’autonomia.

    Quella filosofica, riconducibile alla lettura hegeliana, afferma che entrambi hanno ragione e che il loro comportamento è riconducibile a due leggi, quelle dello Stato e quelle degli affetti, che sono entrambe legittime. Creonte non appare come un tiranno, ma è il coro che gli riconosce il diritto di ordinare il bene e il male, il giusto e l’ingiusto. In verità è un uomo di Stato, che si preoccupa solamente del bene della città, del suo ordine generale. Antigone, invece, si preoccupa della sfera dell’affettività, rispetta le leggi del legame di sangue e della famiglia.

 Nel periodo durante il quale è stata scritta la tragedia si era verificata questa scissione tra la vita pubblica-politica e quella privata e l’elemento tragico sta proprio nel fatto che, entrambi potrebbero rivendicare le proprie buone ragioni, ma le due posizioni sono talmente inconciliabili che portano alla sconfitta di entrambi (per attualizzare questa posizione si pensi al conflitto israelo-palestinese ).

    La terza interpretazione è quella  contraria, che sottolinea come entrambi siano nel torto, perché non fanno alcuno sforzo per aprirsi l’uno alle ragioni dell’altra e viceversa: non trovano un terreno d’incontro, non riescono a dialogare, non possiedono la virtù della prudenza, che è quella che è necessaria per vivere tutti in armonia.

 Entrambi vivono la propria condizione senza alcun dubbio sulla validità delle proprie ragioni, invece sarebbe necessaria un’apertura, una negoziazione tra le due parti, mantenendo sempre, però, la propria identità.

 Questa interpretazione esce dal genere tragico per entrare nel dramma, che è una rappresentazione teatrale dove i protagonisti possono cambiare il loro destino, attivandosi per trovare le soluzioni più adatte ai loro problemi; nella tragedia, invece, ognuno segue il proprio destino passivamente.

     Il relatore conclude in questi termini: «denominando diritto il nomos di Antigone e  legge il potere di Creonte, si può passare dalla lotta per i diritti contro la legge del potere attraverso lo stallo dei diritti che si contrappongono al potere, alla convivenza di diritti e potere.

Quest’ultimo stadio, l’approdo, è la politica. Politica vuol dire, dunque, agire per il bene della città, comprendendo sia la sfera particolare del nomos di Antigone sia quella generale della legge, interagendo l’una con l’altra, attraverso il discorso, il dialogo».

     Secondo le concezioni della democrazia classica, Creonte tiranno non è il politico, ma anzi è antipolitico, perché nemico del bene della città, ma lo è anche Antigone, in quanto assolutezza la sua legge e non si rende conto della necessità di non accordare le proprie pretese personali con la dimensione comune a tutti: sarebbe necessario,quindi, che il cittadino negozi le proprie esigenze con quelle della comunità, lasciando da parte i propri interessi, e allo stesso tempo, che lo Stato si preoccupi dei suoi membri , senza mai violare l’identità di nessuno di essi.

    L’Antigone ci insegna, quindi, che i pilastri portanti della nostra società sono due, il diritto e il governo: il diritto senza governo è l’anarchia, mentre il governo senza diritto è il dispotismo; tenere insieme il diritto e il governo è il compito della Costituzione e ogni qual volta che si arride ad essa, attraverso i propri comportamenti, si mina l’equilibrio della società e quindi si agisce o per il dispotismo, nelle sue molteplici forme, o per l’anarchia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 




               

                              PRINCIPALI APPROFONDIMENTI DEL DIBATTITO

 

 

 

Il dibattito si è articolato su diversi punti, tra i quali possono essere richiamati in particolare i seguenti:

 

 

?       Si nota che l’esposizione delle interpretazioni dell’Antigone, presentate dal relatore, potrebbe risultare incompleta: infatti, manca l’interpretazione per cui solo Creonte ha ragione. Il motivo di tale omissione andrebbe ricercato nel fatto che la quarta interpretazione rappresenta l’esaltazione del potere totalitario a discapito della rivendicazione dei diritti individuali e della pietà umana, portando a considerare la difesa della propria coscienza come un atto pericolosamente ?sovversivo?. Quest’ultima interpretazione, inoltre, sembra poco in linea con le finalità morali che Sofocle ripone nella tragedia e, quindi, poco accettabile. Infatti, Creonte si rivela quale vero perdente: muoiono suicidi sia il figlio Emone sia la moglie Euridice e, inoltre, la sua idea di governo si rivela fallimentare.

 

?       Il relatore ha legato le tre interpretazioni principali dell’Antigone in modo quasi hegeliano, per cui la terza viene a rappresentare quella sintesi in cui si considerano prese di posizione rigide, assumendo gli atteggiamenti tipici del ?buon politico?, cioè imparando l’arte della buona negoziazione e del compromesso. La prima interpretazione ha sempre la possibilità di ricomparire sugli scenari della storia dell’uomo. Compito del ?buon politico? sarà sempre quello di far ritardare il più possibile l’innescarsi di tragedie e catastrofi umane dialogando ed assumendo sempre un atteggiamento prudente, sia nei confronti degli ?amici? sia nei confronti dei ?nemici?.

 

?       L’interpretazione fornita dal filosofo Pontara, in linea con la prima interpretazione (Antigone ha ragione, Creonte ha torto), è, secondo un membro del pubblico in sala, la migliore, poiché non si può compiere una scelta tra il ?pubblico? e il ?privato?. Antigone, infatti, difende la propria libertà di coscienza ribellandosi pacificamente ad un editto ingiusto. Il suo modo di manifestare il dissenso può anche essere considerato come un’anticipazione della non- violenza predicata da Gandhi per ottenere e difendere i diritti civili del singolo. Secondo il relatore, però, le posizioni di Creonte ed Antigone, per quanto estreme, non sono assolutamente inconciliabili. E’ sempre possibile una soluzione, basta adottare un atteggiamento prudente che renda disposti a ricercare soluzioni, specialmente se l’alternativa è un conflitto armato o l’instabilità della vita politica di un paese.

 

?       Si chiede se un’etica della responsabilità, nel senso in cui Weber attribuiva a tale concetto, sia veramente l’etica vincente per la politica. Assumere un atteggiamento dialogico verso i propri ?avversari? può anche significare la rinuncia ai propri principi e alle proprie convinzioni. Non sarebbe allora più opportuno adottare lo stile dell’etica dell’intenzione? Secondo il relatore in politica, così come in altre sfere della vita comunitaria, non ci si può mai permettere un irrigidimento delle proprie posizioni. Non ci sono, quindi, principi e convinzioni immutabili. L’unico tratto che non deve mai essere negoziato è la propria identità, tutto il resto può essere oggetto di mediazione e confronto costruttivo.

 

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