Il processo penale è strumento per rendere giustizia, per esercitare la giurisdizione (juris dictio) che con-siste nell’applicazione del diritto da parte del giudice.

Il nostro ordinamento è costituito da alcune leggi, definite leggi penali, che configurano determinati compor-tamenti come illeciti talmente gravi che lo Stato non può disinteressarsene lasciando la loro gestione alle scelte dei privati come invece accade per gli illeciti civili, che possono essere oggetto di lite giudiziale a seconda che il singolo intenti causa civile o rinunci ad agire.

Il processo penale si pone come scopo l’accertamento dei fatti e delle eventuali responsabilità, per cui deve essere strutturato in maniera idonea a rilevare illeciti penali che colpiscano la sfera dell’interesse pubblico, data in questo caso la non-azionabilità del processo da parte del privato (esistono però altre condotte penalmente rilevanti che danno luogo ad un processo su impulso di parte, come i reati perseguibili a querela).

Infatti, mentre la sentenza del procedimento civile è una composizione di un conflitto tra le parti, avente un oggetto che risulta essere disponibile per le parti stesse (si può giungere ad una transazione), nel procedimento penale non ci si accontenta di una verità processuale su cui si sono accordate le parti.

In ambito penale il processo ha natura necessaria; lo si evince dal fatto che la notizia del reato, una volta che  la Polizia Giudiziaria l’abbia portata a conoscenza, con denuncia, all’Autorità Giudiziaria, nella persona del Pubblico Ministero, fa nascere un obbligo a svolgere indagini e qualora egli non ritenga la no-tizia di reato manifestamente infondata deve instaurare un processo sulla base di una accusa.

Il processo è l’unico mezzo per accertare un fatto come reato e verificare se questo sia imputabile ad un soggetto, cioè l’imputato; in un fase antecedente possiamo parlare solo di una ipotesi di reato che si fonda su un fatto storicamente accaduto.

Collegata al fine del processo, che consiste nell’accertamento della verità di una imputazione, cioè di una accusa che il Pubblico Ministero ha posto a base del processo, vi è una esigenza di efficacia, di funzionalità del processo, nel senso che esso deve possedere caratteristiche tali da raggiungere il suo scopo; a questo proposito esistono forme e modalità per il suo raggiungimento che danno luogo a due modelli antitetici, quello inquisitorio ,e quello accusatorio (in Italia si ritrova un modello misto).

L’iter che va dalla notizia del reato alla sentenza è solcato da garanzie predisposte dall’ordinamento che si prefiggono l’applicazione della giustizia nel rispetto di alcune posizioni e diritti delle parti, soprat-tutto dell’imputato, che rischierebbe un pregiudizio derivante dall’azione della magistratura.

Uno dei più grandi problemi politico-legislativi è quello relativo al bilanciamento dell’esigenza di effi-cienza del processo con il bisogno di garanzie in sede di definizione delle forme del procedimento penale, in quanto una massima efficienza si otterrebbe in assenza di garanzie, mentre un alto standard garantistico porte-rebbe ad una inefficienza processuale.

Le garanzie fondamentali si ritrovano nella nostra Carta Costituzionale del 1948, che rientra tra le costituzioni rigide, cioè modificabili solo attraverso una procedura molto complessa, definita aggravata, e che per questo vincola il legislatore penale all’osservanza, per esempio, della libertà personale, di quella domiciliare o della segretezza della corrispondenza ,all’interno del processo penale.

Inoltre la Costituzione disciplina modi e limiti entro i quali possono essere violate tali posizioni giuridiche.

Relativo all’efficienza del processo vi è il problema della pena.

Il compito del giudice è stabilire se un comportamento concretamente verificatosi si possa ricondurre ad una ipotesi astratta di reato contemplata da una norma, e qualora ciò sia accertato e non ci siano cause di giusti-ficazione, il soggetto che ha posto in essere quel comportamento concreto è ritenuto colpevole nella sentenza di condanna; il giudice applica quindi la pena comminata dalla legge tra un massimo ed un minimo.

Ecco perché l’effettività della pena presuppone l’effettività del processo, non vi è una pena senza un processo; per cui il brocardo latino ?nullum crimen, nulla poena, sine lege? risulta essere un principio astratto la cui concretizzazione è ?nullum crimen, nulla poena, sine judicio?.

Il processo deve terminare con una sentenza, giusta, idonea ad essere eseguita qualora diventi definitiva, e questo avviene quando siano esaurite tutte le possibilità di impugnare una sentenza previste dal nostro ordinamento.

Al concetto di eseguibilità della sentenza si ricollega il fondamentale principio, di origine illuministica, della ?presunzione di non colpevolezza?, in base al quale chiunque è innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata.

È  la Costituzione, nata dopo un ventennio di regime fascista, ad aggiungere al principio un elemento in più, che porta a considerare l’imputato non colpevole fino a quando non solo, non sia intervenuta una sen-tenza di  condanna, ma anche che questa sia definitiva.

La Costituzione italiana, che non ammette sentenze immediatamente esecutive, risulta così essere più garantista delle varie convenzioni internazionali sui diritti dell’uomo che non prevedono la definitività della sentenza, come la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo del 1948, la Convenzione Europea dei diritti dell’uomo del 1950 e il Patto Internazionale sui diritti civili e politici del 1976.

Nell’ottobre del 1999 viene modificato l’art.111 della Costituzione con legge costituzionale, esplicitando i principi del ?giusto processo? che si ritenevano impliciti nello stesso articolo, e che realizzano una mag-gior tutela della posizione dell’imputato.

Occorre verificare però se tali garanzie siano di per sé sufficienti a consentire un processo giusto e quindi una sentenza giusta, che accerti la verità dell’imputazione e condanni o assolva quando ci sia da condannare od assolvere, tenendo presente che un processo non è più giusto se eccessivamente garantito: le garanzie non de-vono diventare il fine del processo!

Le nuove garanzie presenti nell’art.111 Cost. si ricollegano al modello accusatorio, che pone massima attenzione alla tutela dell’imputato, mutuando alcuni principi dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo che parla di ?processo equo?.

In Costituzione si ritrovano però garanzie imperniate sul modello inquisitorio (come il principio dell’ob-bligatorietà dell’azione penale, il principio di non colpevolezza fino a condanna definitiva, l’ammissibilità del ricorso in Cassazione contro tutte le sentenze, il principio dell’obbligatorietà della motivazione dei provve-dimenti giurisdizionali) tutte formulate per bilanciare le norme penali del Codice Rocco del 1930, di stampo fortemente fascista.

Tali garanzie sono antitetiche a quelle previste nel modello accusatorio (in USA il verdetto della giuria non è motivato, il ricorso in appello è limitato e ancor di più lo è quello alla Suprema Corte, la sentenza è immediata-mente esecutiva e fa cadere la presunzione di innocenza).

L’Italia rappresenta un caso unico in Europa, perché a livello costituzionale si incontrano garanzie eterogenee, di stampo accusatorio e di stampo inquisitorio e questo cumulo rende poco efficace il processo penale con il rischio di attirare criminalità nel nostro Paese, visto l’abbattimento delle frontiere sulla base della libera circolazione delle persone.

L’art.111 Cost., che nel III, IV e V comma aveva elencato le garanzie del ?giusto processo?, presenta nel suo II comma un principio apparentemente retorico ma di grande importanza, quello della ragionevole durata del processo.

Questo principio è presente anche nella Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, ma mentre in tale sede è strutturato come diritto soggettivo che può essere fatto valere dal singolo (in campo civilistico vi sono molti ricorsi ?italiani? alla Corte di Strasburgo), nella Costituzione italiana è formulato come garanzia oggettiva, cioè come limite oggettivo per il legislatore che deve disciplinare le modalità processuali in termini ragio-nevoli.

Questo implica che il tempo necessario per osservare ed adempiere alle garanzie indicate in Costituzione è ?ragionevole?, mentre tutte le altre garanzie non costituzionalizzate devono essere applicate solo se il processo non si prolunghi in maniera irragionevole.

Il problema nasce dal fatto che nel processo vi sono meccanismi che attribuiscono al passare del tempo un effetto estintivo del reato e quindi del processo, meccanismi che prendono il nome di prescrizione, in base a cui se il processo non giunge ad una sentenza definitiva entro un determinato periodo di tempo dalla com-missione del fatto, il processo si estingue con una sentenza di avvenuta prescrizione.

I dibattimenti si possono rinviare per impedimenti di varia natura, ma il tempo di prescrizione continua a scorrere; se il processo si prolunga per osservare garanzie, anche se queste sono costituzio-nalizzate e quindi non implicanti per definizione un tempo irragionevole per la loro osservanza, il processo rischia di cadere in prescrizione.

Vi è inoltre da considerare che i termini di prescrizione sono ancora quelli stabiliti dal Codice Rocco in riferimento ad un processo più snello e rapido, ma anche poco garantito; da qui il paradosso di un processo molto garantito e complesso come quello attuale che applica un tempo di prescrizione pensato per un processo completamente diverso (questo è il principale motivo per cui in sede penale non vi sono ricorsi ?italiani? davanti alla Corte di Strasburgo).

La prescrizione si pone allora come limite interno al processo che non permette di arrivare ad una sentenza di merito, e quindi di assoluzione o di condanna, ma solo ad una sentenza di  proscioglimento.

A volte però la prescrizione è il risultato di un abuso delle garanzie in base ad una strategia processuale messa in atto dai difensori delle parti, che, nell’interesse del cliente, ritardano il processo fino alla sua conclusione anticipata, senza la pronuncia di una sentenza nel merito.

Tale strategia, che in origine era messa in atto nell’attesa di una amnistia, che dal 1993 non è stata di fatto più concessa, si realizza attraverso il legittimo impedimento e la proposizione di ricorsi infondati con l’unico scopo di far scadere i termini di prescrizione.

Si parla a questo proposito di ?sabotaggio del processo? attuato dai difensori che, nel tentativo di prolun-gare il processo ottengono il premio dell’estinzione del processo, evitando il giudizio e quindi una sentenza definitiva.

Uno strumento per evitare tale conseguenza nella sospensione dei termini per l’impugnazione ci sareb-be: se l’impugnazione viene accolta, i termini si considerano decorsi, se essa viene rigettata per infonda-tezza, i termini rimangono sospesi e non maturano.

In conclusione, oggi non ci si deve difendere nel processo quanto piuttosto ?dal? processo.

 

 

 




              

                              PRINCIPALI APPROFONDIMENTI DEL DIBATTITO

 

 

 

Il dibattito si è articolato su diversi punti, tra i quali possono essere richiamati in particolare i seguenti:

 

?       Esistono codici deontologici degli avvocati che impongono di non pregiudicare il buon funzionamento della giustizia, ma il principio in base al quale il difensore deve curare l’interesse del suo cliente è talmente compenetrato e pregnante che l’avvocato è spinto a considerarlo come prevalente. Di conse-guenza spetta al legislatore emanare norme che non si prestino ad una applicazione distorta.

?       In Italia la magistratura ha di fatto delegittimato una classe politica; se il reato sussisteva i giudici erano obbligati ad agire. Dal 1993 viene modificata la richiesta dell’autorizzazione a procedere nei confronti dei parlamentari per cui tale autorizzazione è necessaria solo in caso di arresto. Queste garanzie poste a tutela della funzione esercitata dai membri del Parlamento potevano essere utilizzate al di là degli scopi per cui erano concesse, questo fino al 1993, mentre in Francia queste sono giustificate dal fatto che il Pubblico Ministero dipende dall’Esecutivo per cui è necessario che il potere legislativo di doti di difese contro le possibili ingerenze esterne. È  rimasta intatta invece l’insindacabilità dei voti e delle opinioni espresse nell’esercizio di attività parlamentari; se il Parlamento ammette che l’opinione è stata resa nell’esercizio di funzioni parlamentari, il magistrato deve arrestare il procedimento salvo sollevare un conflitto di attribuzione davanti alla Corte Costituzionale.

?       Per realizzare uno Spazio Giudiziario Europeo, il primo passo è costituito dal reciproco riconoscimento delle sentenze; in origine vi erano procedure molto complesse come quella di estradizione, ma oggi possiamo rinvenire una omogeneità dei principi fondamentali tra i vari ordinamenti sui temi della giustizia e dei valori umani. L’Italia dovrà confrontarsi con gli altri Stati europei soprattutto in tema di rogatorie e di mandato d’arresto europeo.

?       I rimedi che possono contrastare il rischio della prescrizione consistono nel tentativo della legge di evitare il binomio prolungamento-vantaggio, ed eliminare la sostituzione del Pubblico Ministero nel primo grado, nel grado di appello e in Cassazione, che comporta una pessima conoscenza della causa.

?       La separazione delle carriere di Magistrato giudicante e Pubblico Ministero comporta il rischio che il secondo agisca come un ?grande poliziotto?, come avvocato dell’accusa, mentre deve basarsi sui criteri oggettivi del Magistrato giudicante come avviene ora. Inoltre la separazione avvicinerebbe il Pubblico Ministero all’Esecutivo, mentre ora è legato al Potere Giudiziario.

 

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