La serata dedicata al ricordo di padre Balducci ha rappresentato uno dei momenti più alti all’interno dei cicli di conferenze del Giovedì, sia a livello di partecipazione emotiva, sia a livello di profondità e ricchezza di contenuti.

 

 

Il primo relatore, Severino Saccardi, ha tracciato un quadro fortemente evocativo del percorso umano e culturale di Balducci, insistendo, in particolare, sul senso di forte attualità del suo insegnamento e del suo messaggio, fondato sulla lotta per la pace e la giustizia, nello sforzo costante di ricerca del bene, unico per tutta l’umanità.

La sua testimonianza, la sua lezione di vita, coraggiosa e coerente, hanno lasciato una traccia profonda che continua a rivivere, perpetuandosi in una serie di trame storiche e di simboli. La centralità della difesa della dignità dell’uomo e della cultura della legalità, valori caratterizzanti della sua battaglia civile, si riattulizzano nei ricordi della nostra storia civile, come testimonia la profonda commozione che sta suscitando in questi giorni il decimo anniversario della morte di Falcone.

Uomo di penetrante intelligenza e di vastissima cultura, Balducci nasce a Santa Flora, nell’Amiatino, nel 1922 da una famiglia modesta (il padre è minatore). La povertà e la miseria di questa terra si fondono e si riscattano con la ricchezza interiore della sua gente, nella cui semplicità Balducci ritrova grande dignità e rigore morale.

Il suo senso profondo delle radici rimarrà segno distintivo e ineludibile che caratterizzerà l’impegno umano e cristiano di tutta la vita. Senso delle radici che affonda anche nella consonanza con personaggi del passato, intrisi di forte spiritualità e coraggiosamente attivi nella ricerca di equità e giustizia sociale. Saccardi ha ricordato la figura di David Lazzaretti, che tentò a fine Ottocento, sul monte Labbro, un significativo esperimento di concretizzazione dello spirito del Vangelo attraverso esperienze collettive di lavoro comune e di comunione dei beni, finendo poi fucilato, e i martiri di Niccioletta, un gruppo di minatori provenienti in gran parte dall’Amiata, fucilati dai nazifascisti nel giugno 1944.

Tra questi minatori vi erano anche alcuni compagni che Balducci aveva abbandonato per essere accolto in seminario dai Padri Scolopi e verso i quali nutrì per tutta la vita un forte senso di colpa.

Nel 1945 Balducci è ordinato sacerdote a Firenze e nel 1950 si laurea con una tesi su Fogazzaro.

Nei primi anni Cinquanta frequenta gli ambienti del cattolicesimo letterario fiorentino, segnati dalla figura di Papini, dai quali prende progressivamente le distanze, rimanendo coinvolto dall’esperienza culturale e politica di Giorgio La Pira e promovendo, nel 1958, la fondazione della rivista «Testimonianze», punto di riferimento per il cattolicesimo progressista.

Nel 1959 viene trasferito a Roma su pressioni del Santo Ufficio, dove vive la stagione di Giovanni xxiii e del Concilio Vaticano ii; il suo volume Cristianesimo e Cristianità, del 1963, è un prodotto tipico del clima conciliare, che contiene spunti critici sulla crisi pastorale cattolica, ma anche aperture mondialiste.

Negli anni Sessanta si espone personalmente a favore di battaglie civili e, in tempi difficili, si batte a favore dell’obiezione di coscienza, affrontando un processo e una condanna. «Uomo di confine», alla pari di David Maria Turoldo, è capace di lanciare messaggi e provocazioni che toccano credenti e non credenti (significativa, a tal proposito, la sua appartenenza, fino alla morte, all’Associazione per la difesa della laicità), sempre sul filo dell’ortodossia e sempre osteggiato dall’autorità.

Nel 1964, dopo un colloquio con Paolo vi, è autorizzato a tornare a Firenze, o meglio alla Badia fiesolana.

Negli anni Settanta e Ottanta è figura di primo piano del movimento pacifista, riuscendo sempre a coniugare, in uno sforzo teorico-politico, il suo essere contemporaneamente uomo di Chiesa e uomo di sinistra, nella forte convinzione che il Regno di Dio cominci su questa terra e su questa terra sia impegno morale collettivo prodigarsi per la realizzazione di un regno di libertà e di giustizia.

La sua visione della fede è totalmente disancorata dall’ossessione del peccato: l’uomo, chiaramente uomo, deve saper prendere il destino nelle sue mani e coltivare il «principio speranza» (titolo di un’opera monumentale di Ernst Bloch che traccia una fenomenologia degli stati utopici radicati nel sentire dell’individuo), ovvero, deve scoprire come la speranza, sostegno indispensabile alla ragione, si insinui concretamente in tutte le manifestazioni dell’uomo e riveli un mondo, una realtà in continuo movimento, in continua evoluzione.

Nel 1986 fonda la casa editrice Edizioni Cultura della Pace (ecp), che pubblica le biografie di Giorgio La Pira (1986), Gandhi (1988), San Francesco d’Assisi (1989).

Nel 1990 esce il volume L’uomo planetario, sorta di testamento spirituale di Balducci, che auspica una fase futura nella quale tutte le religioni, attraverso una mutua penetrazione e non distruzione, si liberino dal proprio particolarismo per dare inizio a una nuova era dell’umanità, pacificata dal denominatore comune dei valori umani.

Negli ultimi anni di vita Balducci matura la convinzione profonda della necessità di recuperare una nuova dimensione del sociale, intesa come nuovo patto sociale mondiale, e di praticare una politica (nel senso più nobile del termine) che, liberandosi dalle sue condizioni di definizione territoriale, si allarghi a una dimensione planetaria.

Il suo è un «ottimismo tragico», che sulla scorta del principio speranza, vede chiaramente la tragicità della storia, ma non rinuncia a credere nelle grandi risorse creative dell’uomo, fondamentali nei momenti cruciali di passaggio epocale.

Il futuro sta, in definitiva, nell’incontro con l’altro, nella capacità di espansione delle potenzialità umane.

 

 

Marco Revelli rievoca la figura di padre Balducci partendo dai suoi ultimi scritti (agosto 1990-marzo 1991), nei quali, a fronte della tragicità del momento storico, segnato dalla Guerra del Golfo, riecheggiano voci, dapprima di speranza e poi di disperazione.

In un primo momento, infatti, l’impensabile (ovvero la precipitazione armata) si ritiene non possa avvenire; la guerra, strumento razionalmente improponibile e incontrollabile, non deve scoppiare.

Gli scritti successivi, dopo che l’impensabile è stato compiuto, registrano l’indignazione e il senso di prostrazione per ciò che è stato commesso. Dalla possibile realizzazione di una comunità mondiale di diritto, in poche settimane si era infatti passati alla pratica distruzione di tutti i codici della convivenza internazionale.

C’è qualcosa di lucidamente profetico in quelle riflessioni, che oggi appare drammaticamente attuale se riletto nel tempo della «guerra infinita» in Medio Oriente.

Il senso di irreparabilità (allora da pochi condiviso, ma sappiamo oggi quanto giustificato) nasceva dal ritorno alla guerra, dopo l’espulsione e l’estinzione della guerra come strumento razionalmente giustificabile.

Questa capacità profetica e insieme lucidità visionaria derivavano a Balducci sia da un’intelligenza incredibilmente acuta, da una capacità di introspezione e di osservazione eccezionali, sia dalla sua robusta spiritualità, che lo rendeva critico nei confronti di ogni potere.

Ma c’è anche qualcosa di più, che sta tra il suo impianto analitico e concettuale, da una parte, e la sua struttura caratteriale dall’altra, tra la sua cultura e la sua morale, in quello che era, in sostanza, il suo personalissimo rapporto col mondo storico e sociale, di «uomo di confine».

Revelli sintetizza tutto ciò in tre aspetti.

In primo luogo il senso drammatico della svolta, ovvero la consapevolezza della portata epocale della cesura in corso, dell’avvento di un «tempo nuovo» che rimette in gioco tutto di noi, che ci chiama a una verifica delle nostre «verità» e a una disponibilità all’apertura in avanti, alla trasformazione dei codici di comportamento e delle categorie interpretative. La consapevolezza insomma dell’abbandono della logica tribale delle comunità territoriali ristrette ? ovvero gli Stati nazionali ? per accedere alla logica cosmopolita dell’uomo chiamato ad abitare come propria patria la terra intera, risolvendosi, ma non cancellandosi, nell’umanità.

Il che ci conduce al secondo aspetto, ovvero la crucialità della dimensione spaziale, o, se si preferisce, la consapevolezza della rivoluzione spaziale in corso nei decenni cruciali di fine millennio e dell’impatto clamoroso che quella nuova dimensione dello spazio era destinata a provocare sulle forme stesse della convivenza tra gli uomini. Balducci coglie, con un decennio di anticipo, le caratteristiche di quella grande trasformazione che nel corso degli anni Novanta assumerà un ruolo via via più centrale con il nome di globalizzazione, individuandone il principio unificatore non nei flussi finanziari o economici, ma in quella sostanza terribilmente umana che è il pericolo, ovvero il rischio, inedito nell’intera storia universale, di una distruzione radicale dell’umanità per opera dell’umanità stessa.                   

Il terzo e ultimo aspetto che implicitamente emerge è la consapevolezza della sproporzione tra le sfide etiche dell’umanità e gli statuti politici del passato. Essendo ormai evidente la condizione di debolezza della politica e di obsolescenza della morale, costituitesi in un’epoca diversa (quella tribale), è necessario impostare un nuovo discorso, attuare una trasformazione etico-antropologica, crearci una nuova memoria. Una nuova politica e una nuova morale (quelle dell’uomo planetario) possono nascere soltanto da un’apertura incondizionata al futuro, inteso principalmente come rapporto con l’altro. Dobbiamo imparare a guardare noi stessi con lo sguardo dell’altro, moltiplicare gli sguardi e comprendere la pluralità dei punti di vista, pur mantenendo intatta la nostra identità. La vera sfida che ci attende consiste in questa capacità di dialogo con l’umanità intera e di riconciliazione con la natura, storicamente depredata.  Il principio speranza, già rievocato da Saccardi, ruota intorno all’incontro prima di tutto con noi stessi; l’ideale per eccellenza è il ritrovare noi stessi nella collettività.        

 

 

 

 

 




 

PRINCIPALI APPROFONDIMENTI DEL DIBATTITO

 

 

 

 

 

  Il dibattito si è articolato in diversi punti, tra i quali possono essere richiamati in particolare i seguenti.

             

1.       Si ravvisa come elemento controverso di interpretazione il rapporto di Balducci con la modernità

 

Revelli ha cercato di rispondere a questa domanda, evidenziando una certa ambivalenza nell’atteggiamento di Balducci con la modernità e come questo aspetto rappresenti un dilemma interpretativo non sciolto.  

Azzardando un paragone, come è necessario accettare le regole dell’uomo della tribù, fondendole necessariamente con i nuovi valori dell’uomo planetario, così, malgrado vada contrastata l’assolutizzazione dell’onnipotenza della tecnica, che può generare mostruosità, bisogna accogliere il senso critico implicito nella scienza.

Balducci fu in questo senso veramente «uomo di confine», incapace o, non volendo, schierarsi rigorosamente su un versante, leggendo le aberrazioni implicite in un uso dissennato della tecnica, ma non potendo non accogliere il principio critico che sta alla base della scienza e che è elemento fondante della modernità. 

 

2.       Quale atteggiamento potrebbe avere oggi Balducci, uomo di Chiesa, ma contemporaneamente strenuo difensore della laicità, nei confronti della citazione dei fondamenti cristiani all’interno della Convenzione Europea?

 

          Saccardi ha tentato di ipotizzare una risposta, malgrado la consapevolezza della difficoltà di richiamare     il pensiero di Balducci su temi così strettamente attuali, sottolineando tuttavia come la sua prospettiva  rigorosamente laica non sia consonante con una proposta di tal genere.

 

 

 

 

 

 

 

 

                                  

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