1. La pedagogia della memoria: valori e progetto

 

Duccio Demetrio propone un modello di ?pedagogia della memoria?, capace di valorizzare la narrazione e la scrittura autobiografica come percorso in grado di permettere all’individuo di mantenere il legame con chi lo ha preceduto. Tale progetto si inserisce in un vero e proprio movimento della memoria, che si contrappone al tempo delle parole senza storia, della ?chiacchiera? collettiva, nella convinzione che il percorso autobiografico personale possa significativamente collegarsi alla memoria comunitaria.

Fra i protagonisti di questo movimento, Demetrio è stato fondatore, assieme al giornalista Saverio Tutino, della ?Libera università dell’autobiografia? di Anghiari, dove un gruppo di professionisti organizza corsi per chi vuole comporre la propria autobiografia, oppure si mette a disposizione per raccoglierla in forma letterariamente pregevole da chi desidera ?raccontarsi?, ma non ne ha la capacità. Quest’ultima esperienza, denominata mnémon (in greco antico: lo scrivano), parte dal presupposto della pari dignità di ogni vita e che ciascuno abbia il diritto al racconto della propria: ?Ciascuno di noi – afferma il relatore – dovrebbe meritare la scrittura di un romanzo?.

La convinzione che guida gli organizzatori è anche quella del potente legame fra la scrittura autobiografica e la necessità per ognuno di noi di essere ?abitatori di racconti?: le storie sono un fondamentale nutrimento, contenitori metaforici per la nostra esistenza, modalità di protezione e di cura del tempo della nostra infanzia. Quest’ultima è, secondo le parole delle psicanalista francese Pontalis, ?il tempo in cui inventavamo il mondo?: un mondo mitico da cui l’adulto deve certamente uscire, ma mantenendo la capacità di raccontarlo. Tale capacità appartiene soprattutto a chi ha vissuto un’infanzia ?felice?, in cui ha, cioè, potuto ascoltare storie su di sé e sulla propria famiglia, conservando così il desiderio di ascoltarne altre e di narrarne di nuove.

 

2. L’autobiografia come cura di sé

 

L’autobiografia è a questo proposito qualcosa di unico. La pedagogia dell’autobiografia nasce nel contesto dell’educazione degli adulti, in particolare della pedagogia degli oppressi dell’educatore brasiliano Paulo Freire, per il quale la scoperta di avere una storia produce stima di sé e fa parte del cammino di autoemancipazione della persona.

 

Inoltre, come forma di scrittura, l’autobiografia appartiene a quelle che il filosofo Michel Foucault definisce tecnologie del sé, ovvero dispositivi che ci permettono di riappropriarci di noi stessi, della nostra vita interna e segreta. Con l’autobiografia noi possiamo così ?aver cura di noi?, mettere in moto un meccanismo di memoria che produce una ?rimpatriata con se stessi? (Pontalis). Si ritrovano così luoghi e momenti decisivi attraverso un viaggio nello spazio dove giacciono quei ricordi che non sono immediatamente a disposizione, ma possono essere suscitati: il preconscio.

La storia personale che ne scaturisce pone le basi di qualcosa che potrà entrare a far parte della storia della nostra famiglia. Infatti i nostri ricordi non sono interamente nostri: una parte di essi viene dai ricordi di qualcun altro, che ci ha narrato storie su quando eravamo troppo piccoli per poter ricordare. Così questa catena di memoria trasmetterà a sua volta ricordi non posseduti a chi viene dopo di noi. Per questo l’autobiografia si distingue dal diario: mentre quest’ultimo è un’esperienza intima, un racconto in divenire ancorato al presente, la prima è uno strumento per progettare il futuro, una testimonianza indirizzata a qualcuno.  L’autobiografia può essere anche considerata un ?mettere in ordine?, un ?far pace? con il proprio passato.

Infine occorre ricordare che l’autobiografia viene recuperata anche dalla psicanalisi più recente, la quale ha superato la proibizione originaria che vedeva nella scrittura autobiografica un ostacolo al transfert con il terapeuta: oggi essa viene piuttosto intesa come un momento di riparazione ed elaborazione. Da questo punto di vista, Demetrio sottolinea che l’attività autobiografica è certo, oltre che un diritto e un addestramento a vivere la solitudine, anche un momento fondamentale per la riflessione sui vissuti che sono stati segnati dal dolore, riflessione che ha come scopo la loro elaborazione e accettazione.

 

3. La famiglia e il suo album

 

Prima di trasportare questi concetti sul significato che l’autobiografia ha come ?album di famiglia?, occorre tuttavia considerare in che modo possiamo intendere questa espressione. Viene così proposto un significato estensivo di famiglia, come luogo in cui noi viviamo delle relazioni interumane protratte e significative. Da questo punto di vista, oltre alla famiglia nel senso consueto, ve ne sono molte altre, come il gruppo associativo, la famiglia professionale che si sviluppa nell’ambiente di lavoro: ciascuna di queste famiglie può avere una sua storia, un suo album. Narrare questa storia significa accettare il legame che abbiamo con le nostre famiglie, legame da cui possiamo sollevarci psicologicamente solo, appunto, raccontando.

L’album (che può contenere ovviamente, oltre ai racconti, anche le immagini cui questi racconti si collegano) ha molte presenze, tutte quelle che sono state intimamente significative: la casa, i luoghi, i sapori, i profumi, gli animali, le persone? Centrali sono a questo riguardo anche le figure e gli eventi ?fatali?, gli ?scheletri nell’armadio?, e così via. E’ importante tuttavia ricordare che l’autobiografia non deve necessariamente essere totalmente vera e completa: chi racconta ha il diritto di omettere e di mentire; la ?bugia?, intesa come difesa della propria privatezza, è la prima dimostrazione dell’esistenza di un’interiorità ricca e segreta, e ad essere importante non è l’oggettività del ricordo, quanto la trama di significati che da esso emerge.

Inoltre è molto significativo il fatto che ogni narrazione autobiografica ha il suo stile caratteristico, che presenta anche importanti varianti di genere: viene così contrapposto a un narrare maschile, oggettivo, costruito su una sequenza di fatti ed episodi, un narrare femminile, dove vi è più attenzione alla globalità del ricordo, alle sensazioni, alla complessità degli avvenimenti intimi.

 

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