Luca Ricolfi ha esordito presentando i contenuti del suo volume Perché siamo antipatici? La sinistra e il complesso dei migliori, pubblicato da Longanesi nell’autunno del 2005, evidenziando come le tesi proposte nel libro siano frutto di attente riflessioni maturate negli anni.

Due sono i problemi più ricorrenti che affliggono la sinistra e che Ricolfi stigmatizza: il primo legato alla comunicazione ? la sinistra si rivolge ai suoi interlocutori con un linguaggio oscuro, codificato; il secondo strettamente attinente l’atteggiamento, ovvero la supponenza morale e la superiorità etica che la sinistra manifesta non solo nei confronti della parte politica avversa, ma anche nei confronti dell’elettorato di destra.

Relativamente al problema della comunicazione, il relatore ha sottolineato come il linguaggio della sinistra sia gravemente malato; in realtà non si tratta di un’unica malattia, ma di tre patologie ben definite: l’abuso di schemi secondari ? cioè il ricorso frequente a perifrasi che consentono di trovare una scappatoia contro l’evidenza empirica, il linguaggio codificato ? ovvero l’utilizzo di formule astratte, comprensibili a pochi adepti, anche quando ci si rivolge a un pubblico molto vasto ? e infine la paura delle parole. Su quest’ultimo aspetto si è soffermato Ricolfi, ricordando come questa forma alterata di comunicazione sia stata importata dagli Stati Uniti una trentina di anni fa. Prima degli anni Settanta in America, come del resto nella maggior parte dei Paesi occidentali, la comunicazione era fondata su due regole molto semplici: gli individui erano per lo più liberi di parlare come volevano, le istituzioni no, essendo il linguaggio pubblico molto sorvegliato, soggetto a convenzioni e regole piuttosto rigide. Questo doppio registro si è progressivamente invertito e oggi i rappresentanti delle istituzioni parlano in pubblico come se si trovassero in privato, mentre la gente comune non è più libera di esprimersi come vuole, essendo prevalso un sentimento di ?politicamente corretto? che impone di evitare termini troppo crudi o discriminatori, ricorrendo a un linguaggio edulcorato e ?imbelle?. Il politicamente corretto ha causato una nuova dislocazione dell’ipocrisia; mentre in passato il conformismo dilagava nel discorso pubblico, sempre sorvegliato e mai sopra le righe, oggi è migrato nel linguaggio privato. Da Pertini a Cossiga a Wojtyla le istituzioni hanno via via assunto l’irriverenza, la disinvoltura e la non convenzionalità del privato. Questo netto spostamento ha spiazzato la sinistra, la quale non riesce a conformarsi al nuovo standard comunicativo, rifiutandolo anzi con un certo orgoglio, rimanendo arroccata sui propri moduli espressivi fondati sulla ritualità e sul linguaggio codificato, tacciando di ?deriva populista? la comunicazione di massa di destra. Alla fine questa incapacità o non volontà di cambiamento ha condotto a un forte scollamento tra la sinistra e la gente comune, soprattutto a livello di percezione e di efficacia comunicativa.

Il secondo aspetto preso in considerazione da Ricolfi attiene al sentimento di superiorità morale, molto più diffuso a sinistra che non a destra, soprattutto tra gli elettori politicamente impegnati, come rivelano diverse misurazioni statistiche condotte dallo stesso Ricolfi, il quale, ricordiamo, è anche direttore dell’Osservatorio del Nord Ovest costituito presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università di Torino, il cui scopo è la raccolta costante di informazioni sugli atteggiamenti e i comportamenti della popolazione relativamente a determinate aree tematiche quali la demografia, la politica, l’economia, la cultura, il sistema sociale. Tale superiorità si fonderebbe sostanzialmente sull’altruismo, sull’interesse per il bene del paese e sullo spirito civico, virtù queste caratterizzanti l’elettorato di sinistra. Gli elettori di destra, per utilizzare una dicotomia introdotta da Umberto Eco in occasione delle elezioni del 2001, sarebbero gretti, chiusi, animati dal self-interest e privi di ogni senso del bene comune (elettorato motivato) oppure, nella migliore delle ipotesi, rozzi e diseducati da decenni di cattiva televisione (elettorato affascinato). Nei confronti dei primi prevale un sentimento di disprezzo da parte del popolo di sinistra, nei confronti dei secondi un atteggiamento pedagogico-educativo.

Per approfondire l’argomento, Ricolfi ha fatto riferimento a un suo volume del 2001 La frattura etica. Analisi della percezione dei partiti nell’elettorato italiano, in cui si affermava che esistono grandi alternative morali che dividono gli italiani, le quali influenzano le scelte politiche più di quanto facciano le preferenze intese in senso tradizionale, ovvero quelle derivanti da una libera scelta tra due opzioni politiche di fondo. Tre sono le distinzioni morali significative: l’opposizione tra civismo e self-interest (utilitarismo), la scelta tra integrismo (conservatorismo) e libertarismo, il dilemma tra responsabilità personale (meritocrazia) e solidarietà incondizionata. Per quanto riguarda le ultime due opzioni, si tratta in realtà di scelte e priorità che non comportano un giudizio di carattere morale. Ne consegue che delle tre dicotomie solo la prima ha una chiara polarità etica, la virtù civica, e, da quanto emerge dalle indagini sociologiche, è distribuita in maniera simmetrica tra destra e sinistra. Ma ancora più significativo è un dato evidenziato da tali indagini, ovvero che circa un terzo degli italiani, non schierato politicamente, ha in assoluto maggior senso civico. La ricerca sociologica non avalla dunque in alcun modo la presunta superiorità morale della sinistra.

Ricolfi si è quindi soffermato sulle reazioni che il volume ha suscitato, sottolineando come il libro sia stato accolto con sostanziale freddezza dalla componente politica di sinistra, sollevando talora anche aspre critiche (vedi Eugenio Scalfari) e suscitando maggior interesse a destra, malgrado molti fraintendimenti e strumentalizzazioni. L’obiettivo principale che l’autore si era prefisso nello scrivere il testo ? ovvero indicare, attraverso una riflessione seria e scientificamente comprovata, alcune linee-guida, di natura prevalentemente comunicativa, utili per la stesura del programma dell’Unione ? è stato completamente disatteso. Il suggerimento si fondava sull’adozione di un cosiddetto quinto stile che, facendo propri la chiarezza del linguaggio e il rispetto dell’elettorato altrui, aspetti tipici della strategia comunicativa di destra e soprattutto di Berlusconi, li integrasse con elementi aggiuntivi che qualificassero in positivo l’intero impianto comunicativo. Tali elementi aggiuntivi sono l’understatement morale, ovvero una sorta di sobrietà etica, e l’amore per la verità, che in politica si traduce in rispetto per i fatti. È ormai evidente che il Programma presentato di recente dallo schieramento politico di sinistra è lontano da questa logica, sia per l’assoluta incapacità di sintetizzare pochi concetti cardine (289 pagine sono uno scoglio difficilmente superabile), sia per il continuo ricorso a un linguaggio estremamente complesso e involuto, sia per la scarsità di dati concreti a supporto delle molte proposte propagandistiche.  

 

Passiamo ora al secondo libro presentato nel corso dell’incontro.

In Dossier Italia, uscito nel 2005, Ricolfi delineava, in un breve paragrafo, lo stato di avanzamento dei lavori del famoso ?Contratto? siglato con gli italiani da Silvio Berlusconi. A quella data si trattava, per la verità, di un bilancio parziale e provvisorio, perché i dati coprivano solo poco più della metà della legislatura in corso. Le riflessioni contenute nel volume Tempo scaduto. Il ?Contratto con gli italiani? alla prova dei fatti, uscito in libreria nel febbraio 2006, tracciano ? attraverso un lavoro accurato e aggiornato all’ultimo minuto ? un bilancio di fine legislatura senza sconti e senza facili demagogie. Il Contratto, che introdusse una novità radicale nello stile comunicativo della politica, prevedeva di centrare almeno quattro dei cinque obiettivi, formulati con un linguaggio chiaro e abbastanza preciso: diminuzione delle tasse, riduzione dei reati, innalzamento delle pensioni minime, un milione e mezzo di nuovi posti di lavoro, decollo delle grandi opere. Il Contratto si concludeva con una clausola, interpretata come una sorta di ulteriore impegno: qualora Berlusconi non fosse riuscito a mantenere almeno quattro promesse su cinque non si sarebbe ricandidato nel 2006. Secondo l’autore, a quattro quinti di legislatura, le cinque promesse ? utilizzando valutazioni equilibrate ? sono state onorate per oltre la metà (circa il 60%, un dato controverso, difficilmente interpretabile e facilmente strumentalizzabile a seconda della convenienza politica, sul quale Ricolfi esprime tuttavia un giudizio negativo di sostanziale inadempienza). Tra le varie promesse, l’unica pienamente mantenuta è quella delle pensioni (100%), segue la promessa occupazionale (81,7%), poi le grandi opere (68,4%), le tasse (55,6%) e infine la sicurezza (0,0), l’unica promessa clamorosamente mancata.

Un’analisi come quella condotta nel volume costituisce un significativo servizio pubblico, fornendo agli elettori uno strumento di valutazione creato con estrema onestà intellettuale e severo rigore scientifico. Aldilà infatti dei contenuti del dibattito politico, pare non solo doveroso ma anche utile considerare seriamente gli impegni che i politici si assumono pubblicamente, valutando se e in che modo portano a compimento le loro promesse. Se si ha la volontà e la disponibilità di leggere con attenzione i dati statistici si avranno molte sorprese e si scopriranno molti aspetti che spesso non si conformano alle nostre convinzioni o, peggio, ai nostri pregiudizi. L’obiettivo del libro è quello di fornire informazioni e non di dare opinioni; solo attraverso un approccio critico, supportato da analisi serie e rigorose, infatti, si può parlare di politica, intervenire e fare valutazioni, senza il rischio di cadere nella propaganda e nella faziosità.

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