La serata è stata introdotta dal professor Giovanni Gaudino (Preside del Corso di laurea in Biotecnologie dell’Università del Piemonte Orientale) e dal professor Fabio Gastaldi (preside della Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali dell’Università del Piemonte Orientale), che hanno illustrato sinteticamente il ciclo tecnico-scientifico, di cui la relazione del professor De Flora rappresentava il primo appuntamento. Nel suo intervento, il professor Gastaldi ha in particolare lamentato la generale disaffezione da parte delle nuove generazioni di studenti verso le discipline scientifiche: in questi ultimi anni si sta, infatti, assistendo ad un’ulteriore flessione delle iscrizioni alle facoltà scientifiche, in particolare a quelle di matematica e fisica. Si tratta di un fenomeno comune a tutto l’Occidente, le cui cause sono sia culturali sia economiche. Il rischio è che in assenza di una significativa inversione di tendenza, questo fenomeno possa condurre ad un grave depauperamento della comunità scientifica. Venendo, invece, al tema della serata, il professor Gastaldi ha sottolineato la grande rilevanza delle biotecnologie, ricordando come queste trovino applicazione in ambiti anche molto diversi fra loro (dall’agricoltura alla medicina, ecc.) e siano inevitabilmente destinate a sollevare, sia per il loro attuale utilizzo sia le loro possibilità future, rilevanti questioni in campo etico, ambientale e politico, che, proprio per la loro delicatezza ed importanza, andrebbero affrontate con attenzione, al contrario di quanto attualmente avviene, informando con serenità l’opinione pubblica, ed evitando un approccio ideologico o emozionale al problema.

 

All’inizio della sua relazione, il professor De Flora, ha precisato come le biotecnologie siano al tempo stesso una tecnica di ricerca e un metodo di produzione, utilizzabile sia in campo farmaceutico sia in altri campi (agricoltura, zootecnia). Si tratta, infatti, di una tecnica scientifica per forza di cose multidisciplinare, dove trovano, cioè, applicazione, oltre alla biologia molecolare, una pluralità di discipline scientifiche diverse. Altrettanto vari e differenziati sono anche gli ambiti scientifici in cui questa tecnica può rivelarsi utile. Ciò comporta che ogni ulteriore affinamento delle biotecnologie può generare un aumento delle nostre capacità e conoscenze anche in campi molto diversi dalla biologia molecolare.

La potenzialità delle biotecnologie rende più complesso di quanto avvenga in altre branche della scienza, progettarne e prevederne i successivi sviluppi. Ne sono una prova, limitandosi al campo della salute umana, le innovazioni che l’avvento di queste tecniche hanno reso possibili. Per esempio l’introduzione degli enzimi di restrizione, che ha permesso di ?usare? il DNA come ogni altra sostanza chimica. Si sono, così, moltiplicate le decodificazioni delle sequenze del genoma umano, fino alla sua completa “mappatura” e all’individuazione di ciò che determina il polimorfismo dei caratteri dell’individuo.

L’introduzione delle biotecnologie ha indotto la nascita di nuove discipline: la genomica funzionale (ossia la determinazione di quanti e quali siano i geni e di quale sia la loro funzione), la proteomica (l’individuazione delle proteine presenti in una cellula) e la proteomica funzionale (ossia lo studio dei rapporti esistenti fra la struttura delle proteine e la sequenza genica). E’ soprattutto la proteomica ad aver conosciuto negli ultimi anni una forte espansione: le conoscenze acquisite in questo settore hanno, infatti, condotto ad una sorta di molecolarizzazione della medicina, permettendo diagnosi precocissime delle malattie ed efficaci strategie di prevenzione. E’ il caso, quest’ultimo, della talassemia, debellata grazie alla “prevenzione molecolare”, o dell’introduzione di una nuova generazione di vaccini, dove i patogeni sono stati sostituiti con proteine immunizzanti.

Altrettanto rilevante è stata la ricaduta delle biotecnologie sul fronte delle terapie, dove queste hanno permesso di ingegnerizzare i farmaci già esistenti (insulina, GH, eritropoietina), rendendoli più efficaci e sicuri, o di introdurne di nuovi, basati sul concetto di “bersagli molecolari”, che permette, grazie ad una individuazione più precisa della malattia, la personalizzazione della terapia.

Alcuni di questi farmaci, sostituiscono ormoni non funzionanti (viagra, relenza), altri, come il glivec, usato per la cura delle leucemie mieloidi croniche, disturbano l’eccessivo funzionamento dell’enzima che causa la malattia. A questa tipologia di farmaci appartengono anche l’herceptin, usato per alcuni tipi di carcinoma della mammella, o il repertaxin che, prodotto recentemente in Italia e non ancora in commercio, è stato messo a punto per la terapia della riperfusione post-ischemica e si rivelerà utilissimo per impedire il rigetto di organi trapiantati.

Per ultimo, il professor De Flora ha affrontato il problema che più di altri ha sollevato obiezioni di carattere etico, quello relativo al possibile ricorso alle cellule staminali in campo medico. Queste ultime, infatti, sono cellule multipotenti, in grado cioè sia di autoreplicarsi sia di differenziarsi: due caratteristiche che potrebbero renderle utilissime per la salute umana, permettendo l’introduzione di tecniche rigenerative. Al di là dei problemi etici connessi con questo tema, nella comunità scientifica non vi è, però, ancora un comune accordo circa quali, fra le cellule staminali adulte e quelle embrionali, siano tecnicamente più adatte a fini terapeutici. Mentre quelle provenienti da organismi adulti sembrano avere minore capacità di differenziarsi, per l’uso di quelle embrionali non è, invece, possibile escludere, stando alle attuali conoscenze, il rischio, in alcuni casi, di fenomeni cancerogeni. Per questi motivi, attualmente, nella comunità scientifica, si sta vagliando la possibilità di ricorrere a cellule staminali provenienti da cellule germinali.   

Il tema del rapporto fra ricerca scientifica ed etica, di cui in questi anni si è tornato a discutere soprattutto in relazione alle diverse possibilità di utilizzo delle biotecnologie, è stato al centro del successivo dibattito. Per il professor De Flora è necessario che chi fa ricerca discuta con la massima trasparenza di queste tematiche, accogliendo gli interrogativi e le riflessioni provenienti dalle direzioni più diverse. Non spetta solo al ricercatore porre dei limiti etici al proprio lavoro; questi possono e debbono essere, infatti, individuati solo attraverso un confronto sereno con ogni componente della società. Un ruolo fondamentale nel facilitare questa riflessione collettiva deve, però, essere svolto dalla politica, che dovrebbe evitare di alimentare visioni dogmatiche e chiusure ideologiche. Questo finora non sarebbe accaduto, come testimoniano la scarsa serenità con cui si discute attorno agli organismi geneticamente modificati o alla cosiddetta clonazione umana (termine che ha subito una vera e propria deriva semantica, al punto che per clonazione oggi si intende l’intero insieme delle tecniche di medicina rigenerativa). 

Un altro tema emerso nel dibattito è quello del rischio che la ricerca scientifica sulle biotecnologie sia prevalentemente orientata in base agli interessi del mercato. In particolare si sottolinea come la disciplina dei brevetti possa impedire a questa nuova generazione di farmaci di divenire subito accessibile a tutti. Il professor De Flora ritiene, però, che la disciplina dei brevetti continui a costituire un insostituibile incentivo alla ricerca. Questo non significa che sia, però, necessario confidare esclusivamente nell’intervento dei privati. Al contrario, la tutela della proprietà intellettuale può essere un fonte importante di finanziamento per i centri di ricerca pubblici, dove è indubbiamente più facile condurre liberamente i propri studi. 

 

 

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