Nel suo intervento di apertura, Farian Sabahi ha proposto alcune riflessioni sul tema del rapporto fra islamismo e società laica, condotte a partire dalla propria esperienza di giornalista nonché di donna nata in Italia da padre musulmano iraniano e da madre italiana. Nel suo reportage sui musulmani d’Europa, Sabahi ha viaggiato in Francia, Svizzera, Belgio, Gran Bretagna, Svezia, Spagna e Germania, e ha raccolto voci diverse ed eterogenee, quali quelle di capi religiosi, giornalisti, accademici, e semplici frequentatori delle moschee. Ne è emerso un quadro molto variegato e complesso, dai caratteri talvolta contraddittori.

A Stoccolma l’imam Hassan Mousa fu protagonista di uno scandalo quando, nel maggio 2004, la stampa scoprì che nei suoi sermoni in lingua araba venivano lanciati violenti attacchi contro gli Stati Uniti, che la traduzione simultanea in lingua svedese prudentemente ometteva; la grande maggioranza dei giovani musulmani di Svezia, d’altro canto, non parla correntemente l’arabo. In Francia, Dalil Boubakeur, rettore della Grande Moschea di Parigi, invita le donne musulmane a impegnarsi nella propria emancipazione, a studiare e a migliorare le proprie conoscenze, perché Allah vuole che donne e uomini siano eguali. Per Boubakeur la moderna cultura dei diritti della persona impone il rifiuto di alcuni precetti religiosi tradizionali, come la poligamia, la decapitazione, il taglio delle mani e in generale l’oppressione della donna, anche se si trovano nel Corano: ?essere musulmani?, per Boubakeur, ?significa vivere il proprio tempo, e non vivere nell’antichità o nel Medioevo?. Meno disposto a interpretare il Corano in senso illuminista è invece Tariq Ramadan, intellettuale islamico francese divenuto consulente di Tony Blair: Ramadan difende la necessità di integrazione dei musulmani nella società europea, ma invita le giovani islamiche a portare il velo e a non frequentare le piscine miste. Anche più paradossale è la situazione in Belgio, dove il partito xenofobo di estrema destra Vlaams Belang (Interesse fiammingo) raccoglie le adesioni di molte giovani musulmane di seconda generazione che difendono la loro duplice identità, musulmana e fiamminga, e su questa base reclamano il proprio diritto di portare il velo.

In conclusione, per Sabahi non esiste un unico modello di convivenza, come non esiste un unico modo di praticare la religione musulmana e di interpretare la cultura islamica, il cui significato non si esaurisce in una serie di precetti religiosi né tanto meno nelle immagini stereotipate proposte dai mass media.

 

L’intervento di guido Fubini ha invece preso le mosse dal tema indicato dal titolo della serata, domandandosi se esistano effettivamente, in Italia, minoranze religiose: la risposta è che, diversamente da quanto stabilivano il Codice civile del Regno di Sardegna del 1837 e lo Statuto albertino del 1848, la Costituzione italiana non parla di ?minoranze religiose?, ma di minoranze linguistiche e parlamentari. Secondo la Costituzione, non esistono minoranze religiose: esistono invece culti egualmente liberi, sebbene lo Stato italiano talvolta se ne dimentichi.

Fubini propone di distinguere tra tre diversi modi di intendere il rapporto fra Stato e religioni nella storia d’Italia, ovvero tra un periodo ?separatista? (1861-1929) in cui conformemente all’ideologia liberale la religione era nettamente separata dallo Stato, un periodo ?giurisdizionalista? (1929-1948) nel quale vigeva la tolleranza dei culti diversi da quello cattolico, e un periodo caratterizzato dall’?eguale libertà dei culti?, dal 1948 a oggi. Secondo Fubini, se la difesa del principio della religione di Stato si inserisce nel contesto politico e storico dell’Italia fascista (la storica sentenza circa l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche e nei tribunali risale al 1924, anno dell’assassinio di Giacomo Matteotti), non è invece accettabile la discriminazione che lo Stato repubblicano ha praticato a più riprese in favore del culto cattolico: ultima in ordine di tempo è la sentenza del Consiglio di Stato del febbraio 2006 secondo cui il crocifisso deve essere esposto nelle aule scolastiche in quanto simbolo della laicità dello Stato.

D’altronde Fubini, sebbene sia contrario ad accordi separati fra lo Stato e le istituzioni religiose, non chiede l’abolizione del Concordato fra lo Stato italiano e la Santa Sede. Chiede semplicemente l’applicazione rigorosa del principio di eguaglianza dei culti stabilito dalla Costituzione, che è stato violato in almeno quattro casi palesi: lo Stato italiano ha violato il principio di eguaglianza dei culti quando ha abolito l’Imposta Comunale sugli Immobili dovuta dagli enti ecclesiastici, quando ha legiferato per immettere in ruolo gli insegnanti di religione cattolica nella scuola pubblica, quando è intervenuto per alleggerire la pressione fiscale sulle attività (commerciali e non) degli enti ecclesiastici, quando ha legiferato conformandosi alle posizioni della Chiesa in materia di fecondazione assistita, ingegneria genetica e bioetica in genere.

In conclusione, nel ricordare che fu un ebreo, il capitano Segre, a ordinare ?Fuoco!? ai soldati allineati di fronte alla Porta Pia il 20 settembre 1870 in occasione del celebre attacco alla sede pontificia (un cattolico non lo avrebbe fatto), Fubini ritiene che non sia possibile oggi tornare al laicismo assoluto teorizzato dal pensiero liberale, e che la libertà di religione oggi potrebbe essere adeguatamente tutelata da un sistema di sovvenzioni pubbliche che tratti tutte le confessioni in modo eguale.

 

Massimo Marottoli ha incentrato il suo intervento sulla discussione di due temi principali: in primo luogo, il concetto di minoranza; in secondo luogo, la laicità delle istituzioni statuali.

Circa il primo tema, ha ricordato come la presenza valdese in Italia non sia un accidente della storia europea, né un fatto arbitrario, ma come, al contrario, abbia radici storiche e culturali di lunga durata e di grande rilevanza: il protestantesimo è una componente costitutiva dell’identità del cristianesimo. Nondimeno, in Italia, viene spesso percepito come qualcosa di minimo (come suggerisce il termine stesso, ?minoranza?) e irrilevante.

Circa il secondo tema, Marottoli rileva nella società e nella cultura italiane un deficit di cultura laica e liberale, che porta a considerare gli italiani non-cattolici quasi come ?ospiti? anziché come cittadini. Esisterebbe cioè in Italia un clima politico e culturale nel quale il vero cristiano è il cattolico-romano, e il laico è colui che sostiene (secondo la già citata sentenza del Consiglio di Stato del febbraio 2006) l’intangibilità del crocifisso nelle aule scolastiche e nei tribunali. Marottoli rileva inoltre come in Italia la ?dominanza? del cattolicesimo sia piuttosto un fatto statistico che non un indice di vitalità spirituale culturale; o meglio, il fatto che da tante parti si cerchi di affermare la predominanza della cultura cattolica su altre culture (laica, islamica, protestante) tradisce una profonda preoccupazione per la stabilità della propria identità: quando qualcuno esercita un’autorità indiscussa su un territorio, non ha bisogno di recintarlo con il filo spinato per affermare il proprio diritto su di esso; se i cattolici sentono la necessità di rivendicare, richiedendo addirittura interventi legislativi, la loro predominanza sulla società italiana, forse ciò significa che percepiscono la crisi della propria autorità o del proprio primato indiscusso.

Marottoli afferma che i cattolici rischiano di trovarsi soli nella rivendicazione del ?primato cristiano sull’Italia? e sull’Europa (si pensi alla disputa sul riferimento alle ?radici cristiane dell’Europa?), poiché, a differenza dei protestanti, non avrebbero effettivamente preso atto delle conseguenze della modernità, ovvero del fatto che la modernità è segnata dalla fine dell’Europa cristiana, ovvero dalla fine dell’identificazione tra cristianità e società occidentale. I protestanti ne hanno preso atto, forse facilitati dal fatto che la Riforma aveva già proclamato che la fede è un fatto interiore, di coscienza; i cattolici non sembrano averlo accettato. La fine della modernità non significa tuttavia la dissoluzione dei suoi valori: occorre anzi difendere le conquiste positive della modernità, anzitutto il principio della laicità dello Stato, contro i rischi di ogni integralismo e di ogni soluzione illiberale: in quanto italiani, gli evangelici devono resistere alla tentazione di emigrare in paesi più aperti, laici e pluralisti, e impegnarsi a fornire una testimonianza di impegno civile resa per amore dell’Italia.

Scarica File