Dopo le riflessioni sul fondamento dei valori nella società contemporanea proposte nel mese di dicembre 2005 e a seguito del recente incontro dedicato alle minoranze religiose in Italia, l’Associazione ha deciso di proporre un ulteriore approfondimento in ambito teologico e di sociologia delle religioni. Ospite d’eccezione di questo nuovo appuntamento dei Giovedì culturali è Enzo Bianchi, priore della Comunità monastica di Bose, tra i principali testimoni dell’esperienza religiosa e del dialogo interculturale del nostro tempo.

Tema dell’incontro, molto atteso e partecipato, è il futuro del cristianesimo e dei princìpi evangelici, in un’epoca di crescente incertezza, ma anche ricca di molteplici potenzialità.

Il fatto stesso di interrogarsi sul futuro del cristianesimo è un elemento nuovo dell’attuale stagione socio-culturale. Ciò che fino a qualche tempo si dava per scontato, è oggi al centro di vivaci discussioni e di profonde riflessioni. Si moltiplicano saggi e ipotesi interpretative. Cosa sta avvenendo – si chiede Bianchi – nelle nostre società che un tempo chiamavamo senza incertezza ?cristiane? e che, anche una volta divenute ?laiche? e multietniche, permangono intessute di codici culturali radicati nel cristianesimo? Società nelle quali ci si affretta ancora ad arruolare Dio al proprio fianco nelle battaglie, per poi guardarsi bene, però, dal mettere in pratica i suoi comandamenti, a cominciare dal più antico, ?non uccidere?. Società in cui è sempre più difficile trasmettere la fede alle giovani generazioni. Mai come ora, anzi, sembra aver luogo una ?rottura di memoria‘, che pone in discussione molte verità acquisite e che problematizza alquanto la dimensione religiosa come tale. I giovani sono in grado di ricevere un’eredità cristiana? E in che cosa consiste tale eredità?

Stagione davvero complessa, la nostra. E per chi ha seriamente a cuore la fede cristiana, l’annuncio dell’evangelo e il suo coniugarsi con la convivenza civile, le domande si fanno particolarmente scottanti, anzi ve ne è forse una sola, brutale nella sua essenzialità: ?Cristo ha un futuro?? In altri termini: colui che viene chiamato così rimarrà come una figura chiave dell’umanità, o invece scomparirà per ridursi a vestigia di ciò che è morto? Bianchi ricorda che l’unica certezza per un credente è il ritorno del Signore nella gloria. Di tutto il resto non vi è alcuna garanzia. Questa osservazione assume un significato rilevante anche quando ci interroghiamo su quale sia lo spazio del cristianesimo nella società contemporanea. La marginalità della dimensione religiosa, la parzialità dell’opzione cattolica, la scristianizzazione, sono tutti fenomeni per molti aspetti inquietanti, ma non intaccano minimamente la missione del cristiano, che consiste nella fedeltà alla vocazione di essere sempre il lievito e il sale nella compagnia degli uomini in attesa del redentore veniente.

Dopo aver chiarito con precisione che cosa egli intenda propriamente per ?cristianesimo’ oggi, ossia la vita concreta delle Chiese cristiane in Europa e nel mondo, Enzo Bianchi propone un approfondimento articolato in tre punti: la crisi, l’avvenire e le possibilità della religione cristiana.

I) La crisi. Il cristianesimo sta attraversando una fase di difficoltà evidente, come attestano ad esempio il calo delle ordinazioni presbiteriali; la drastica diminuzione delle vocazioni nell’ambito della vita attiva, apostolica; la diminuzione di coloro che partecipano all’eucaristia domenicale; la rivendicazione di una crescente autonomia nella vita privata, con un rifiuto più o meno esplicito della rigidità dogmatica per la morale individuale; la diffusione di una fede religiosa da nomadi, secondo la quale, cioè, si è cristiani ad intermittenza, vivendo la religione soltanto nei tempi forti, nelle grandi occasioni. La religione appare spesso un centro di interessi tra altri, con uno spazio peculiare che continuamente si ridefinisce. La Chiesa, però, che pur si deve aprire alle istanze di tutti, non può ridursi ad essere soltanto un movimento; deve essere una comunità che riunisce tutti i credenti in Cristo. Il fedele è alla ricerca di risposte alle sue domande di senso, e le può trovare soltanto facendo esperienza della bontà e della bellezza del Vangelo, vivendo concretamente l’insegnamento di Cristo. E questo, inevitabilmente, dà luogo a una differenza cristiana, a una peculiarità che però non può chiudersi in sé e che anzi deve sempre rimanere aperta all’altro da sé.

2) L’avvenire del cristianesimo. Riproponendo l’analisi di Maurice Bellet, autore del saggio La quatrième hypothèse. Sur l’avenir du christianisme [Paris 2001], Bianchi analizza quattro diverse ipotesi relativamente al futuro della religione cristiana. La prima non fa che prendere atto della scomparsa del fenomeno cristiano. La crisi attuale potrebbe essere l’inizio della fine del cristianesimo, della sua estinzione. Restano, certo, delle tracce significative: monumenti, opere d’arte, forse qualche elemento dell’inconscio collettivo e un nucleo più o meno consistente di adepti. Ma si tratterebbe, appunto, soltanto di tracce residuali. La seconda ipotesi delinea una dissoluzione di diverso tipo: l’apporto dei valori evangelici entra a far parte del patrimonio comune dell’umanità come un anello di una tradizione più grande, una componente di un sistema di pensiero, e nulla più. L’apporto dei valori cristiani si sublima, cioè, in un umanesimo etico-filosofico, nel cui pantheon anche Gesù può trovare un posto accanto ad altri. La terza ipotesi è che il cristianesimo continui, attraverso una dialettica fatta di conservazione, di restaurazione e di aggiornamento, in cui opzioni anche opposte – Bellet cita ad esempio Pio IX e Giovanni XXIII, canonizzati insieme – permangono interne a uno stesso insieme, fondamentalmente invariato. A questo punto, Bianchi si chiede se non si stia facendo strada un’ipotesi che Bellet non delinea come tale, ma che in certo senso raccoglie elementi della sua seconda e terza prospettiva e che, da tempo presente nel mondo anglosassone e del nord Europa, sta prendendo piede anche in Paesi come l’Italia: quella di un cristianesimo visto innanzitutto come cultura di un popolo, coniugato come ?religione civile? che deve assicurare il ricompattarsi della società e l’individuazione di un’identità condivisa. Un presenza cristiana che appare sempre più come declinazione dell’equazione ?cristianesimo uguale occidente?. Va riconosciuto che oggi la politica avverte il bisogno di utilizzare il codice religioso e pertanto è pronta al riconoscimento dell’utilità sociale della religione. La Chiesa, però, rischia di diventare una potente lobbie etico-sociale, riconosciuta e ricompensata da Cesare; non più profezia, ma puntello di un Occidente ricco e privilegiato. È un atteggiamento indubbiamente estraneo alla grande tradizione cattolica, ma che di fatto viene incoraggiato per nostalgia di una riedizione del mito della cristianità e salutato come necessario per la nostra società sempre più inquieta e frammentata. Infine la ?quarta ipotesi?, quella che già il titolo del libro di Bellet aveva fatto capire che sarebbe stata la più approfondita, quella verso la quale si orienta l’attesa dell’autore: qualcosa conosce inesorabilmente la fine, ?qualcosa muore e non sappiamo fin dove questa morte scende in noi?. È la fine di un sistema religioso, legato all’età moderna dell’occidente da un rapporto di interdipendenza. Ma con questa morte si arriva come a un capolinea, dove non si sa se la ripartenza sarà verso il peggio o verso il meglio: l’unica cosa che si sa è che questo dipende in massima parte da noi. E allora l’interrogativo da cui la riflessione ha preso le mosse – ?Il cristianesimo ha un futuro?? – rimane, ma assume i connotati di una domanda ricca di speranza: in questo luogo di un nuovo inizio, in questa sorta di ground zero, «l’Evangelo può apparire come evangelo, cioè la parola, appunto, inaugurale che apre un nuovo spazio di vita? Il paradosso è grande, perché l’evangelo è vecchio? Ma forse il tempo delle cose capitali non è retto dalla cronologia; forse la ripetizione può essere ripetizione dell’inaudito». Questa fase di passaggio, cioè, potrebbe preparare l’avvento di una nuova forma di cristianesimo, vissuta realmente nelle comunità cristiane, nelle quali l’Evangelo si fa carne, e la pro-esistenza di Cristo diviene un modello sicuro e certo per la vita di tutti i cristiani.

3) Quale possibilità, allora, per il cristianesimo? Per rispondere a questa domanda, dobbiamo anzitutto osservare come il cristianesimo sia sempre stato un fenomeno plurale, con una grande capacità di adattamento storico e geografico. Anche per il futuro, dunque, occorre essere ottimisti. Vi sono sempre alcuni tratti distintivi, alcuni elementi irrinunciabili: la primalità della Parola – e qui Bianchi ricorda la necessità di affidare la Chiesa alla parola, e non la parola alla Chiesa; la ????????, la dimensione comunitaria, la comunione come forma costitutiva della Chiesa, che è un camminare insieme, un percorso condiviso, capace di riconoscere la pluralità della fede cristiana; la sussidiarietà (cioè il riconoscimento di responsabilità alle Chiese locali), la sinodalità (che consiste nel fare le cose insieme come popolo di Dio, introdotto da Cristo nel Regno dei cieli) e la cattolicità (intesa qui, appunto, come accettazione della pluralità di fede e come contrasto alla ?malattia? dell’uniformità); l’attenzione agli ultimi della storia e la ricerca di interazioni umane più profonde e più autentiche, con il richiamo a una vita diversa da quella strettamente mondana, con uomini e donne riuniti in una nuova comunione e capaci di affrontare con forza e serenità il loro destino.

Un cristianesimo che sappia rinunciare a ogni forma di potere diverso dalla parola disarmata – conclude Bianchi -, che faccia prevalere la compassione sulla legge, che riesca a parlare al cuore di ogni uomo facendogli intravedere che la morte non è l’ultima parola, che l’amore è più forte della morte, potrà essere un canto, una voce sempre più ascoltata. Ma questo richiede che i cristiani si esercitino a essere quelle sentinelle della libertà, delle giustizia e della pace che Giovanni Paolo II ha più volte evocato nella sua lungimirante visione del futuro del cristianesimo nel mondo. Certo, non va percorsa la strada di quanti, nella loro fede incerta, si aggrappano a false certezze, ricercano un’identità cristiana contro altre vie religiose, sperano in forti mobilitazioni e preferiscono annunciare una babele prossima ventura dovuta all’incontro delle religioni, piuttosto che operare affinché ci sia una nuova pentecoste. Forse c’è ancora posto nelle nostre società per un cristianesimo che sappia ripresentare l’inaudito di una buona novella, l’inatteso ritrovamento di un senso non solo per le singole vite ma per la stessa convivenza civile; forse c’è ancora spazio per dei cristiani liberati dalle paure e aperti a una speranza per tutti.

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