Il professor Deaglio esordisce ricordando il titolo della sua prima serata presso l’Associazione Cultura & Sviluppo cinque anni fa: ?Un capitalismo bello e pericoloso?. E infatti i pericoli li abbiamo visti e vissuti in modo drammatico: dal crollo della Borsa ai fatti dell’autunno del 2001, con quel che ne è seguito.

Ora il titolo della serata (che è quello del decimo ?Rapporto sull’economia mondiale e l’Italia?) è ?Il sole sorge a Oriente?. Si vuole sottolineare una vera e propria rivoluzione copernicana: nonostante i media nostrani mettano sempre in primo piano i fatti di casa nostra, noi non siamo più al centro del mondo!

Il baricentro economico del globo si sta spostando.

 





L’immagine simbolo di questo spostamento è quella del grattacielo che si sta costruendo al World Financial Center di Shanghai, destinato a essere il più alto del mondo (492 m, fosse in Torino supererebbe l’altezza di Superga). Il progetto dell’edificio è completamente asiatico (progettazione ed esecuzione). La sua struttura interpreta alcuni elementi basilari del pensiero cinese. La torsione evoca difficoltà, ma l’insieme è elegante e armonioso. Vediamo il quadrato e il cerchio, che rappresentano rispettivamente terra e cielo, incontrarsi in una sorta di contrasto ma anche di sintesi: la quadratura del cerchio. Shanghai ha 17 milioni di abitanti (quasi quanti quelli della Pianura Padana), che con i pendolari arrivano a toccare i 22 milioni: la popolazione dell’intera Italia del Nord!

Questo rapido flash ci mostra come le cose siano cambiate: le città più popolose non sono più in Europa. La Cina ha una quindicina di Shanghai, anche se non così dinamiche. A Shanghai ci sono 3000 grattacieli e il treno che collega l’aeroporto alla città è il più moderno del mondo, col suo funzionamento a levitazione magnetica (non si tocca letteralmente terra). Non si può negare che la realtà di Shanghai trasmetta all’osservatore un senso di vertigine.

Ma di fronte alla faccia smagliante di Shanghai ce n’è un’altra, che definiremmo preoccupante. Il suolo cittadino, sotto il peso dei grattacieli, si abbassa di 2,5 cm l’anno generando allagamenti e altri problemi, che hanno fatto prendere la decisione di non costruire altri grattacieli in città.

La crescita impressionante è accompagnata da un senso di precarietà (basterebbe ricordare l’enorme numero di morti – già 15.000 nell’anno in corso – per incidenti di lavoro nelle miniere





Sino a non molti anni fa si cresceva dalla parte opposta (Nord America ed Europa), ora la nostra centralità è svanita, gli Stati Uniti ancora si difendono e per gli altri restano? briciole.

Proviamo a osservare più da vicino la crescita di quest’Asia dinamica (Cina, India, Giappone e ?tigri asiatiche?). La quota di produzione mondiale complessiva di questi paesi passa dal 17,7% nel 1980 al 30% nel 2002 (e sicuramente oltre, al momento attuale). In poco più di vent’anni si è quasi raddoppiata la quota e non siamo certo in vista di un’inversione di tendenza.




Non tutti i paesi asiatici hanno però tenuto lo stesso ritmo di crescita: mentre India e ?tigri? sono sulla linea di crescita media, la Cina aumenta di quasi quattro volte il suo peso; il Giappone perde invece terreno, passando da 8 a 7%. Osservando le quote di produzione all’interno della zona asiatica, si vede come ?tigri? e India mantengano la quota, mentre la Cina assorbe la porzione giapponese fino a invertire le posizioni rispetto al 1980 (un paese produce il doppio dell’altro). Oggi la Cina, che sfiora il 15%, si situa al terzo posto nel mondo, dopo gli Stati Uniti e l’Europa, vista come paese unico.

Non abbiamo però a che fare con una semplice crescita del livello quantitativo della produzione: la Cina sta diventando il paese leader nella zona asiatica e la sua influenza sull’economia occidentale è in forte aumento. Gli interscambi dei paesi asiatici con la Cina sono in forte crescita: negli ultimi sette anni aumentano di un terzo con la Corea del Sud, del 50% col Giappone, del 70% con l’India, raddoppiano con Thailandia e Filippine e addirittura triplicano con l’Indonesia.

In questi ultimi anni, in quelle regioni del mondo è? scoppiata la pace. India e Pakistan, che si fronteggiavano minacciose, ora sono partner, così come lo sono Russia e Cina: fa impressione oggi vedere l’Ussuri, il fiume di frontiera, attraversato da colonne di lavoratori cinesi, quando, fino a pochi anni fa, lo presidiavano soltanto soldati armati.





I rapporti commerciali della Cina mostrano una struttura caratteristica: forte deficit nei riguardi degli altri paesi asiatici ma surplus equivalente nel commercio con Stati Uniti e Unione Europea. La Cina fa così da paese di transito, ottenendo valuta pregiata (dollaro ed euro) dal ricco occidente per poi ?scambiarla? con materie prime e altri prodotti dei paesi asiatici. Per questi ultimi aumenta sempre di più il livello di dipendenza dalla dinamica della domanda interna cinese.

Non dimentichiamo che la Cina è il secondo paese al mondo per riserve valutarie. Con lo sganciamento dal dollaro, il controllo del cambio con le monete occidentali è passato in mano cinese.




Si sta creando un’area economica cinese, caratterizzata dal ruolo che stanno assumendo le sue multinazionali. Vediamone qualche esempio significativo: la società Lanovo ha acquistato il settore computer dalla ibm; la Tao steel (sesta al mondo nel suo settore), che è tra l’altro diretta da un general manager donna, sta costruendo acciaierie in Brasile; Knook sta effettuando ricerche di petrolio in tutta l’Africa e ha sostituito la Shell in Indonesia; una multinazionale cinese sta acquistando aree in Nord Italia, per farne un centro logistico per merci provenienti dall’Asia.

La Cina si sta proponendo come punto terminale di una filiera produttiva asiatica che esporta al resto del mondo.




Le multinazionali cinesi tendono a rispettare le nostre regole, ma lo spirito che ne determina le strategie è diverso da quello occidentale. C’è anche differenza tra Cina e India perché, mentre la prima punta su industrie basilari, quest’ultima privilegia le attività ?soft?, dove il valore aggiunto è intellettuale. L’istruzione universitaria in India è spesso in lingua inglese (frequenti sono i gemellaggi con università inglesi), gli indiani manifestano una forte predisposizione alla matematica; si stima che metà del software mondiale sia oggi prodotto in India e Bangalore pullula di servizi a distanza (call center) per aziende occidentali. Un ottimo ingegnere indiano costa 800-1000 euro al mese contro un costo più che triplo di un nostro ingegnere al primo impiego.

Un cenno, infine, al problema della valuta cinese, ormai slegata dal dollaro: conviene davvero che si rivaluti?   Probabilmente la via migliore è quella della gradualità, senza scossoni, come per ora sta accadendo.





?Cina? significa ?paese di mezzo? e la sua filosofia politica è quella dell’armonia governata, ovviamente dalla Cina stessa. Armonia non solo nel commercio, ma anche in politica estera, in campo militare. Nei confronti di Taiwan, la Cina si sta comportando come fece a suo tempo con Hong Kong: attende cioè di assorbire la piccola repubblica, senza colpo ferire. In campo militare, quello che ancora manca alla Cina è l’elettronica militare europea, negata a causa dell’embargo post-Tiennamen. Se l’embargo venisse tolto, vantaggiosissimi contratti sarebbero pronti per gli europei (le ferrovie cinesi?); anche i problemi del tessile sono giocati su questo tema. Germania e Francia sono le nazioni più interessate ma l’orbita cinese sta ormai attirando tutti i paesi.





Passiamo ora agli Stati Uniti d’America.

L’economia statunitense corre ancora ma? il serbatoio sembra vuoto. Proviamo a esaminare due possibili scenari contrapposti: uno di ?crisi? e uno di ?non crisi?.

Nel primo caso sviluppi sfavorevoli in campi non economici e un forte aumento del prezzo del petrolio provocherebbero un rapido indebolimento del dollaro, con conseguenti forti pressioni inflazionistiche e rialzo del costo del denaro. Il risultato finale sarebbe la contrazione di consumi e investimenti, la vulnerabilità di banche e imprese, con fallimenti a catena? è  un tipo di rischio che ci ricorda la grossa crisi degli anni Trenta.

Lo scenario di non crisi parte da sviluppi favorevoli agli usa al di fuori dell’economia (ad esempio un indebolimento europeo) e alla possibilità di mantenere sotto controllo il prezzo del petrolio. Il dollaro si rafforzerebbe, ripartirebbe la ?crescita? e il costo del denaro crescerebbe moderatamente. Il risultato si tradurrebbe in espansione di consumi e investimenti, pur mantenendosi una certa vulnerabilità di banche e imprese. L’America ha un enorme deficit commerciale (3500 miliardi delle nostre vecchie lire ?prestate? da altri), ma il dollaro è sempre meno attraente (in pochi anni il rapporto con l’euro si è invertito). Il tasso annuo di incremento della popolazione vale 1,3%  in usa e in Cina (0,4 in Europa e solo 0,1% in Italia). Questo vuol dire che gli usa devono ?correre? il 2% in più per mantenere i nuovi arrivati. I recenti disastri ambientali hanno portato il costo del petrolio a livelli mai visti, le abitazioni registrano prezzi molto alti? tutto questo porta a non ritenere improbabile lo scenario più pessimista.




La vulnerabilità americana è ben illustrata dall’andamento depresso dei salari reali nel settore privato e dal declino del risparmio delle famiglie: la gente consuma più di quanto incassi! Possiamo dire che gli Stati Uniti si comportino come un automobilista con il serbatoio vuoto, pronto a prendere carburante dove lo trova. A chi li considera sventati, ribattono di essere inseguiti da un nemico.

 





Prima di passare in rassegna la situazione europea, osserviamo il ruolo delle imprese di fronte al cambiamento mondiale degli ultimi 10 anni.

Osserviamo in particolare il cambiamento del potere di mercato: gli anglosassoni (gli Stati Uniti in particolare) sono fortemente privilegiati rispetto al Giappone

–          confrontando i settori del mercato, il panorama non muta sensibilmente;

–          cresce il peso delle imprese ?grandissime?, rispetto alle ?molto grandi?.

C’è poi il cambiamento delle scelte del consumatore:

–          crescente ?paura di volare? e successo delle compagnie aeree low cost: crisi del settore;

–          disamore verso il turismo tradizionale organizzato;

–          indifferenza dell’automobilista (la vettura non è più status symbol, una vettura vale l’altra?);

–          interesse per i farmaci generici (si sente di più dove i farmaci non sono gratuiti);

–          un nuovo modo di mangiare (cibi bio?);

–          nuovi mercati e nuovi metodi d’acquisto (l’e-mercato, dopo i fallimenti passati, sembra riprendersi).

 

Vediamo ora l’Europa. La prima impressione è quella di un continente alla ricerca di un modello, privo di una visione generale.




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I membri dell’ue hanno un patto di stabilità ma il presidente della commissione europea dice che ?l’Europa non può essere un’isola di pace in un mare di instabilità?. Si prevedeva una crescita del 3% che non c’è stata, ora c’è chi propone la ?clausola dell’aurora? (direttive europee automaticamente in vigore, anche se non ancora approvate dai parlamenti nazionali). Ci sono poi atteggiamenti che ricordano il passato (blocco di lavoratori lituani in Svezia, Francia e Germania che tendono a pilotare le decisioni industriali), che non sembrano all’altezza delle sfide dell’economia mondiale.

 L’aumento dell’età media della popolazione obbliga l’Europa a destinare agli anziani una quota elevata e crescente del proprio prodotto, sottraendola agli investimenti. L’incertezza sul regime pensionistico induce i lavoratori a comportamenti cautelativi.

Come abbiamo già detto, l’Europa non ha un modello; se da un lato aumenta la consapevolezza del problema, dall’altro non si vuole rinunciare allo stato sociale.

Emergono due indirizzi per la ricerca delle soluzioni, da un lato il ?filone interventista? che propone:

– aumento mirato della spesa pubblica;





– inasprimenti della tassazione, talora di tipo patrimoniale;

– spese per trasformare industrie in crisi;

     – modifiche a piccoli passi dei sistemi previdenziali.

Dall’altro il ?filone liberista? che poggia sul rilancio dell’economia mediante lo stimolo derivante da:

– sgravi fiscali;

– semplificazioni burocratiche;

– maggiore libertà d’azione per le imprese,

secondo un modello ?americano? da reinterpretare sulla base delle esigenze europee.

La scelta tra le due opzioni è netta; è però chiaro che non esistono ricette efficaci pronte all’uso.

 









Veniamo infine all’Italia: l’immagine è quella di una nuvola nera con qualche bordo d’argento (seguendo un proverbio inglese che invita a cercare comunque il lato positivo delle cose?).

Il primo problema che salta agli occhi è quello delle statistiche: viviamo un’epoca di ?barbarie statistica? che fa aumentare l’incertezza.

La fiducia dei cittadini in statistiche condivise è fondamentale per la coesione di un paese e costituisce un patrimonio importante per la credibilità delle istituzioni.





C’è poi il problema dell’inflazione e della povertà e il divario tra la loro percezione e i valori ufficiali.

Una recente indagine sui consumatori mette a confronto l’Italia e i paesi dell’Unione Europea sul divario tra l’inflazione ufficiale e quella percepita: si vede chiaramente come la discrepanza parta con l’introduzione dell’euro ma, mentre in Europa la forbice si sta richiudendo, in Italia il divario tende ancora a salire. L’inflazione percepita è alta principalmente per quattro ragioni:

–          gli arrotondamenti, che giocano a sfavore;

–          la mancata distinzione tra prezzi che salgono e salari che non tengono il passo;

–          la variabilità dei redditi, che tende a crescere (se non c’è una certa costanza di reddito, non ci si sa regolare e, nell’incertezza, le variazioni si sentono di più);

–          la crescita dei valori immobiliari (stipendi miseri, tetti d’oro).

Anche gli stili di vita nel nostro paese sono modificati: i prezzi un tempo stabili per diverse categorie di prodotti ora variano in continuazione per cui le statistiche e gli indicatori sintetici sono sempre meno rappresentativi dell’italiano medio.

Anche il ?disagio? italiano sta cambiando: è interessante il sondaggio su un campione (di 1200 persone, quindi non completamente significativo). Alla domanda – ?Lei ha in questo momento un reddito?? ci sono cinque risposte possibili:  del tutto insufficiente/   insufficiente/ appena sufficiente/ sufficiente/ più che sufficiente/. Le risposte positive alle prime tre opzioni (gli insoddisfatti) crescono negli ultimi tre anni (dal 25 al 33%).

L’area di disagio sta dunque crescendo, come indica l’indagine che porta al 12% il numero di famiglie italiane che si situano sotto il livello di povertà (la metà del reddito familiare medio).

Una vera nuvola nera che grava sul nostro paese è la proiezione demografica: nel 2025 gli italiani con più di 60 anni saliranno da 14,5 a 19 milioni, mentre le persone con meno di 40 anni scenderanno da 27,5 a meno di 21 milioni.   

Questo è uno tsunami violento che ci colpirà: perderemo in creatività e non ci sarà pressione per nuova occupazione. Il paese rischierà di sfilacciarsi e di perdere sempre più influenza nel mondo.





Una sorpresa positiva è quella della nostra presenza, in crescita, nella ricerca scientifica mondiale, in cui passiamo dal 3 al 4% (mentre succede l’opposto al nostro pil). Anche le citazioni degli articoli scientifici italiani aumentano, il che testimonia della loro qualità.

Ci sono settori in cui ci troviamo all’avanguardia (il lavoro comune Pisa-Trento, con la progettazione dei migliori computer del mondo, ne è un esempio); a volte la ripresa passa attraverso processi di delocalizzazione, con il mantenimento in Italia della ?testa pensante?. Altri segni fanno intravedere prospettive positive, come il centinaio di imprese che già investono in Cina.

I ?bordi d’argento? sono forse appigli deboli e fragili, ma esistono.

Nei primi anni del dopoguerra siamo riusciti a ritagliarci aree di protagonismo straordinarie, grazie anche a geniali intuizioni. Molti sono gli esempi: dallo scooter, per il quale si sono utilizzate anche parti di motori d’aereo, alla ?nutella?, che era inizialmente considerata il ?cioccolato dei poveri?; dalle macchine da scrivere fino alla Fiat 500. Dobbiamo essere in grado di rifare quello che abbiamo già fatto! 

 

 

Dibattito con il pubblico presente in sala

 

 

Nella sua analisi delle macro aree non si parla del peso dei paesi produttori di petrolio. Lo ha tralasciato perché è marginale?

Il peso dei paesi produttori di petrolio sulla produzione mondiale complessiva è effettivamente modesto. Spesso questi paesi producono solo petrolio. Altra cosa è l’importanza strategica, come pure l’importanza finanziaria. Quest’ultima è difficile da misurare, ma in ogni caso capace di spostare equilibri economici (è il caso dei petroldollari prestati all’America Latina e i grossi debiti conseguenti). L’importanza economica è settoriale, quella finanziaria può giocare sulla stabilità del paese. E se decidessero di farsi pagare in euro? Lo aveva fatto Saddam?

 

La Cina non è solo crescita economica; sono cresciuti anche i suoi  problemi. Potrebbe parlarcene?

Il primo problema cinese è il divario dei redditi nella popolazione. C’è crescita ma non ridistribuzione uniforme del reddito. Cento-centocinquanta milioni di cinesi arricchiti hanno un reddito superiore a 10.000 dollari l’anno, ma 300 milioni guadagnano tra 1 e 2 migliaia di dollari l’anno e 200 milioni sono sotto ai mille. Non dimentichiamo che ben 500 milioni di cinesi sono contadini e questo numero è superiore a quello di tutti gli addetti alla produzione del mondo occidentale (Per inciso, la Cina è un enorme mercato potenziale e i cinesi sanno riconoscere la qualità). L’attuale presidente Hu Jintao non è l’espressione dei 100 milioni che hanno fatto fortuna ma si dice attento al destino di chi vive nelle ancora immense sacche di miseria. È facile vedere come la crescita minima del paese, necessaria a dar speranza a chi non ha nulla, non possa scendere sotto l’8% annuo (ora siamo sul 9-9,5%). Poi c’è il problema della lingua: solo quella scritta è unica e i dialetti parlati sono assai diversi. Il secondo grave problema è quello dell’inquinamento, o pressione ambientale. Il 30% dei fiumi sono pieni di rifiuti, l’uso massiccio del carbone crea nuvole nere. Sino a due anni fa non c’erano risorse dedicate all’ambiente. Ora le cose stanno cambiando. Il controllo della Sars ha mostrato capacità di reazione del governo cinese. Il terzo problema è quello della libertà. Il livello attuale di libertà, misurato col metro cinese, è elevato. Ci sono due giornali di opposizione, analoghi ai nostri, consultabili su Internet. Le autorità però si irrigidiscono: si parla ad esempio di schedatura per chi visita particolari siti? La crescita cinese però deve continuare e insieme deve migliorare la distribuzione dei redditi. La Cina non potrebbe sopportare una rivoluzione delle campagne.

 

Cina e India sono diverse. Queste differenze vengono da lontano: la Cina è il luogo del fare, l’India quello della riflessione?

Quest’analisi della Cina come luogo dell’azione, contrariamente all’India, mi pare condivisibile, la troviamo anche a livello di soluzioni di governo. E l’Europa è il luogo di che cosa? Amartya Sen, l’economista indiano premio Nobel, dice che neppure la democrazia viene dall’Europa. Una cosa è certa, o noi europei riusciamo ad aumentare il nostro peso o saremo dissolti. Ma come lo possiamo fare? Abbiamo il problema demografico che l’entrata della Turchia nell’ue potrebbe risolvere, con il rischio però di una perdita di identità culturale. Si sente una cesura tra le generazioni: prima i valori si trasmettevano per impulsi diretti, poi non sono più passati. Occorre lavorare su questo, far tornare ai giovani il gusto della politica e iniettare cultura progettuale.

 

Ci ha detto che il Giappone ha perso peso. Può approfondire questo punto: cause, analogie con altre realtà?

Il Giappone ha vissuto una crescita importante con l’invasione dei mercati mondiali con beni di consumo. Poi la crescita è rallentata e il paese ha investito in edilizia abitativa. Al boom dei prezzi è seguita la crisi e anche la banca centrale ha cercato di ammorbidirne l’impatto (in Giappone nessuno vuol ?perdere la faccia?, per cui non si ammettono gli errori). C’è stato crollo dei consumi ed economia piatta. Poi il nuovo leader del paese ha introdotto riforme e il Giappone è stato sempre di più attratto nell’orbita cinese. Ora il paese cresce del 2-3 % l’anno. Il problema demografico non manca: la speranza di vita della popolazione femminile del Giappone è salita a 94 anni!

 

Esiste un problema monetario da noi (la moneta cattiva scaccia la buona) e uno fiscale (siamo messi fuori mercato dagli alti costi dei servizi).

Vediamo di percorrere alcune vicissitudini della finanza mondiale di questi ultimi anni. Siamo nel 2000 in usa: esplode in Borsa la ?bolla? dei titoli tecnologici con l’innesco di una fase recessiva di piccola entità, ma assai violenta. La crisi è diversa dalle precedenti, che finivano con fiammate inflative; ora non c’è domanda e molte imprese iniziano a fallire. Greespan prende una decisione coraggiosa: taglia il costo del denaro e continua a farlo, mese dopo mese. È la più forte caduta del costo del denaro che si conosca. L’operazione equivale a emettere grandi quantità di moneta. Si riesce così a tenere a galla l’economia. I consumi sono depressi ma chi pensava di acquistare casa, ora si accorge di poterlo fare. Sale il prezzo degli alloggi e la produzione di nuovi edifici. Che cosa succede nel resto del mondo? Se i tassi usa crollano, altrove non si può procedere controtendenza; è il principio dei vasi comunicanti. L’Europa segue gli usa. E quando in usa l’economia si riavvia, si cerca di togliere liquidità: è un po’ come cercare di togliere la fiamma, sperando che il fuoco si autosostenga, dopo l’innesco iniziale. Quello che è stato fatto anni fa è oggi ancora possibile? Probabilmente no, proprio perché ora sono entrati nel gioco i cinesi che, avendone la forza, possono permettersi di non seguire il gioco degli usa. Ormai si fa parte di un sistema che non ha più un solo polo di decisione. I potere di persuasione da parte di un solo attore stanno fortemente riducendosi. Gli usa stessi hanno analizzato freddamente la tenuta della loro capacità d’influenza nel tempo, giungendo alla conclusione che il loro potere è destinato ad esaurirsi entro pochi anni. Si parla spesso della ricerca di soluzioni di mutuo vantaggio. Ma per adottarle occorre essere in due. Anche il famigerato ?scontro di civiltà?, basta che lo voglia uno solo! C’è poco che noi possiamo fare da soli. Non dobbiamo reagire sopra le righe (leggi Iraq) ma piuttosto sfruttare gli spiragli positivi. La ricerca delle soluzioni non può prescindere da serie analisi storiche.

 

Russia e Cina stanno collaborando anche sul terreno militare. Quali i possibili sviluppi?

 

La Russia è un paese petrolifero. Il petrolio costituisce più del 50% delle sue entrate. Il paese ha un surplus di bilancio dell’1%. La struttura produttiva è però assai fragile. La Russia è ormai diventata una potenza medio-piccola. Ha interessi in comune con la Cina. Questo spiega anche le esercitazioni militari.

 

Abbiamo visto il legame tra la crisi demografica e i problemi economici. La soluzione, per il caso italiano, non potrebbe essere quella della spinta all’immigrazione?

Il problema demografico è presente, in maggior o minor misura, in tutta l’Europa. È però sorprendente l’inversione di tendenza che si sta registrando nei paesi nordici, dove è più alto il numero di donne al lavoro, i paesi possono permettersi maggior spesa sociale e le donne fanno più figli. L’immigrazione può risolvere il problema demografico? Può alleviarlo ma non certo risolverlo, perché porta con sé maggiori costi sociali e maggior bisogno di servizi.

 

Abbiamo visto la nostra economia procedere un po’ a rimorchio. C’è ancora spazio oggi per una politica economica italiana o dovremo limitarci a una amministrazione di basso profilo?

Lo spazio di manovra è certamente assai ridotto. Non possiamo agire sulla moneta, non possiamo controllare i tassi. Ma questa situazione non è priva di vantaggi: altri paesi, che esportano più di noi, pagano parte dei nostri conti (si parla scherzosamente di San Euro, in questo caso). Il nostro debito pubblico è però troppo alto e agire si deve. Forse alcune decisioni di stampo keynesiano potrebbero servire. Una ridistribuzione fiscale, senza scombussolamenti. Chi ha un reddito basso, se recupera 50 euro al mese li spende sicuramente e questo può contribuire al rilancio. C’è poi il tema della patrimoniale e, da annoverare tra le soluzioni radicali, c’è un’idea lanciata una decina di anni fa: congelare il debito pubblico. Poi non se ne è fatto nulla e ora l’idea pare di difficile rilancio.

 

Tra le soluzioni proposte dal filone interventista e da quello liberista, quali ritiene possano risultare più efficaci?

Tra ?dar soldi a chi li spende subito? e ?tagliare i vincoli agli imprenditori?, probabilmente la prima via è al momento la più efficace e quella destinata a essere applicata in maggior misura. Nella realtà però gli interventi dovranno essere un giusto dosaggio di diverse ricette.

 

Quali rischi comporta la tassazione delle rendite, visto che nessun governo pare propenso ad applicarla (nonostante vada nel senso della giustizia sociale)?

Non si comprerebbero più titoli di stato, diventerebbe necessario alzare il rendimento dei bot e le minori entrate vanificherebbero i benefici dell’imposta. Una patrimoniale sulla casa (da aggiungere all’ici e all’attuale tassazione) produrrebbe l’immissione sul mercato di molti alloggi di cui gli attuali proprietari tenderebbero a liberarsi, con crollo dei prezzi e conseguenze serie sull’economia. Evidentemente non esistono strade facili da percorrere.

 

Due manovre prioritarie: rigore nel fiscale e riqualificazione della spesa pubblica. È  d’accordo?

Sì, ma agire sulla spesa pubblica riqualificandola richiede tempi lunghi (almeno una legislatura), anche perché si dovrà passare attraverso un riduzione del personale pubblico. Anche la lotta all’evasione è un compito difficile e lungo.

 

Rispetto al passato, la ricerca del consenso è diventata il fine di chi governa. Siamo andati sempre di più verso una cultura dell’illegalità. Occorre invertire queste tendenze, ritrovare fiducia.       

Non si può non essere d’accordo. Il compito della politica è quello di creare progetti e dare alla gente il desiderio di viverli.

 

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