Il giudizio tecnico e politico sulla legge Cirami (legge n.202 del 7 novembre 2002) è sicuramente negativo. Si tratta di una legge ad personam che aveva lo scopo di interferire con un processo in corso in cui era coinvolto Silvio Berlusconi. La legge non ha però dato i risultati sperati dai suoi promotori, implicando forse un costo politico superiore ai suoi possibili vantaggi. Questa legge però oggi esiste e produce i suoi effetti. Essa rappresenta ?una mina vagante? perché potrà avere nel futuro delle applicazioni inopportune. Innanzitutto per come è stata scritta.

Purtroppo la tecnica legislativa è andata peggiorando con il passare del tempo, e ciò non è addebitabile solo all’attuale governo. Gli atti normativi vengono spesso mal formulati o per troppa urgenza (ed è il caso della legge Cirami), o perché sono il risultato di tensioni politiche e quindi oggetto di numerose modifiche in Parlamento. Oppure perché chi si accinge a determinarne il contenuto non è un grande giurista. Questo notevole abbassamento della qualità della produzione legislativa si riflette sulla stessa qualità della giustizia, generando forti attriti fra gli operatori del diritto: i giudici infatti si trovano a dover compiere uno sforzo maggiore per interpretare un atto non correttamente redatto, e il significato che risulta dalla loro attività ermeneutica può non piacere a tutti. Si vorrebbe risolvere questo problema con l’introduzione di una norma demenziale come quella contenuta nella riforma dell’ordinamento giudiziario, attualmente in discussione, che prevede il divieto di interpretazione della legge da parte del giudice. Si tratta della riproposizione di un’illusione illuministica, destinata a perdere di consistenza nel momento stesso in cui viene espressa, in quanto una legge, per essere applicata, necessita di essere interpretata, con la conseguenza che un atto mal formulato rischia di mettere il giurista, utilizzando gli strumenti che il legislatore gli fornisce, nella condizione di determinare una  interpretazione arbitraria.

La legge Cirami rimane un provvedimento pessimo dal punto di vista della tecnica di redazione, anche quando si tenti di osservarla dal punto di vista degli interessi e delle intenzioni della maggioranza al governo: è difficile scorgerne gli ambiti applicativi proprio perché si tratta di una legge dettata da una forte urgenza  (4 mesi). Inoltre la fretta con cui è stata redatta non ha consentito di valutare più ponderatamente i presupposti di legittimità costituzionale e non ha permesso un perfezionamento delle disposizioni della legge in modo da poterla coordinare con il corpus normativo che compone il codice di procedura penale.

Per quanto riguarda il concetto di rimessione, deve essere chiaro che, in questo caso, il trasferimento del processo da una sede ad un’altra è eccezionale perché è determinato da  fattori esterni al processo stesso, elementi che non consentono di celebrarlo nella sede che sarebbe normalmente competente. Lo spostamento del processo, non determinato da fattori esterni, è invece un fenomeno ordinario perché le regole sulla competenza non sono sempre tanto inequivocabili da attribuire una causa ad un certo giudice, per cui sorge un conflitto di competenza che viene risolto dalla Corte di Cassazione attraverso un apposito regolamento, con cui si stabilisce quale giudice sia competente a giudicare quella lite. Anche se nel caso della competenza per territorio il codice di procedura penale fissa una regola apparentemente piana per cui è competente il giudice del luogo in cui è stato commesso il reato, la sua applicazione ai casi concreti può originare delle divergenze valutative.

Il processo può essere spostato perché nella sua sede originaria non può svolgersi data la presenza di una situazione ambientale tale che il giudice risulta essere sottoposto a pressioni esterne o la sentenza essere pregiudicata da un difetto di imparzialità del collegio giudicante. Se si collega il concetto di spostamento del processo per rimessione alla sede, questo implica che in quella sede nessun magistrato potrebbe pronunciare una sentenza in una situazione di imparzialità o di serenità. La rimessione dunque coinvolge tutta l’intera sede dell’ufficio giudiziario, essendo necessario un collegamento tra la sospetta non imparzialità del giudice e la situazione ambientale.Diversa è invece l’ipotesi in cui è il giudice a tenere un comportamento scorretto,  perché in questo caso opererà l’ulteriore istituto della ricusazione.

La legge Cirami nasce da una richiesta di rimessione, nel maggio 2002, del processo di Milano. La difesa di uno degli imputati aveva sollevato una questione di illegittimità costituzionale; la Consulta notò che la questione era inammissibile e la Corte Costituzionale, nel novembre 2002, appena dopo l’entrata in vigore della legge in esame, pronunciò un’ordinanza che dichiarava manifestamente inammissibile la questione di illegittimità costituzionale.

Nella direttiva n.17 della legge delega redatta dal Parlamento, si indicava espressamente il requisito del ?legittimo sospetto? tra le cause di rimessione, mentre il codice di procedura penale del 1989 non ne faceva menzione, avendolo tradotto con una formula maggiormente restrittiva che faceva riferimento alla situazione che pregiudica la libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo. Con tale formula il generico rischio di non imparzialità del giudice si riduce ad una pressione sulla libertà di determinazione delle persone, due concetti non sovrapponibili. Il fatto che il legislatore delegato abbia utilizzato una formula più restrittiva del criterio indicato nella legge delega non è sufficiente per fondare un vizio di incostituzionalità. Il vizio ci sarebbe solo in presenza di un eccesso di delega, quando cioè il legislatore delegato redige una disposizione che il legislatore delegante non aveva previsto oppure quando vengono superati i limiti fissati nella legge delega. Nel caso in cui il legislatore delegato (Governo) attui in via solo parziale la delega legislativa, questa non può considerarsi come una questione di costituzionalità in quanto il Governo è titolare di tale potere discrezionale, configurandosi al massimo un problema di responsabilità politica del delegato nei confronti del Parlamento.

Tornando alla vicenda della legge Cirami, la Consulta non ebbe più l’occasione di pronunciarsi sulla originaria questione, probabilmente perché era gia stata emessa la nuova legge modificata, dichiarandola inammissibile. Mentre il problema della legittimità costituzionale dell’originario testo della legge sulla rimessione era pendente, nel luglio 2002, viene presentato il progetto di legge Cirami, motivando l’incostituzionalità dell’art.45 del testo allora vigente. Il legislatore ha voluto quindi anticipare la decisione della Corte Costituzionale, azione lecita ma poco opportuna. Il disegno di legge Cirami viene approvato il 7 luglio 2002 e il giorno 18 novembre dello stesso anno la Consulta dichiara manifestamente infondata la questione sollevata dalle Sezioni Unite della Cassazione. In seguito all’ordinanza sopra indicata, gli atti tornano alla Corte di Cassazione per decidere sul caso concreto, ma la Corte si trova ora a dover basare la propria decisione sul nuovo testo dell’art.45 c.p.p. Davanti alla Cassazione erano state inoltre eccepite alcune obiezioni e questioni di illegittimità costituzionale del nuovo art. 45, tutte dichiarate manifestamente infondate dalla Corte, che aveva affermato, nel merito, l’assenza dei presupposti per poter ricorrere alla rimessione.

La rimessione nasce come forma di controllo burocratico dei giudici inferiori da parte della Cassazione; aveva presupposti molto ampi ed in un primo periodo se ne fece un uso molto discutibile, spostando processi in maniera arbitraria come nel caso del disastro del Vajont o la strage di Piazza Fontana.

Il codice di procedura penale, all’art. 55, ricorreva ad una formula ampia, affermando che la rimessione aveva luogo per gravi motivi di ordine pubblico o per legittimo sospetto; il P.M. poteva chiedere la rimessione per entrambi i motivi, mentre l’imputato solo nel caso di legittimo sospetto. Erano presentati dunque dei presupposti molto imprecisi a cui la Corte di Cassazione poteva attribuire qualunque significato, senza considerare che il supremo collegio giudicante era titolare del potere di spostare il processo in qualsiasi luogo, mentre oggi l’individuazione del giudice competente a seguito di rimessione è automatica. L’intento del codice ora vigente, art.45, è stato quello di circoscrivere e precisare i presupposti della rimessione, anche perché la precedente normativa non era compatibile con l’art. 25, primo comma della Costituzione, che stabiliva il principio per cui nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge, formula intesa nel senso che deve essere la legge a sancire quale sia il giudice competente per ogni controversia. Nel momento in cui il processo viene spostato, il rapporto con la precostituzione inizia a divenire problematico perché così facendo il giudice viene individuato ex post, a controversia iniziata, a meno che i presupposti del trasferimento stesso non siano stati tassativamente indicati e siano ragionevoli dal punto di vista della coerenza con il sistema costituito dagli altri principi costituzionali.

La precedente disciplina della rimessione poteva essere in contrasto con l’art. 25 della Costituzione, ma la Consulta salvò sempre tale normativa facendo prevalere l’esigenza di spostare il processo qualora ci fosse il rischio della deliberazione di una sentenza in condizioni di non imparzialità, interpretando così restrittivamente i presupposti indicati dal previdente art. 55. La Corte Costituzionale emise nel 1963 una decisione (la n.50), in cui si escludeva una violazione dell’art. 25 in quanto le norme erano sufficientemente tassative, una volta interpretate in senso restrittivo. Si ha dunque rimessione, continua la Corte, qualora, in relazione ai gravi motivi di ordine pubblico ?si manifestino o siano sicuramente prevedibili gravi turbamenti della pubblica tranquillità e della pacifica convivenza dei cittadini con pericolo anche per la sicurezza delle persone?, ovvero quando, in relazione al legittimo sospetto, ?con mezzi diretti o indiretti, non esclusa la violenza nei riguardi delle persone che partecipano al processo si tenta di influire sullo svolgimento sulla definizione di esso?. Questa sentenza è importante perché fornisce un contenuto concreto a presupposti prima vaghi e suscettibili di una applicazione arbitraria. L’art. 45 del testo abrogato riproduceva tali direttive espresse dalla Consulta, il che significava che la giurisprudenza ordinaria (Cassazione) andava a disattenderle; condotta, questa, pienamente legittima fintanto che la Corte Costituzionale non avesse dichiarato un’illegittimità costituzionale; prima di allora le opinioni espresse dalla Consulta non potevano essere vincolanti ma al massimo autorevoli.

Come detto in precedenza il legislatore del codice del 1988 aveva recepito le direttive costituzionali; infatti aveva previsto come presupposti della rimessione, il pregiudizio della libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo e la lesione della sicurezza e dell’incolumità pubblica determinata da gravi situazioni locali tali da turbare lo svolgimento del processo. In questo senso non sono sufficienti le sole ?gravi situazioni locali?, ma occorre anche che esse siano tali da pregiudicare lo svolgimento del processo. Il testo attuale dell’art. 45, è stato modificato dall’aggiunta di un ulteriore presupposto, vale a dire il ?legittimo sospetto?. Il nuovo articolo 111 della Costituzione sancisce che il processo debba svolgersi davanti ad un giudice terzo ed imparziale, per cui se vi è un legittimo sospetto sulla sua non imparzialità, egli non è più idoneo a celebrare quel processo. Si verifica dunque una contrapposizione tra il principio del giudice naturale precostituito per legge e quello della imparzialità del giudice; il magistrato deve essere precostituito per legge ma deve esserci un bilanciamento con il principio dell’imparzialità. Tale ragionamento è ?debole? per il fatto che l’imparzialità, anche se menzionata nell’art.111 della Costituzione, è irrilevante in quanto anche anteriormente l’imparzialità era un dato fondante della funzione giurisdizionale.

E’importante che la Costituzione e le leggi stabiliscano i presupposti perché il giudice sia imparziale, cioè indichino delle garanzie strutturali che realizzino la sua funzione di imparzialità e quindi la sua indipendenza, l’autonomia della magistratura, il contraddittorio delle parti  ed il diritto di difesa. Tra gli strumenti che assicurano l’imparzialità è da annoverare l’art. 25, primo comma della Costituzione, secondo cui appunto il giudice precostituito per legge è imparziale perché nessuno gli ha assegnato la controversia. Il principio della precostituzione potrebbe essere insufficiente; ecco che allora soccorre una garanzia di secondo grado determinata dalla rimessione. La precostituzione e la proclamazione di imparzialità non sono in contrapposizione ma concorrono al medesimo obbiettivo; di conseguenza l’imparzialità non è motivo di deroga del principio della precostituzione, in quanto il giudice al quale il processo deve essere attribuito è un magistrato precostituito per legge, ricordando però che è necessario non solo che il criterio di individuazione debba essere prestabilito ma anche quello di spostamento del processo, verificandosi in caso contrario una violazione dell’art.25 Cost.

Si apre inoltre il problema dell’applicazione del nuovo art. 45 c.p.p. ai procedimenti in corso. Ci si chiede se sia possibile che la modifica dei criteri di attribuzione delle cause abbia una immediata applicazione ai reati commessi prima dell’entrata in vigore della legge Cirami. La Consulta in merito si è espressa nel senso di riconoscere che l’applicazione immediata sia compatibile con l’art. 25 Cost., purché si tratti di norme riferentisi alla generalità dei casi e non siano adottate in vista di una determinata causa. Per alcuni il metodo per stabilire se una legge è stata redatta ad hoc consisterebbe nell’analisi dei lavori preparatori, e qualora lo fosse, il giudice non sarebbe precostituito per legge in quanto i reati sarebbero già stati commessi e di conseguenza il trasferimento sarebbe incostituzionale. Ma tale impostazione non può essere accettata vista l’estrema difficoltà di accertare dai soli lavori preparatori il carattere ad hoc di un provvedimento.

La nuova legge Cirami non è sicuramente migliore della precedente, non aumentando nemmeno il grado di efficienza. Per molti la nuova disciplina tenderebbe a tutelare maggiormente il diritto di difesa, per cui l’imputato avrebbe diritto ad un giudice imparziale e quindi potrebbe scegliere se richiedere la rimessione o meno. L’opinione mostra però un difetto perché l’imparzialità non è un bene disponibile per l’imputato, ma è una categoria di interesse generale che riguarda sia l’imputato che il Pubblico Ministero.

Altra questione importante è quella relativa alla sospensione del processo; nella disciplina originaria la richiesta di rimessione non sospendeva il processo, anzi esso continuava ma il giudice non poteva pronunciare sentenza, provocando una reiterazione delle richieste di rimessione da parte degli imputati al fine di dilazionare la pronuncia finale. Il problema è stato affrontato dalla Corte Costituzionale con sentenza n.353 del 1996, con cui la Corte ha dichiarato incostituzionale, per violazione dell’art.3 Cost, l’allora art. 47 c.p.p., che innescava un meccanismo di sospensione automatica del processo, con il risultato che, nonostante la presentazione della richiesta di rimessione, il giudice può valutare se essa è manifestamente infondata oppure è una mera reiterazione di una precedente richiesta, potendo anche pronunciare sentenza.

Attualmente esistono due ipotesi di sospensione del processo: 1) sospensione facoltativa: può essere disposta dal giudice o dalla Cassazione quando viene proposta una istanza di rimessione, con il risultato che si sospende il processo e si attende la decisione; 2) sospensione obbligatoria: il giudice sospende il processo, e non può pronunciare sentenza, quando la Cassazione ha deciso che si debba discutere la richiesta, cioè ha deciso che essa non è manifestamente infondata o non costituisce una riproposizione di una precedente richiesta. Questo tipo di decisione è puramente organizzativa perché adottata dal primo presidente della Corte di Cassazione, il quale, qualora, in base agli atti presentati, si accorga che, prima facie, la questione potrebbe terminare in una declaratoria di inammissibilità, assegnerà la questione ad una apposita sezione. Una volta che il presidente abbia invece attribuito la richiesta ad una sezione diversa da quella sopra descritta, il giudice dovrà sospendere obbligatoriamente il processo in attesa della decisione. In questo caso il controllo del presidente è solo formale e non sfocia in alcun provvedimento a contenuto decisorio, implicando una sospensione comunque non discrezionale. La sospensione del processo implica inoltre la sospensione dei termini di custodia cautelare (si sospetta un’incostituzionalità di tale sospensione per violazione della libertà personale in quanto verrebbe richiesto un atto motivato dall’autorità giudiziaria, mentre in questo caso l’atto da cui dipende la sospensione è il decreto del presidente della Corte di Cassazione che ha natura organizzatoria e non è motivato) e quella dei termini di prescrizione ma solo nel periodo che va dall’assegnazione della causa alla sezione, alla restituzione degli atti al giudice.

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