Premessa

 

Nel corso della serata, rivolta all’analisi della cultura riformista in Italia e all’approfondimento della controversa questione delle possibili riforme del mercato del lavoro, i relatori si sono presentati come assertori entrambi di un atteggiamento riformistico, sebbene dotato di valenze e significati diversi, coerenti con le due anime della Sinistra politica da essi rappresentata. Siccome, peraltro, il contraddittorio fra i due ospiti è stato piuttosto contenuto, diamo conto separatamente delle due posizioni, integrando i diversi momenti dell’intervento in un testo complessivo e lasciando spazio separato solo ad una replica particolarmente significativa.

 


  1. Pietro Marcenaro:  servono politiche per un’insicurezza controllata

 

In apertura del suo intervento Pietro Marcenaro, anche alla luce del proprio passato sindacale, ha deciso di considerare la situazione globale del lavoro, sottolineandone anzitutto la dipendenza dall’enorme aumento dell’incertezza del sistema economico nel mondo contemporaneo. L’incertezza economica si trasforma in insicurezza per i lavoratori, siano essi tipici o atipici. Da ciò scaturisce dunque la necessità di politiche per la riduzione dell’insicurezza e per la sua ridistribuzione con criteri di maggiore equità, in grado di migliorare la situazione attuale, nella quale ad essere meno garantiti sono proprio i soggetti più deboli.

Il relatore sostiene quindi che non bisogna rassegnarsi alla fine della sicurezza, né contrapporre sicurezza e libertà. Occorre piuttosto realizzare una sicurezza compatibile con la modernità, al contrario di quanto appare nell’attuale proposta governativa di riforma dell’Articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, nella quale la tutela dei diritti viene talora presentata come ostacolo alla modernizzazione del mercato del lavoro.

 

2.      Prevenzione della disoccupazione e concertazione

 

Una politica che cerchi invece di ridurre l’insicurezza deve basarsi su forme di prevenzione della disoccupazione, intervenendo sul piano della legislazione, del welfare e soprattutto dei contratti. In quest’ultimo ambito, bisogna sottolineare che i contratti di lavoro «non si sono occupati mai di lavoro», nel senso che hanno trascurato la questione della stabilità dell’impiego, ottenibile ad esempio mediante opportune strategie di formazione. Da ciò scaturisce la necessità di politiche nuove, come la realizzazione di sperimentazioni concertate. Un simile obiettivo può essere raggiunto da un riformismo che parta dai problemi del lavoro come problemi interni ad un sistema di relazioni fra le parti. Non ci può essere riformismo senza concertazione: quindi occorre una diverso modo di intendere il bipolarismo, un bipolarismo mite, capace di consentire il dialogo fra maggioranza ed opposizione e di superare l’instabilità politica costante che si è sostituita all’instabilità di governo della prima Repubblica.

 

3.      Franco Debenedetti: non basta dire No.

 

Secondo Franco Debenedetti, la situazione fortemente negativa del mercato del lavoro italiano (ampie zone di disoccupazione, lavoro nero, carenza di manodopera in certe aree, troppi disoccupati di lungo periodo) dipende da un eccesso di garanzie per chi è già occupato, garanzie che tengono fuori dal lavoro i non garantiti. Dunque una riforma che renda più facili i licenziamenti è, per ragioni di equità, assolutamente necessaria, sebbene la proposta del governo a questo proposito appaia, per così dire, piuttosto ?raffazzonata?. Allo stesso tempo è da respingere l’atteggiamento di una Sinistra che non propone alternative, a maggior ragione sostenendo un referendum, quello sull’estensione dell’Articolo 18, per cui il No dovrebbe essere, nell’opinione del relatore, affermato con decisione. Una forza che voglia essere di governo ha infatti l’obbligo di marcare le differenze rispetto all’avversario, facendo proposte piuttosto che limitandosi a giocare di rimessa rispetto all’agenda dettata da quest’ultimo. Non ci si nasconde che esistono delle difficoltà a questo proposito: la Sinistra ha vissuto a lungo nel modello socialdemocratico e ora manca di modelli alternativi, ma ciò non toglie che il riformismo sia ad essa indispensabile.

 

4.      Crescita e flessibilità

 

Occorre dunque che la Sinistra accetti la necessità di imboccare la strada della crescita economica con la consapevolezza che le strade alternative al mercato non appaiono praticabili: l’affermazione dei diritti deve dunque tener conto dei contesti economici reali. In questa prospettiva la bassa crescita dell’economia continentale dipende da scarsa concorrenzialità ed eccessiva protezione: forti sicurezze occupazionali sono dunque un ostacolo a un migliore mercato del lavoro. Il relatore ribadisce quindi che il rifiuto della rigidità non deve essere necessariamente inteso come posizione favorevole alla limitazione dei diritti: piuttosto è proprio la rigidità a limitare determinati diritti per un numero più ampio di lavoratori. Del resto occorre riconoscere che una maggiore flessibilità del lavoro non implica necessariamente il conformarsi al modello americano, ma rendere più possibile il dialogo fra domanda e offerta.

 

5.      Una replica di Marcenaro: sicurezza e flessibilità

 

Tornando sul tema della sicurezza, replicando alle affermazioni di Debenedetti, Marcenaro ribadisce che rinunciare alla sicurezza in assoluto è erroneo, in quanto la sicurezza occupazionale non è l’unica variabile che influisce sui tassi di crescita economica. La flessibilità in sé non è né buona né cattiva: deve piuttosto essere pensata come condizione di partenza su cui costruire una nuova sicurezza intesa non come protezione, ma come presenza di prospettive di benessere per il futuro. Ciò è tuttavia realizzabile solo con un riconoscimento dei vincoli e delle compatibilità necessarie: da questo punto di vista dovrebbe essere rifiutato il Sì al referendum per l’estensione dei diritti dell’art. 18 (ma dal pubblico si manifestano anche alcuni dissensi in proposito), in quanto tale proposta comporterebbe una rottura simbolica rispetto all’equilibrio fra le parti, trascurando il fatto che il diritto fondamentale che deve essere tutelato è quello al licenziamento con giusta causa, piuttosto che all’obbligo di reintegro che i promotori del referendum vorrebbero estendere.

 

 

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