L’avvocato Mario Boccassi ha introdotto l’incontro, sottolineandone la continuità con il ciclo giuridico organizzato dall’Associazione Cultura e Sviluppo a inizio 2006, un’appendice opportuna e necessaria dal momento che l’attualità del tema in oggetto è indiscutibile e la pratica del problema è quotidiana. Sono all’ordine del giorno notizie di aggressioni in case, in ville, in esercizi commerciali, e il cittadino sempre più insistentemente chiede come difendersi. La legittima difesa è un istituto conosciuto nei secoli – dal diritto romano al diritto canonico – che ai nostri giorni si ripropone forse con maggiore drammaticità, ponendoci di fronte a interrogativi inquietanti in relazione soprattutto al fatto se vi sia stata o meno un’evoluzione in senso etico, sociale, in una parola di civiltà.

Vim vi repellere licet è un broccardo latino che ci aiuta a comprendere come una reazione violenta a un’aggressione violenta sia da sempre considerata nell’ordine delle cose. Il nostro Codice aveva già provveduto a disciplinare l’istituto della legittima difesa, in maniera tutto sommato efficace e conforme alla nostra civiltà, consentendo una reazione legittima a un’offesa ingiusta secondo un criterio fondamentale che è quello della proporzionalità, ovvero la non possibilità di eccedere rispetto all’offesa. Esisteva parimenti un limite rappresentato dalla difesa della propria integrità fisica e, soprattutto, non si faceva cenno all’uso delle armi. L’invasione normativa della precedente legislatura ha creato una nuova legge che modifica il criterio di interpretazione e di struttura della legittima difesa. La nuova norma disciplina, in particolare, la possibilità che le armi vengano utilizzate per difendere diritti legittimi e proprio quest’ultimo punto costituisce un aspetto molto delicato e controverso, autorizzando, in sostanza, la vittima a farsi giustizia da sé, senza più processo, ma con una sentenza immediata che è quella capitale. Si tratta senza dubbio di un’enormità, considerando ? fatto non trascurabile – che la nostra Costituzione non prevede la pena di morte. Malgrado la sensazione di non sentirsi adeguatamente difesi sia reale e diffusa, è paradossale che il cittadino chieda al legislatore di affidargli ciò che dovrebbe demandare allo Stato ed è evidente, in questo paradosso, la debolezza per non dire la sconfitta dello Stato di diritto. Se è legittimo non arrendersi di fronte alle prepotenze e alle violenze di persone prive di scrupoli, è altrettanto doveroso guardare criticamente a leggi che consentono l’attuazione di una sorta di ?Far West nostrano?, espandendo non di poco il rapporto di proporzionalità, pilastro della vecchia disciplina.

Il problema è dunque complesso e suscita molti interrogativi. Dopo aver ascoltato, durante un precedente incontro organizzato dall’Associazione, le tesi fortemente critiche nei confronti della nuova normativa espresse da Mauro Anetrini, Marcello Maddalena e Gianpaolo Zancan, i relatori della serata, Mauro Ronco e Rosario Spina, hanno invece argomentato a favore, sostenendo, malgrado alcuni ?difetti? tecnici, la sostanziale validità della legge recentemente approvata e introdotta.

 

Per meglio contestualizzare gli interventi ecco il testo della legge del 13 febbraio 2006 n. 59 intitolata ?Modifica all’articolo 52 del codice penale in materia di diritto all’autotutela in un privato domicilio?, costituita da un unico articolo che ha aggiunto due commi all’art. 52 del Codice penale.

?Nei casi previsti dall’articolo 614, primo e secondo comma, sussiste il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo, se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere:

a. la propria o la altrui incolumità:

b. i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione.

La disposizione di cui al secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale?.

È dunque evidente che anche nel caso del reato di violazione di domicilio (art. 614 del c.p.) sussiste il rapporto di proporzione nella reazione a un’offesa ingiusta e che tale reazione può avvenire anche mediante l’uso di un’arma legittimamente detenuta. L’aggiunta forse più significativa riguarda la possibilità di difendere a mano armata non soltanto la propria o altrui incolumità, ma anche i beni propri o di terzi se il rapinatore non desiste dal suo intento.

 

Secondo l’avvocato Ronco, che ha preso la parola per primo, il tema da trattare è tra i più ardui e i più complessi della nostra giurisprudenza. Ancora prima dell’approvazione della legge sulla legittima difesa si è scatenata, soprattutto a livello giornalistico, un’esercitazione di carattere critico che ha prefigurato, come anticipato dall’avvocato Boccassi, scenari inquietanti di giustizia sommaria da Far West. In realtà, secondo il relatore, non è corretto porre la questione in questi termini, in quanto, prima di svolgere delle critiche, occorre cogliere la legge nel suo pieno sviluppo genetico. Di recente Mauro Ronco ha scritto un saggio intitolato ?Precomprensione ermeneutica del fatto tipico e principio di legalità?, nel quale cerca di mettere in evidenza i due momenti della formazione della norma. Da un lato il fatto da cui nasce la norma, anche quella penale, dall’altro l’interpretazione dei giudici, coadiuvati dalle parti, che assesta la norma stessa. Una legge non è semplicemente ciò che appare dal dato letterale, ma va compresa attraverso il suo processo genetico; bisogna dunque capire a quale esigenza fattuale e storica risponda prima ancora di consolidarsi in un testo letterale e di essere successivamente interpretata. L’interpretazione, che costituisce l’ultimo passaggio del processo genetico, è forse l’aspetto più significativo e serve a cristallizzare la norma e a darle un senso compiuto.

Contestualizzando il problema in questi termini, è evidente che, rispetto alla legge sulla legittima difesa, c’è un’esigenza reale, un’esigenza di una difesa a tutela anticipata dell’incolumità personale rispetto all’attività di carattere aggressivo del soggetto che si trova flagrantemente in una posizione di ingiustizia. I recenti, drammatici fatti di cronaca portano a ritenere non solo giusta ma anche necessaria la riforma approvata, in quanto il crimine associato all’intromissione nel domicilio altrui è nell’epoca attuale divenuto particolarmente offensivo, associando al tradizionale reato patrimoniale quello invasivo della persona. La questione della tutela anticipata impone dunque di estendere la legittima difesa a situazioni di pericolo immanente e non solo attuale. La normativa precedente tendeva a risolvere tutto con il criterio di proporzionalità, creando, di fatto, eccessiva discrezionalità nell’applicazione ed evidenziando la necessità di introdurre dei criteri di valutazione più determinati secondo un principio di legalità.

 Se svolgiamo una breve indagine di diritto comparato, riferendoci a sistemi contemporanei europei, scopriamo che vi sono situazioni molto diverse da quelle che il nostro Codice ha cristallizzato settant’anni addietro. Il Codice penale tedesco, che ha avuto una riforma molto ampia nel 1975, dopo aver statuito al paragrafo 32 il principio della legittima difesa con norma ancora più generica di quella del Codice italiano, stabilisce al paragrafo 33 il principio per cui non è punita la vittima che abbia oltrepassato i limiti della legittima difesa a causa di confusione (Verwirrung), paura (Furcht) e spavento (Schrecken). Si tratta di una norma liberatoria, che non solo non prevede l’eccesso colposo – contemplato dalla normativa italiana – ma addirittura non punisce la vittima che reagisce. Il Codice penale francese, riformato nel 1993, introduce all’articolo 122 – 6 comma 2 la presunzione che abbia agito in stato di legittima difesa l’autore di un atto compiuto: 1. per respingere di notte l’ingresso in un luogo abitato realizzato con effrazione, violenza o inganno; 2. per difendersi contro gli autori di furti o danneggiamenti eseguiti con violenza. La presunzione prevista da quest’articolo non implica tanto un’inversione dell’onere probatorio, ma esclude addirittura che il requisito della proporzione tra i mezzi impiegati e la gravità dell’aggressione possa funzionare in tutti i casi in cui la difesa del bene patrimoniale deve prevalere, anche a costo di attingere la vita dell’aggressore. Il Codice penale spagnolo, entrato in vigore nel 1995, stabilisce un principio praticamente identico: all’art. 20/4 sancisce la non punibilità di chi abbia agito per difendere la persona o i diritti propri o altrui contro un’aggressione illegittima, precisando che, in caso di difesa dei beni, ogni attacco nei loro confronti è considerato aggressione illegittima quando realizzi una situazione di grave e incombente pericolo di loro deterioramento o perdita; allorché la vittima agisca in difesa della dimora anche il solo ingresso indebito è considerato aggressione illegittima. Quanto al giudizio di proporzione tra difesa e offesa l’art. 20 stabilisce che la reazione è sempre legittima quando la vittima abbia adoperato un mezzo ispirato razionalmente al principio della necessità.

Il diritto comparato ci mostra dunque che il problema è assolutamente reale e non inventato ingegnosamente dal legislatore italiano per motivazioni demagogiche o politiche, per rispondere alla domanda dei cittadini che vogliono manifestare la propria volontà di reazione contro la pericolosità  di bande sempre più efferate e temibili. Per venire al cuore della nuova norma, l’art. 52 mantiene tutti i requisiti fondamentali, in primis i requisiti della proporzione e della necessità. Viene individuata semmai una nuova modalità di difesa, partendo da un dato effettuale, ovvero l’uso legittimo di un’arma o di un altro mezzo idoneo di coazione fisica al fine di difendere la propria o l’altrui incolumità. L’uso legittimo delle armi mantiene tuttavia al suo interno il requisito della proporzione: non si può usare un’arma da fuoco se si può utilizzare un mezzo diverso. Ciò che è variato è semmai il profilo dei rapporti di proporzione tra i poli della condotta della reazione. Viene meno invece il requisito dell’attualità del pericolo; il pericolo è sempre immanente e non attuale e dunque si offre al cittadino la possibilità di anticipare il momento dell’aggressione diretta. La difesa dei beni propri o altrui è consentita poi solo quando non vi sia desistenza, ovvero di fronte a un’azione illegittima in itinere, in flagrante, che prosegue, e vi sia pericolo di aggressione. Anche se non è esplicitato chiaramente non si può non cogliere che si tratta di un’aggressione alla persona. La norma che appare così strana mantiene dunque il requisito della proporzione e della necessità, spostando soltanto i termini dell’attualità del pericolo e offrendo un mezzo di reazione anticipata. Questo fatto è perfettamente spiegabile in riferimento alla situazione reale. La norma in conclusione non è per Ronco scandalosa e, malgrado tutte le imperfezioni tecniche del caso, risponde a un problema reale che meritava di essere affrontato, come dimostrano i testi del diritto comparato. Sarà compito della giurisprudenza e della dottrina precisare chiaramente i termini dell’esatta applicazione

 

Il dottor Spina, dopo aver esplicitato di trovarsi in una posizione di sostanziale accordo con l’avvocato Ronco, ha precisato come il cittadino comune abbia accolto la nuova normativa in maniera sicuramente positiva, ma anche ingenua, ritenendo, dietro forzatura dei media, che in Italia sia stata introdotta una sorta di licenza di uccidere che indurrà i privati a dotarsi di armi, secondo un modello di società americano. I fatti dimostrano che le cose non sono andate così e, dopo l’approvazione della legge, non si è verificata una corsa alle armerie per acquistare un’arma al fine di difendersi. Di fatto manca un background culturale diffuso che consenta di comprendere quanto fosse già normativizzato dal nostro diritto; la nuova norma ha aggiunto semplicemente un comma a un primo comma che è rimasto intonso. I concetti di necessità, di azione-reazione con riferimento all’ineluttabilità e all’impossibilità di fare altrimenti (il famoso commodus discessus), il problema della proporzione, dell’attualità del pericolo sono rimasti assolutamente intatti, non essendo stato modificato l’articolo 52. La legge, dal punto di vista lessicale, regge bene e aldilà della formulazione sistematica, la norma esprime chiaramente ciò che vuol dire. Nella legislazione feroce degli ultimi anni, con l’abolizione dell’inciso, del comma, del riportarsi ad altra norma, è venuta a mancare spesso l’univocità dei termini adoperati. Attraverso questa legge il legislatore esprime perfettamente ciò che vuole dire e il cittadino non può che comprendere il significato lessicale delle parole stesse.

Ciò detto, è possibile fornire delle modeste coordinate di lettura a questa norma. Innanzitutto l’articolo 52 rappresenta una maggiore specificazione del primo comma ? che resta comunque intatto, rappresentando l’architrave dell’istituto –  limitando l’ambito di applicazione. In secondo luogo è rimasta la proporzione, ma determinata in termini legislativi, di carattere giuridico, non corrispondente alla comune accezione che l’utente ha del rapporto di proporzione. In riferimento all’art. 614 dell’ipotesi di violazione di domicilio, il requisito di proporzione, pur rimanendo citato, di fatto è negato. Mentre infatti la proporzione di cui al primo comma è oggetto di interpretazione e rimangono aperti tutti i dubbi e le capacità di interpretazione legati all’offesa ingiusta e alla reazione all’offesa ingiusta con riferimento ai beni tutelati o ai mezzi adoperati, il 614 ha ridotto l’ambito di operatività della norma stessa. In relazione dunque al secondo comma ci troviamo di fronte a un inequivocabile assottigliamento del confine tra la legittima difesa e l’eccesso colposo della legittima difesa. Resta fermo il requisito della necessità, anche se, in un’ipotesi di violazione del domicilio, un commodus discessus è difficilmente e concettualmente individuabile. L’archetipo normativo permane tuttavia quello del primo comma, ovvero l’attualità del pericolo; semmai, come già osservato dall’avvocato Ronco, vi è un’anticipazione del momento dell’attualità. 

In conclusione questa norma, che necessita sicuramente di essere interpretata nell’ambito della storia del processo, è secondo il dottor Spina il frutto, in qualche misura, di una spinta emozionale, dell’esasperazione della collettività. L’errore di fondo, che ha contribuito a creare un certo tipo di clima, è da attribuirsi a molti pubblici ministeri che, sottoponendo immediatamente  il cittadino che si è difeso a indagini per delitto di omicidio volontario e rimandandolo spesso al giudizio di una corte di assise composta da giudici popolari, hanno fatto sì che si avviassero procedure penali lunghe ed estenuanti, che finivano per concludersi, nella peggiore delle ipotesi, con la condanna per eccesso colposo e, più frequentemente, con un provvedimento di archiviazione. L’effetto più eclatante che potrà sortire questa legge è che si è assottigliato cospicuamente il confine tra eccesso colposo e legittima difesa, in relazione soprattutto al concetto di necessità. Sarà comunque possibile una lettura che non consentirà l’attuazione di uno scenario da far west come molti giornali e molti opinionisti hanno adombrato.

L’avvocato Ronco ha quindi replicato alle riflessioni del dottor Spina.

Se la dottrina e la giurisprudenza non avessero limitato la portata della legittima difesa attraverso l’inserzione di requisiti che in essa non erano previsti forse non si sarebbe sentita la necessità di questa riforma. Con la nuova normativa precisativa si è riportata la legittima difesa a ciò che essa è realmente nella sua storia e nella sua ratio, restituendo valore all’aspetto fondamentale della diversità delle posizioni e della condotta tra l’aggressore e l’aggredito. Ronco concorda pienamente con Spina nell’attribuire a molti pubblici ministeri il fatto di aver trascinato in lungo situazioni processuali risoltesi al massimo con l’eccesso colposo. ?Ribellarsi contro la parificazione di trattamento all’inizio delle indagini preliminari tra aggressore e difensore non significa misconoscere il diritto-dovere di sottoporre al controllo di illegalità anche il comportamento di colui che si è difeso dall’aggressione altrui, ma [?] è incongruo vanificare nell’immediata considerazione giuridica la differenza qualitativa tra i due tipi di condotte. Ciò determina nell’opinione pubblica un sentimento di sospetto verso il diritto di difendersi contro l’aggressore, contrastante con una equilibrata visione della giustizia penale. [?] Sul piano operativo, il ritorno a una corretta definizione del rapporto tra aggressione e difesa implica che sia riguadagnato un appropriato concetto antropologico dell’uomo, come soggetto attivo di moralità e di giuridicità, e non semplice destinatario passivo delle norme penali [?]. Ciò non toglie che possano essere utili interventi legislativi volti a precisare l’effettiva portata della legittima difesa. Spetta anche al legislatore rimarcare contro scelte giurisprudenziali corrosive, il primato della difesa legittima contro l’ingiusta aggressione, soprattutto allorché l’aggressore ha dimostrato di voler acquisire l’ingiusto profitto patrimoniale pure a costo di provocare danno alla sfera personale della vittima?.

            Il dottor Spina, pur puntualizzando di non condividere appieno questa legge, ha ribadito come non siano reali gli effetti devastanti che l’opinione pubblica ritiene possano prodursi a seguito dell’applicazione della norma stessa. Inoltre, per rispondere più precisamente all’avvocato Ronco, il secondo comma dell’art. 52, indicando già il rapporto di proporzione entro certi termini, ha colmato un vuoto interpretativo del primo comma, normativizzando tuttavia un rapporto di proporzione che non corrisponde all’accezione fattuale.

 

Il successivo dibattito ha fatto emergere alcune opinioni vivacemente contrastanti con quanto asserito dai due relatori.

In particolare, è stato evidenziato come la nuova disciplina non si limiti a tutelare in maniera più sentita il cittadino in pericolo, ma, col legittimare la difesa a priori, finisca per attribuire al privato quel potere di autotutela, quel farsi giustizia da sé, quel ruolo di garanzia che dovrebbe spettare al sistema normativo e a quello della pubblica sicurezza. Questa legge violerebbe dunque un principio fondamentale della nostra civiltà, secondo il quale la sicurezza dei cittadini non può essere delegata all’autodifesa ma deve essere garantita dallo Stato.

          Inoltre la legge potrebbe anche essere considerata incostituzionale, perché in aperto contrasto con l’Art. 2 della Costituzione che ?riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo? e tra questi quello della vita umana, il cui valore è certamente superiore rispetto a quello patrimoniale. Anteporre al valore della vita la tutela del domicilio e/o dei beni è certamente segno che la scala dei valori è stata violentata e stravolta.

Infine parlare in generale, come ha fatto in un primo momento l’avvocato Ronco, di pericolosità e di efferatezza di albanesi e slavi senza circostanziare che si tratta di bande criminali attive sul nostro territorio pare una generalizzazione impropria, che contribuisce a creare pericolosi stereotipi.

 

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