La Rivoluzione conservatrice di George W. Bush è uscita nuovamente vittoriosa dalle urne statunitensi. La conferma del presidente repubblicano, per certi versi inaspettata, soprattutto nelle opinioni pubbliche europee, mostra la forza di una coalizione politica e culturale di una destra composita che è stata in grado di mettere le une accanto alle altre paure e aspettative di una parte consistente e maggioritaria dei cittadini degli Stati Uniti.

 

GIOVANNI BORGOGNONE ha illustrato sistematicamente la composizione della destra americana, insistendo in particolare su idee e valori di riferimento. Dopo un documentato excursus storico, che ha preso le mosse dall’analisi del filone isolazionista della Old Right, con le sue componenti fondamentaliste, tradizionaliste e talora apertamente filo-nazionalsocialiste e antisemite, ha sottolineato i valori dell’attuale destra religiosa, i valori degli Stati del Sud, di quella parte degli USA che viene definita come «Bible belt» (Cintura della Bibbia). Si dice che gli Stati Uniti non abbiano mai subito un’occupazione militare, ma in realtà gli Stati del Sud sono stati occupati, dopo la Guerra civile americana, dalle truppe del Nord. Un Nord moderno, industriale, più internazionalista del resto del Paese. Il Sud, invece, restò, anche dopo la conclusione di quel conflitto, il cuore della «deep America», l’America che difende le tradizioni religiose, meno aperta al mondo, più isolazionista, diffidente nei confronti dell’establishment, nei confronti del sistema politico.

È questa l’America nella quale è cresciuto negli ultimi decenni il fondamentalismo protestante, fortemente appoggiato e pubblicizzato dai telepredicatori, che assomiglia molto, nella sostanza, al fondamentalismo islamico. Si tratta di una destra religiosa e antimoderna che promuove una sorta di Jihad americana. D’abitudine si indicano gli Stati Uniti come la patria della globalizzazione, ma se per globalizzazione si intende interdipendenza e apertura al mondo, questa parte del Paese rappresenta davvero tutt’altro. Anche l’interventismo di Bush non è in realtà in contraddizione con questi sentimenti, ma ne rappresenta semplicemente una sorta di prosecuzione, di conseguenza pratica. Nel senso che, se al centro di tale sistema di valori vi è l’idea di difendere da ogni minaccia questa «terra benedetta da Dio», con  i suoi valori religiosi, morali e politici, allora, quando la minaccia arriva da fuori, è giusto intervenire anche all’esterno.

Accanto a questa componente cristiano-fondamentalista, la destra americana annovera anche una seconda anima, composta da molti intellettuali, i cosiddetti neocons (neoconservatori). La parola neoconservative apparve per la prima volta nel 1973, in un articolo di Michael Harrington sulla rivista di sinistra «Dissent». Si trattava di una critica rivolta a un gruppo di persone e di intellettuali della sinistra newyorchese che da anni criticava la deriva illiberale e anitiamericana della sinistra americana, e che aveva preso nuovo vigore dopo il clamoroso fallimento della candidatura di George McGovern nel 1972. Fino ad allora nessuno li aveva mai definiti di destra o repubblicani. Erano liberal di sinistra. I neocons sono diventati molto influenti dopo l’11 settembre 2001, perché avevano un piano preciso e concreto per rispondere all’attacco subito dagli Stati Uniti: diffondere in tutto il medio oriente i valori democratici americani. Irving Kristol, considerato il padrino del gruppo li definì «liberal assaliti dalla realtà». Se si prende in considerazione, osserva il relatore,  un intellettuale di sinistra, magari con un passato socialista, diventato poi anticomunista, si ritrova probabilmente un neocons di prima generazione (non a caso, i neoconservatori sono fortemente sponsorizzati dal Foglio di Giuliano Ferrara, che ha avuto una storia politica molto simile). Nell’Amministrazione Bush il «neocons capo» è Paul Wolfowitz, vice di Donald Rumsfeld al Pentagono. Suo grande amico,  fuori dalle istituzioni, è Richard Perle, ex capo del centro studi del Pentagono. Molto influente è anche Lewis Scooter Libby, capo di gabinetto del vicepresidente Cheney.

Un ruolo sicuramente determinante è stato rivestito dal Pnac (Project for the New American Century) nel cementare l’alleanza dei neoconservatori con la destra repubblicana guidata da Dick Cheney e Donald Rumsfeld e con la destra cristiana. Un’alleanza che contribuì nel 2000 alla vittoria dei repubblicani e all’elezione di George W. Bush alla Casa Bianca. Sostenuto dalle associazioni sioniste americane, dai fondamentalisti cristiani e dal re dei media Rupert Murdoch, il Pnac, ancora durante l’amministrazione Clinton, preparò il piano per un profondo cambiamento nella politica estera americana: invocò l’invasione dell’Iraq, un sostegno forte alla repressione israeliana nei territori palestinesi, il bombardamento delle basi hezbollah in Libano e campagne militari contro la Siria e l’Iran. In ordine alla politica medio-orientale i neocons sostengono gli elementi più intransigenti di Israele e il partito Likud, favorevole alla formazione di nuove colonie in territorio arabo.

Borgognone, infine, si sofferma sul ruolo determinante che ha giocato il populismo nel decretare il successo di Bush, il quale ha fatto propria la visione anti-establishment, fortemente radicata nel Paese; alcune settimane fa, ad esempio, nel rispondere a delle critiche, egli si è sorprendentemente scagliato contro le lobby di Washington, quasi che alla Casa Bianca ci fosse qualcun’altro. In effetti, da Reagan in poi la fazione populista ed estremista del Partito Repubblicano ha preso il sopravvento sulle altre componenti interne più legate alla tradizionale visione conservatrice. La voglia di autonomia dei singoli Stati e il sentimento anti-establishment sono molto forti. Quanto al tema del ruolo e dell’importanza delle moltissime associazioni attive nel Paese, va ricordato che Bush ha insistito molto durante la campagna elettorale sulla loro funzione imprescindibile. La tesi del «conservatorismo compassionevole» sviluppata da Bush in occasione della sua prima candidatura alla Casa Bianca, presentava proprio il volontariato religioso e le associazioni caritatevoli legate al fondamentalismo protestante – in contrapposizione al sistema federale del vecchio welfare visto dai repubblicani come una sorta di residuo socialista – come la migliore risorsa per affrontare la povertà e l’esclusione sociale.

 

VALTER CORALLUZZO si sofferma in particolare sui possibili riflessi in politica estera dell’esito delle elezioni presidenziali. Dopo le prime nomine sostitutive volute dal presidente Bush, in particolare con la promozione di Codoleeza Rice alla carica di Segretario di Stato e la conferma di Donald Rumsfeld alla Difesa, il quadro complessivo è ora meglio definito, anche se vi sono ancora elementi di incertezza. Più precisamente, il relatore osserva che vi sono tre possibili scenari diversi, a seconda che prevalgano elementi di continuità o di mutamento: 1) meno unilateralismo, dovuto anche e soprattutto al fatto che Bush è ormai al suo secondo mandato, e non dovrebbe più essere condizionato da preoccupazioni elettorali, bensì dalla possibilità di compiere scelte storiche, capaci di ottenere un consenso più ampio da parte degli altri Paesi; 2) un processo di normalizzazione, secondo cui, senza particolari svolte, si esca a poco a poco dalla situazione di emergenza, mantenendo saldo però il primato degli interessi americani; 3) l’esasperazione dell’influenza dei neoconservatori, e una conseguente politica di espansione, molto aggressiva e con accenti fortemente unilaterali.

L’ipotesi che Coralluzzo ritiene più probabile nasce da una mediazione delle alternative appena presentate; egli ritiene plausibile, in particolare, che la politica neoconservatrice si concentri soprattutto all’interno del paese, attutendo l’ingerenza internazionale, ma allo stesso tempo cercando un’assoluta fedeltà alla linea nella politica interna, anche per rispondere alla mobilitazione della moral majority, verso la quale il Presidente è sicuramente debitore per la sua rielezione. La questione nuova, dunque,  potrebbe essere rappresentata da una probabile crisi dei diritti civili.

Certamente, conclude il relatore, è ingenerosa e ingenua una critica pregiudiziale e radicale nei confronti dei conservatori americani. Dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 a New York, vi era un’esigenza concreta di ripensare il mondo, e i neocons hanno avuto il merito di proporre una visione precisa, e di tradurla in una vera e propria missione. Ma restano aperte tutte le questioni di legittimità e di opportunità delle scelte compiute nei primi quattro anni dell’amministrazione Bush, anche alla luce di una crescente delegittimazione delle istituzioni internazionali.

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