Sintesi della relazione a cura del dr. mario garavelli (Presidente della Corte di Appello di Genova)

 

 

La scottante attualità del tema della serata trova evidente riscontro nella ?gravità? della domanda che diffusamente l’opinione pubblica italiana sembra porsi in questi mesi ossia, se sia vero che nel decennio 1992-2002 i magistrati abbiano fatto e stiano ancora facendo ?politica?. E se è importante tentare di individuare argomentazioni convincenti per rispondere innanzitutto a tale questione, è altrettanto utile precisare meglio il senso del rapporto che deve intercorrere tra politica e magistratura all’interno di una ?sana? dinamica costituzionale tra i poteri dello Stato.

Tuttavia, per procedere con pertinenza alla disamina delle problematiche testé accennate, pare opportuno accennare innanzitutto alle peculiarità ?sociologicamente? messe in luce dal ceto dei magistrati negli ultimi centocinquanta anni. A ben vedere, infatti, non possiamo non considerare come per tutto il xix secolo la magistratura costituisse per così dire un corpo ?omogeneo? con il potere politico e, in generale, con tutte le classi dirigenti: questo, peraltro, un po’ in tutti i Paesi europei costituzionalmente più evoluti.

La caratterizzazione fortemente ?classista? (in senso nobiliare e maschile) della magistratura si è mantenuta anche in Italia fino al secondo dopoguerra, fino a quando si sono manifestati almeno due fattori in grado di cambiare il carattere generale (sempre da un punto di vista sociologico) della magistratura: da un lato, il pro-gressivo ingresso delle donne (che oggi rappresentano oltre la metà dei candidati ai concorsi) e, dall’altro, la prevalente provenienza delle nuove leve di magistrati dalla piccola e media borghesia rispetto al retaggio dalla grande borghesia e dalla nobiltà di un tempo.

A fianco di questi due fenomeni di natura sociologica, va poi ricordato (soprattutto) quanto sancito dalla Costituzione dell’Italia repubblicana la quale ha stabilito nel 1948 l’indipendenza e l’autonomia della magistratura rispetto agli altri organi dello Stato ? massimamente rispetto al potere esecutivo, seppure all’interno di un sapiente gioco di equilibri e di ?pesi e contrappesi? tra i diversi poteri costituzionali ? dando alla magistratura il proprio organo di governo rappresentato dal Consiglio Superiore della Magistratura (composto da venti membri eletti dai magistrati e dieci eletti dal Parlamento e presieduto dal Capo dello Stato) e delineando un sistema di ?governo autonomo? complessivo tale da essere considerato alla stregua di un modello da imitare da parte di altri Paesi democratici.

All’interno di questa analisi storica, è necessario tuttavia mettere in luce anche gli aspetti negativi e i limiti funzionali che, almeno dal 1948, sono emersi nella magistratura italiana. Infatti, a ben vedere, tutti gli anni Cinquanta e Sessanta sono stati caratterizzati dalla copiosità di richieste di tipo corporativo poste dalla magistratura al sistema politico italiano: richieste relative alla possibilità di compiere con ?facilità? la propria carriera professionale da parte dei magistrati (carriera senza esami progressivi obbligatori); richieste relative all’ottenimento di buoni trattamenti economici; richieste, infine, relative al non essere sottoposti a eccessivi ?controlli? nel proprio operato professionale.

Ebbene, la quasi totalità di tali richieste ha ottenuto sì soddisfazione, ma con il grave risultato che complessivamente la magistratura ha perso negli ultimi cinquanta anni efficienza funzionale a scapito della snellezza e brevità dei processi ? e si è contribuito in questo modo a creare tra i cittadini un grave senso di sfiducia nell’istituzione e, in generale, nel ruolo dello Stato nel suo fare ?giustizia?.

Ci si potrebbe domandare, a questo punto, la ragione di un comportamento del sistema politico-parlamentare italiano così prodigo verso le richieste corporative della magistratura tanto da accettare come ?male minore? l’inefficienza della stessa, ma la desolante risposta circa l’inevitabilità di un siffatto comportamento e di una siffatta situazione risulta ancora più emblematica se si considera che un po’ in tutto il mondo il potere politico non ha interesse ad avere una magistratura particolarmente ?efficiente?, poiché l’obiettivo intrinseco del sistema politico risulta essere proprio quello di evitare il più possibile il controllo dei risultati (persino quando questi paiono positivi).

Questo può dunque in buona parte spiegare perché nell’Italia repubblicana non si è riusciti ad approvare significative riforme del sistema giudiziario e perché, per esempio, il nuovo codice di procedura penale varato negli ultimi anni non si presenti assolutamente come uno strumento funzionale e ?funzionante?, avendo il legislatore accolto sull’impianto tradizionale di tipo inquisitorio le principali peculiarità del sistema accu-satorio di matrice anglosassone (ove è estremamente difficile ricorrere al secondo e terzo grado di giudizio) e creando così un processo ?ibrido? dove, alle particolari garanzie del primo grado, si aggiungono i diritti di impugnazione al secondo e terzo grado che determinano inevitabilmente ?ingorghi funzionali? nelle Corti d’Ap-pello e presso la Corte di Cassazione.

Nell’elenco (seppure sommario) dei mali del ?sistema giustizia? in Italia vanno poi menzionati, da un lato, i problemi causati dalla penuria di organico preposto al buon funzionamento della Magistratura (dotata di personale impiegatizio spesso anche poco qualificato professionalmente) e, dall’altro lato, i disagi connessi con la mancata riforma della ?distribuzione geografica? di preture e tribunali secondo principi di maggiore razio-nalità ed efficienza (ad esempio, mentre in Piemonte c’è un’unica Corte d’Appello, in Sicilia ce ne sono ben quattro?). Su tutto va infine notata la vistosa carenza di attrezzature informatiche e la fatiscenza e inade-guatezza di molti edifici giudiziari.

Il quadro delineato parrebbe davvero fare emergere inconfutabili argomentazioni tali da valutare nega-tivamente non solo i problemi specifici della magistratura, ma tutta l’istituzione considerata complessivamente. A ciò potrebbe aggiungersi il senso di disagio del cittadino medio italiano di fronte al grave problema della mancata effettività delle pena. Tuttavia, non si può disconoscere come, seppur ?malata?, la magistratura italiana abbia saputo rispondere ? pagando a volte anche un alto prezzo di sangue ? alle tre grandi ?emer-genze? storiche degli ultimi cinquanta anni, ossia il terrorismo, la mafia e, da ultimo, la corruzione (che si è imposta, dagli anni Novanta, come uno dei problemi verso i quali la magistratura si è più impegnata).

Ma è evidente la maggiore difficoltà oggettiva di contrastare proprio questa terza emergenza rispetto alle prime due; infatti, il cosiddetto fenomeno di Tangentopoli ha coinvolto molto da vicino il sistema politico (quantomeno quello appartenente alla cosiddetta Prima Repubblica) e si è dimostrato assai più impervio da controllare e arginare proprio a causa della sua natura ?compromettente? e della strutturale antipatia del potere politico (o almeno di una sua parte) verso quello che Bettino Craxi e Flaminio Piccoli chiamarono con disprezzo (e spavento) il ?governo dei giudici?.

Da qui è nato il famoso ?ritornello? secondo il quale la magistratura in Italia avrebbe fatto e conti-nuerebbe a fare politica e a seguire disegni politico-strategici ben determinati. Ma, a ben vedere, per quanto non possa essere accettata una simile valutazione (poiché ogni magistrato avvia i procedimenti solo di fronte a dati di reati), ciò che è ancora più grave è rappresentato dal fatto che la nuova classe politica subentrata dopo la crisi della ?Prima Repubblica? e oggi al governo del Paese si è caratterizzata negli ulti-mi anni quale fautrice di espressioni di evidente insofferenza verso l’operato della magistratura, nascon-dendo dietro ad una valutazione negativa riguardo all’inefficienza della macchina giudiziaria, il recondito desiderio di ritornare ad avere le mani ?il più possibile libere? grazie ad una magistratura ?depotenziata? nel proprio ruolo e significato istituzionale (anche nell’immaginario popolare dominato dai media).

E tale operazione, dalle evidenti caratteristiche manipolatorie dell’opinione pubblica, sembra essere condotta dall’attuale maggioranza parlamentare e governativa con grande disinvoltura e con successo grazie anche alla possibilità di fare leva su una certa parte dello ?spirito del popolo? italiano che permane ? tranne gli iniziali momenti di ?Mani Pulite? ? spesso incline ad atteggiamenti di insofferenza verso ogni sorta di regole e di doveri imposti dallo Stato (e qualcuno potrebbe addirittura leggere tutto ciò come una storica propensione degli italiani all’anarchia?) o, per lo meno, incline ad una cultura di (consapevole o inconsapevole) ?disistima? dell’impor-tanza di un buon equilibrio tra tutti i poteri dello Stato, a fondamento di una sana democrazia.

Sempre in tema di ?ritornelli? ingiuriosi contro la magistratura italiana, v’è infine da menzionare quel-lo secondo il quale i magistrati sarebbero prevalentemente delle ?toghe rosse? e, a cominciare dal pool di Milano, il lavoro dei pubblici ministeri sarebbe stato orientato in questo ultimo decennio da strategie poli-tiche di tipo comunista, favorevoli a colpire solo una certa parte di rappresentanti politici (prima dc e psi, poi Forza Italia) e non altri. Ora, è evidente che innanzitutto risulta inimmaginabile che tutti i magistrati siano con un orientamento politico-ideologico di sinistra. In secondo luogo, come già sopra precisato, ogni magistrato avvia i procedimenti solo di fronte a dati di reati e quindi le persone indagate per Tangentopoli sono state chiamate a rispondere di ipotesi di reato con oggettivi riscontri nella realtà e non ?inventate?. In terzo luogo, specificamente per il pool di Milano, è opportuno ricordare che il procuratore generale Borrelli è da sempre un ?liberale?, il pubblico ministero Davigo aderisce a ?Magistratura Indipendente? (la corrente di destra all’interno del csm) e in generale la procura milanese ? se proprio si dovesse cercare un qualche orientamento ideologico ?dichiarato? ? è assai più vicina a posizioni liberal-conservatrici che ?comuniste?.

In conclusione, si deve amaramente ammettere come la crisi attuale del pianeta giustizia in Italia, oltre ad essere causata da ragioni oggettive di inefficienza della magistratura e da suoi limiti strutturali, sembri stia pre-parando il terreno, grazie alla lucida regia delle forze di centro-destra attualmente al governo, all’in-staurazione di un regime ?soft? che non ha bisogno di grandi cambiamenti costituzionali per essere conso-lidato, ma che tende sostanzialmente al risultato di unificare sempre di più il potere legislativo e quello esecutivo (soprattutto con un uso abnorme delle leggi delega).  Il tutto a fronte di un potere della magistra-tura volutamente depotenziato ? e con un csm ridotto dagli attuali trenta membri a soli ventuno membri, con una percentuale maggiore di rappresentanti del sistema politico ? e realizzando conseguentemente un preoccupante disequilibrio dei poteri dello Stato che rappresenta in sé i presupposti per una reale crisi dei principi e del funzionamento della democrazia in Italia e che non può non essere colto con un grido di dolore e di allarme  dalla componente ?sana? (e prevalente) della magistratura.

 

 

 

 




              

                              PRINCIPALI APPROFONDIMENTI DEL DIBATTITO

 

 

 

Il dibattito si è articolato su diversi punti, tra i quali possono essere richiamati in particolare i seguenti:

 

?        Si constata la difficoltà di sensibilizzare l’opinione pubblica italiana sulla discutibilità di molte leggi varate dall’attuale maggioranza (si consideri, in primis, la legge sul falso in bilancio) e sulla discutibilità di un orientamento governativo favorevole a delimitare l’operato e l’indipendenza della magistratura giustificando ciò con il tentativo di migliorarne l’efficienza (si consideri, ad esempio, la proposta di ridurre il numero di membri del csm o la diminuzione delle scorte per certi magistrati). La ragione di tale difficoltà è tuttavia da ricercarsi prevalentemente nell’uso strumentale dei mass-media di proprietà dell’attuale capo del governo o a lui politicamente riconducibili. Infatti, non si può negare l’opera di disinformazione e di ?addomesticamento? dell’opinione pubblica italiana da parte delle reti Mediaset e dei giornali di Berlusconi soprattutto in riferimento al problema giustizia e la gratuita faziosità e falsità di certi slogans secondo i quali tutta la magistratura italiana sarebbe ?rossa?, quando è risaputo che la corrente di ?Magistratura Democratica? rappresenta al massimo il 30% rispetto alla composizione totale del csm.

?       In Italia vi è poi il grande problema legato all’effettività della pena e, rispetto ad altri Paesi dove vige una cultura tale che chi è colpevole deve certamente pagare (si considerino in primis gli Stati Uniti), nel nostro Paese le condanne definitive a pene detentive risultano di gran lunga superiori alle effettive detenzioni. Questa situazione si spiega storicamente con il copioso ricorso alle amnistie e ai condoni che tuttavia oggi sono stati resi dal Legislatore di assai difficile attuazione, prevedendosi invece l’uso di benefici e incentivi quali gli istituti della semilibertà, della liberazione anticipata, dell’affidamento in prova al servizio sociale, della sospensione della pena con la condizionale, degli arresti domiciliari: tutti strumenti introdotti soprattutto per rendere più ?tranquilla? (nel senso di meno ?esplosiva?) la gestione delle carceri, ma che creano un certo sconcerto nell’opinione pubblica poiché sembrano giustificare il principio dell’effettiva ?non-punibilità? per i reati (non tanto per quelli minori ma soprattutto per quelli di corruzione e di Tangentopoli).

?       Infine, relativamente al dibattito sulla separazione delle carriere dei magistrati, si sottolinea l’opportunità di introdurre non già il principio della separazione delle carriere quanto quello della separazione delle funzioni dei magistrati, quale utile correttivo del sistema attuale. Il rischio infatti di separare le carriere è rappresentato dal fatto che, in questo modo, si avrebbero esiti perversi in quanto il pubblico ministero, separato dalla magistratura, perderebbe le proprie attuali garanzie di autonomia e indipendenza di giudizio e finirebbe per essere completamente assoggettato al potere politico e in particolare al ministro della giustizia in carica (che, stabilendo di anno in anno verso quali tipologie di reato rivolgere le indagini, probabilmente sarebbe tentato di essere indulgente verso i tipici reati di corruzione che hanno decimato buona parte dei politici della Prima Repubblica).

 

Scarica File