Il senatore Fassone ha esordito formulando una considerazione che ben fotografa la stato della giustizia italiana: la durata ragionevole del processo si sta convertendo in lunghezza irragionevole del processo stesso. Fino a poco tempo fa una copiosa letteratura descriveva questa situazione con dati, elenchi di sentenze di condanna della Corte di Giustizia Europea e previsioni relative agli effetti negativi del fenomeno sulla nostra economia. Ma una tale descrizione così minuziosa e attenta delle disfunzioni della macchina della giustizia ometteva di proporre delle soluzioni. Oggi una riforma, anche coraggiosa, che sia in grado di conferire maggiore efficienza alla giustizia non è più procrastinabile. A questo fine vanno tenuti in conto due paradossi che ipotecano i due modelli processuali:

1.       il paradosso del ?cinque? per il processo civile;

2.       il paradosso della ?grondaia? per il processo penale.

 

Nel processo civile operano cinque soggetti (attore, convenuto, difensore dell’attore, difensore del convenuto e giudice), di cui solo l’attore ha un reale interesse alla rapida definizione della controversia, mentre il convenuto ed il suo difensore hanno un interesse fisiologicamente contrario. Il giudice dovrebbe propendere per una celere risoluzione della lite ma nella pratica è talmente oberato di cause da accettare le richieste di rinvio avanzate dalle parti. Il difensore dell’attore, che dovrebbe fare l’interesse del suo assistito, risulta essere solidale con il difensore del convenuto, nella prospettiva di trovarsi un giorno a difendere la parte convenuta.

Nel processo penale si trova un altro tipo di paradosso, quello della ?grondaia? che consiste nella presenza di una perversione nell’utilizzo dell’istituto del termine. Quando un codice di norme stabilisce un termine, questo individua una certa misura di tempo entro cui un soggetto deve compiere un atto; se lo ottempera entro quella misura di tempo ne deriveranno effetti positivi, se non ottempera, questo produrrà conseguenze negative. Il processo penale sconta, in relazione al termine di prescrizione, l’effetto inverso, in quanto il termine viene posto nell’interesse istituzionale dell’accusa a compiere un atto entro una certa data, decorsa la quale il reato si estingue, accusa che però è ostaggio della condotta della controparte, che invece ha un interesse contrario e che non è sottoposta ai costi conseguenti. Vige, infatti, un’improvvida disposizione, in tema di prescrizione, che stabilisce un tetto assoluto per cui, data una certa quantità di tempo e data la previsione di certe attività che azzerano il suo computo, decorso tale limite massimo il reato si estingue; da qui ne deriva una gara per far scadere quel termine.

Una seconda considerazione attiene ai tempi del processo che sono di tre tipi:


  1. i tempi tecnici: sono sanciti dalla legge (tra due atti non possono intercorrere meno di un certo numero di giorni) e occupano una minima percentuale dei tempi totali, ma nonostante questo l’ingegneria processuale opera prevalentemente su di essi;

  2. i tempi socio-politici: sono i tempi effettivi di gestione del modello processuale da parte degli operatori della giustizia (udienza, dibattimento, ecc..);

  3. i tempi di attraversamento del processo: sono i tempi non governati da alcuno, in cui il fascicolo della causa staziona in attesa di una cadenza predeterminata, attraverso l’istituto del rinvio.

 

In una controversia della durata di tre o quattro anni, i tempi attivi costituiscono in proporzione solo qualche settimana, mentre sono i tempi di attraversamento a rappresentare il 95% dei tempi totali del processo. La riforma dunque deve partire da un intervento sulle motivazioni dei soggetti, sui due paradossi prima citati e sui tempi di attraversamento del processo. Se i soggetti processuali sono poco solerti, almeno due di essi possono essere maggiormente sollecitati ad agire con rapidità, vale a dire il giudice ed il difensore dell’attore. Nel caso del giudice si potrebbe ancorare la valutazione della sua professionalità a certe aspettative di rendimento tenendo conto che si tratta di un’attività specifica, non assimilabile per esempio a quella di un’impresa. Si rende necessario procedere ad una ricognizione dei valori diffusi di ?produttività? degli uffici di dimensioni similari e tarare le aspettative di rendimento almeno sulla fascia medio-alta di tali uffici attraverso un meccanismo di valutazione affidato alla stessa magistratura che soddisfi l’esigenza di rapidità operativa senza pregiudicare l’indipendenza del magistrato. Non è questa la direzione in cui muove la legge delega di riforma dell’ordinamento giudiziario, attualmente in esame al Senato. Una proposta per incentivare la rapidità di azione degli avvocati potrebbe essere quella di modulare i loro compensi tariffari, penalizzando la corresponsione in caso di atti che producono tempi di attraversamento del processo, allo scopo di incentivare i difensori alla scelta della celerità.

Si rende necessario, inoltre, intervenire anche sui meccanismi del processo; non è notizia nuova il crescente numero di processi che si prescrivono. Gli addetti ai lavori sanno che è possibile, qualora il reato non sia particolarmente grave, giungere alla prescrizione, in quanto il processo è talmente sofisticato e complesso che risulta facilmente inceppabile. La riforma della prescrizione deve essere profonda: non esiste un diritto alla prescrizione. Ad esistere invece è solo il diritto a che la soggezione dell’imputato al processo sia contenuta entro termini ragionevoli (art. 6 Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo) e questo sotto due profili:


  1. se l’atto è realizzato dalle istituzioni, allora l’imputato vanta un diritto a non essere assoggettato per un periodo di tempo che superi una certa misura;

  2. se l’atto è compiuto dall’imputato stesso, egli non può invocare una durata minore del processo, dato che proprio lui è autore della poca rapidità.

La Costituzione italiana configura la ragionevole durata del processo come un obbligo per il legislatore. Essa non deve però violare le garanzie essenziali, vale a dire l’imparzialità, il contraddittorio tra le parti e la difesa dell’imputato. Bisognerebbe mirare ad espungere dal processo, in particolar modo quello penale, una serie di atti non essenziali, ma funzionali a raggiungere il traguardo della prescrizione. Le ragioni che vengono addotte per giustificare la prescrizione sono fasulle: il fatto che con il passare del tempo diminuisca l’interesse dello Stato a perseguire certi reati è vero quando il tempo è molto ampio, non lo è per i reati per cui si prevedono due o tre anni di prescrizione, ossia per quelli oggi più significativi e frequenti. Meno accettabile ancora è l’argomentazione secondo cui dopo molto tempo le prove sbiadiscono o non sono più rinvenibili; questo per esempio non ha senso nelle impugnazioni in una fase in cui le prove sono state già trovate ed assunte.

Altra domanda che chiede risposta è quella relativa all’eliminazione o riduzione dei tempi di attraversamento del processo senza arrecare danno ad un portatore di interessi oppure alle garanzie essenziali. Per rispondere al quesito è necessario individuare le tre cause che danno origine al rinvio, in special modo nel processo penale, cercando di darvi una soluzione:


  1. difetto della notifica: occorrerebbe estendere il modello di notifica adottato per il ricorso in Cassazione (notifica presso il difensore evitando così estenuanti ricerche per trovare il destinatario che cambia ad hoc il suo domicilio) anche agli altri gradi di giudizio;

  2. impedimento del difensore: nel caso di più procedimenti contemporanei non dovrebbe essere l’avvocato a scegliere a quale dare precedenza, ma la decisione dovrebbe essere assunta dai giudici interessati;

  3. assenza del testimone: bisognerebbe incrementare l’impiego della teleconferenza, soprattutto per i reati di minima intensità lesiva (reati bagatellari).

 

Il professore Amodio ha esposto la sua opinione sulla giustizia italiana, ribattendo che l’adozione del programma del senatore Fassone, fondato su di un concetto di ?economia di giustizia?, potrebbe condurre ad un processo celebrato nel ripudio della procedura così come la si conosce oggi.

Uno scenario così semplificato costituirebbe una situazione grave, la cui formulazione è il portato di un clima avvelenato nel mondo della giustizia. Il termine di prescrizione serve allo scopo di tutelare un soggetto dal pericolo di essere perseguito senza limiti di tempo. Il principio della ragionevole durata del processo, inserito nella nostra Costituzione, viene posto nell’interesse dell’individuo e non del Pubblico Ministero, il quale è orientato ad una rapida pronuncia di condanna (giudizio direttissimo). Il processo deve avere una durata ragionevole proprio in virtù della presunzione di innocenza che spetta all’imputato. A detta del professor Amodio, il senatore Fassone ha trasportato il principio costituzionale, ideato a tutela dell’individuo, in un diverso settore dell’ordinamento, come se nella nostra Costituzione l’interesse pubblico alla repressione del reato fosse prioritario rispetto alle garanzie da riconoscersi all’imputato. Il processo è una macchina complessa perché in esso deve trovare espressione una legittima esigenza di difesa del cittadino dall’istanza punitiva dell’ordinamento; quelli che vengono definiti ?ostacoli? non sono altro che garanzie per il singolo individuo e non strumenti per invalidare l’azione del Pubblico Ministero (è il caso del deposito degli atti del P.M. al termine delle indagini preliminari, un atto fondamentale affinché la difesa possa conoscere l’attività dell’accusa).

Altro punto importante è l’obbligatorietà dell’azione penale: il P.M. italiano, a differenza di ciò che avviene in molti altri Paesi, non ha il potere di selezionare le notizie di reato. Questo profilo strutturale pesa fortemente sul carico di lavoro dei magistrati. Per quanto riguarda le disfunzioni operative, addossarne la responsabilità agli avvocati accusandoli di abusare dell’istituto del rinvio o di assenteismo, è corretto solo in minima parte; in realtà esistono delle anomalie che sono provocate dalla strategia dei pubblici ministeri. Un esempio è dato dai maxi processi. E’  facoltà del P.M. il potere di decidere se celebrare un processo con tanti o pochi soggetti, determinandone la durata: più sono gli individui coinvolti, maggiore sarà la possibilità di non riuscire a gestire il processo e quindi a vederlo prescritto (i processi di tangentopoli si sono prescritti per il 70% dei casi). L’accusa gestisce il modello procedimentale nell’ottica esclusiva delle indagini, non tenendo conto di quello che accadrà in dibattimento. Il problema dell’eccessiva durata della lite deve essere quindi ricondotto all’apparato del P.M.; se il giudice potesse contrastare le scelte del P.M., molto probabilmente si rispetterebbero i principi fondamentali e le garanzie del processo. Un intervento riformatore però dovrebbe appuntarsi sui magistrati giudicanti fornendoli di una autonoma cultura della giurisdizione, e del potere di intervenire, se del caso, sul P.M. al fine di ottenere un processo giusto e celere, in cui accusa e difesa siano effettivamente alla pari.

 

DIBATTITO

 

Sono emerse ulteriori considerazioni sul fatto che l’attuale modello processuale, peraltro assai rispettoso delle garanzie dell’imputato, sia oggi quasi inservibile. Ne è prova la frequenza con cui si ricorre ai riti abbreviati (patteggiamento e giudizio abbreviato) su cui vi è più di una perplessità. Il processo deve mediare tra le garanzie del singolo (difese) e definizione della causa; sotto quest’ottica la garanzia è il limite posto al potere invasivo sulla persona. I gradi di giudizio non possono essere incrementati di numero, anche se tale operazione potrebbe condurre ad una sentenza più corretta.

Il senatore Fassone ha ribadito come il processo sia attualmente sottoposto a tecniche dilatorie adottate dai difensori che ricorrono a strumenti messi a loro disposizione dalla legge. Una volta che la macchina processuale sia stata messa in movimento, deve proseguire il suo iter senza arrestarsi o sospendersi e questo per tutelare proprio il diritto dell’imputato a non essere ostaggio del processo per un tempo irragionevole.

Per il professor Amodio se deve essere rilevato che un eccesso di garantismo può bloccare il normale funzionamento del processo, si deve ricordare la situazione paradossale che si viene a creare nel processo penale dove i difensori sono sacrificati per esigenze di tutela della collettività e il P.M ha una posizione più forte in quanto rappresentante dello Stato. Se apparentemente i difensori hanno una quantità di poteri per impedire la fine del processo, il P.M. ha poteri di impugnazione molto pronunciati. La prescrizione del reato può essere vista anche come strumento di sollecitazione dell’autorità pubblica ad agire celermente, per cui una dilatazione dei tempi processuali va a detrimento del cittadino che rimane in un limbo decisionale.

Scarica File