Sintesi della relazione a cura del prof. roberto gambino (Architetto e urbanista, professore ordi-nario di Urbanistica al Politecnico di Torino, Presidente della sezione interregionale Piemonte e Valle d’Aosta dell’Associazione Nazionale Centri Storico Artistici, Direttore del Centro Europeo di Documentazione sulla Pia-nificazione dei Parchi Naturali nonché membro del gruppo di lavoro del Politecnico di Torino incaricato nel 1998 del progetto di ricerca sulla Cittadella di Alessandria)

 

 

Riflettere sul rapporto tra «dismissione» e «valorizzazione» degli immobili è un’operazione sicuramente affascinante ma oltremodo complessa che costituisce peraltro uno dei temi più significativi del dibattito relativo alle teorie urbanistiche attuali.

Certamente, si deve sottolineare da subito come, a monte di ogni analisi relativa a tale rapporto, vi debba essere una sensibilità indagativa in grado di accogliere come una «necessità» l’opzione per un radicale cam-biamento di prospettiva nel modo di osservare il patrimonio territoriale e le sue peculiarità.

A questo riguardo, pare utile introdurre ora alcuni elementi di riflessione che possono agevolare l’ap-profondimento oggetto della relazione.

 

?        La definizione delle attuali politiche urbane, territoriali e ambientali nel nostro Paese attribuisce una crescente rilevanza ai processi di dismissione e ciò pare fondamentalmente dovuto ad alcune «ragioni motivanti» quali: a) l’importanza oggettiva dei «sedimenti immobiliari» del passato (anche recente); b) la crisi che ha investito i recenti tentativi di riconversione economico-produttiva di aree immobiliari e industriali abbandonate e/o inutilizzate; c) la stessa accelerazione dei processi di obsolescenza di tali aree.

?        La determinazione concettuale di «valorizzazione immobiliare», date le premesse appena richia-mate, subisce a sua volta un processo di modificazione che può essere interpretato mediante il richiamo di almeno tre prospettive analitiche: a) dal concetto di «vuoto» a quello di «risorsa»; b) da un’interpretazione di tipo «naturalistico» dei processi di dismissione ad una prevalen-temente di tipo «politico»; c) dalla considerazione «fisica» dei singoli oggetti immobiliari alla capacità di saperne individuare le correlazioni all’interno di logiche sistemiche, riuscendo a focalizzare l’attenzione sulla realtà dei «patrimoni territoriali» presenti in Italia: entità di gran lunga più significative, da un punto di vista classificatorio e concettuale, rispetto al riferimento al concetto di «monumento» (che non può esprimere compiutamente la propria natura di «bene cul-turale»).

?        Pensando, a questo riguardo, ad esempi evidenti di cosa si debba intendere per «patrimonio cul-turale» ? l’attuale Lingotto di Torino o la stessa valorizzazione-ristrutturazione del complesso torinese delle antiche Officine Ferroviarie ? non può non emergere quanto tale concetto sia corre-lato e in qualche modo coniughi efficacemente aspetti sia culturali che prettamente economici. Da ciò derivano almeno due considerazioni fondamentali in merito al significato dell’interpre-tazione «territoriale» dei patrimoni che patiscono attualmente la dismissione: a) il patrimonio ter-ritoriale deve essere visto come «eredità globale» composta da risorse diverse e strettamente interrelate; b) parimenti, il patrimonio territoriale può essere considerato come oggetto e sim-bolo di due tipi di «eredità»: un’eredità evolutiva (tale che la conservazione acquista senso solo nell’introduzione di soluzioni innovative o, in altri termini, che non si può conservare solo annul-lando l’azione corrosiva del tempo attraverso il restauro) e un’eredità relazionale, fondata sulla ri-cerca di uno stretto rapporto con la cultura e la società del luogo. Pertanto, si può evincere quanto la valorizzazione del patrimonio territoriale sia in sé una scelta di «strategia competitiva» che deve essere capace di coniugare con intelligenza elementi culturali con elementi economici, valenze e sensibilità conservative con aperture all’innovazione, attenzione alla storia passata e ai suoi sim-boli e sguardo al futuro di una società considerata nel suo rapporto con il territorio.

 

Alla luce di tali considerazioni, introdurre il tema della Cittadella di Alessandria (e più in generale dei patrimoni territoriali militari) può essere più facilmente inserito all’interno di un ragionamento articolato che riguardi il significato della «diversificazione» dei processi di sedimentazione/dismissione/rivalo-rizzazione dei patrimoni territoriali. Questi ultimi, peraltro, possono essere sinteticamente classificati nel seguente modo:

 

?        aree e impianti pre o proto-industriali

?        aree e impianti industriali

?        grandi servizi e impianti urbani (quali ospedali, macelli civici ecc.)

?        aree e impianti militari (quali cittadelle fortificate, forti, caserme ecc.)

?        aree e impianti della riconversione produttiva diffusa

?        aree ed edifici agricoli e rurali

 

La Cittadella militare di Alessandria costituisce indubbiamente un tema affascinante su cui l’interpretazione urbanistica (e storico-culturale), prima, e l’analisi di eventuali ipotesi progettuali di valorizzazione, poi, sono attività speculative non esenti dal suscitare problemi a causa, da un lato, dei molteplici «rischi» e contrad-dizioni nella ricerca del necessario consenso politico-sociale impliciti in tale tipologia di operazioni e, dall’altro lato, (tuttavia) delle grandi opportunità che pure sono concretizzabili adoperandosi per procedere ad una valorizzazione del patrimonio territoriale che sia non solo funzionale ma anche «responsabile».

Indubbiamente, non si deve dimenticare come il tema della Cittadella si presenti innanzitutto come argomento di grande rilevanza «sovra-nazionale»: si pensi all’importanza storico-culturale dell’immobile e della sua area di enormi dimensioni, ma si pensi pure alle potenzialità insite in un’eventuale operazione di valorizzazione che deve essere valutata tenendo presente gli ingenti costi di realizzazione che una comunità locale è improprio che si assumi di sostenere.

Parimenti, si può evincere facilmente la complessità strutturale del problema Cittadella, dovuta, da un lato, alla dimensione territoriale dell’area; dall’altro lato, al rapporto con il fiume Tanaro e tra il fiume stesso (in quella zona) e la città di Alessandria e, da un terzo punto di vista (forse il più rilevante), alla pluralità dei soggetti e interessi potenzialmente coinvolti. D’altra parte, è innegabile quanto tale tema sia «aperto» a molte opzioni di rivalorizzazione e a cambiamenti radicali di immagini urbanistiche e di percezione architettonica (e ciò in buona parte sembra giustificare la difficoltà con cui all’avvio del dibattito sulla Cittadella non sia ancora oggi seguita alcuna «decisione» o anche solo orientamento condiviso).

La rivalorizzazione della Cittadella dovrebbe comunque rappresentare un grande «evento culturale» così come dovrebbe essere sentito (e accolto) dalla cittadinanza alessandrina come un rilevante fattore di sviluppo locale. Tuttavia, diventa necessario che ogni ipotesi migliorativa sia analizzata nella propria «congruenza» con la città e in rapporto a come ci si prefigge essere la città non solo nell’oggi ma soprat-tutto in futuro.

In questo senso, è fondamentale tenere in considerazione innanzitutto l’enorme carico di memorie storiche e, più generale, il senso storico della presenza della Cittadella ad Alessandria. Da ciò, si potrà allora procedere a riflettere sull’opportunità di «reinventare il paesaggio urbano» e il rapporto con il fiume Tanaro in quell’area per arrivare (auspicabilmente) a pensare a un nuovo disegno complessivo di città da cui discendano precisi orientamenti relativi sia al necessario riassetto urbanistico e funzionale, sia ad una condivisa riorganizzazione generale delle infrastrutture.

L’attenzione massima dovrà essere rivolta alla determinazione con cui si cercherà di superare la negativa tendenza (molto italiana) che porta ad «inglobare» i vari patrimoni territoriali di tipo monumentale oggetto di recente valorizzazione in contesti urbani stilisticamente e architettonicamente  poco coerenti. D’altra parte, nel caso della Cittadella, pare auspicabile che vi sia consenso nell’ammettere che essa è troppo estesa e «solitaria» rispetto al paesaggio urbano alessandrino, per giustificare la scelta di una destinazione di tipo «monofunzionale» (quale, ad esempio, l’ipotesi di un grande e unico museo militare).

In conclusione, vale la pena di ricordare come oggi Alessandria abbia una grande responsabilità per pro-gettare il proprio futuro (anche) attraverso la valorizzazione della Cittadella e la ricchezza di questa opportu-nità nonché il «significato costruttivo» (in senso sociale e culturale) di questa possibile operazione è ancora più evidente se si considera come nei secoli passati ? e non solo per il caso della Cittadella ? il «paesaggio urbano» alessandrino è stato determinato ben più da interessi esogeni (si pensi ad esempio ai Savoia o a Napoleone) che da quelli endogeni, contribuendo a creare spesso una sorta di insensibilità e di larvata passività  tutta alessandrina rispetto alle realtà che ci riguardano da vicino: insensibilità e passività propositiva che sono i primi fattori da superare per valorizzare significativamente il territorio locale iniziando proprio dall’«operazione Cittadella».

[La seconda parte della relazione è stata dedicata ad illustrare attraverso una serie di diapositive alcune ipotesi di valorizzazione/utilizzo del complesso della Cittadella formulate recentemente come «esercitazione» dal Politecnico di Torino e che dimostrano come sia possibile, qualora questo fosse l’orientamento condiviso, destinare i diversi immobili della Cittadella prevalentemente ad uso di civile abitazione e, più in generale, ad uso privatistico: tipologia di destinazione che, ingegneristicamente e progettualmente, si dimostra essere la più difficile da attuare dati i vincoli architettonici e strutturali della Cittadella alessandrina].

 




 

PRINCIPALI APPROFONDIMENTI DEL DIBATTITO

 

 

 

 

 

Il dibattito si è articolato su alcuni punti tra i quali possono essere richiamati in particolare i seguenti.

 

a)      Si è condivisa, da parte di alcuni, la proposta del relatore circa un uso genericamente «non-mono-funzionale» della Cittadella alla luce anche della dimostrata fattibilità di inserire elementi infrastrutturali tipici dei locali adibiti ad uso privato. D’altro canto, è parsa evidente la portata delle difficoltà di carattere «politico» relative all’avvio di ogni tipo di soluzione concordata per la Cittadella. In ogni caso, uno dei risultati a tutt’oggi più significativi raggiunti grazie all’intervento analitico e allo studio di fattibilità compiuto dal Politecnico di Torino è proprio l’aver ottenuto per la prima volta una mappatura completa e rigorosamente precisa di tutti i locali della Cittadella (i cui metri quadrati calpestabili sono 140.000 a fronte di circa un milione di metri quadrati dell’intera area).

b)      È stata sottolineata la difficoltà di giungere alla costituzione di un unico organismo in grado non solo di rappresentare gli interessi della cittadinanza in merito alla Cittadella ma anche di presidiare ogni eventuale (auspicabile) avvio di interlocuzione con qualsivoglia sponsor pubblico e privato di natura regionale, nazionale e sopranazionale. Il raggiungimento di tale obiettivo sta particolarmente a cuore al Politecnico di Torino (sede di Alessandria) che, insieme ad altri soggetti istituzionali locali (Comune, Provincia, Cassa di Risparmio di Alessandria ecc.), è sì riuscito a fare approvare a ciascuno di essi il testo di uno statuto di una ipotetica «S.p.A. per la Cittadella», ma lamenta che a tutt’oggi manchi la volontà politica di depositare tale statuto dal notaio dando avvio anche formale a questa iniziativa, preliminare a qualsiasi governo del processo per la valorizzazione «concreta» della Cittadella.

c)      La necessità di costituire una tale «S.p.A. per la Cittadella» è sentita anche considerando l’incredibilità dell’attuale situazione che vede questo complesso assolutamente «non-dismesso» in quanto ancora sotto il controllo dei militari. Costoro, con prassi assolutamente contraddittoria, avendo deciso di «chiudere» la Cittadella l’hanno privata del necessario sostegno economico ? cancellandone la relativa voce in bilancio ? ma lasciandovi ? ironia della sorte! ? un maresciallo a custode di tutta l’area (nella quale è stata peraltro delimitata una parte quale sede di stoccaggio per beni militari per un valore di almeno 1,5 miliardi): la paradossalità della situazione è dunque che la Cittadella è oggi retta da un militare che, con caparbietà, continua a lavorare per il mantenimento della struttura senza però ricevere alcuna forma di aiuto e basando tutto il proprio operato sul volontariato personale e di altri pochi colleghi.

d)      Da alcuni interventi si è evinta l’opportunità di riflettere attentamente circa il rapporto infrastrutturale tra Cittadella, ponti sul Tanaro e città di Alessandria e, a questo riguardo, si è avanzata la proposta di ripensare alla collocazione del futuro nuovo ponte in prossimità della Cittadella trovando più congeniale non solo alla fluidità dei flussi di traffico e alla viabilità della zona ma soprattutto alla valorizzazione dell’area della Cittadella l’ubicazione di tale ponte come proseguimento dell’attuale viale Michel in zona Orti.

e)      Da più parti si sono infine sottolineate forti perplessità circa l’opportunità di costituire e rendere operativa la succitata «S.p.A. per la Cittadella» a causa della storica scarsa chiarezza di idee delle autorità alessandrine (anche) in merito alla valorizzazione della Cittadella. A questo riguardo, parrebbe più affidabile quale interlocutore primario direttamente lo Stato italiano che probabilmente potrebbe dimostrare maggiore attenzione a considerare la Cittadella quale «struttura unitaria» di prevalente carattere culturale unica nel suo genere, tanto da impedirne uno «smembramento» di tipo polifunzionale troppo «sensibile» al fascino di soluzioni «privatistiche» quali quelle presentate (seppure a mo’ di semplice esercitazione) dal Politecnico di Torino.

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