Le riflessioni proposte dal relatore ripercorrono quelle già sistematizzate in un suo recente libro dal titolo emblematico Contro il governo dei peggiori. Una grammatica della democrazia (Laterza, 2000).

Molte persone vivono con un forte senso di disagio etico il fatto che diverse realtà politiche del mondo contemporaneo (non solo in Italia) considerate ?democratiche? siano distanti se non addirittura dissonanti rispetto al concetto puro di democrazia. Esplicitare il confronto tra la democrazia reale, ovvero la realtà osservabile di regimi (cosiddetti) democratici e la democrazia ideale, ovvero l’idealtipo di democrazia, rappresenta un primo passo fondamentale, se non obbligato, verso una migliore comprensione delle dinamiche politiche in atto. È quindi indispensabile, soprattutto in un momento di confusione politica in cui un’ondata di retorica ha stravolto la comunicazione, ridefinire correttamente, attraverso un lucido percorso di costruzione razionale, il concetto di democrazia, ossia l’immagine ideale, assiologicamente neutrale e come tale priva di connotazione valutativa, della democrazia stessa.

L’intuizione di Bovero consiste nel servirsi, per la ridefinizione del concetto di democrazia, di una grammatica propriamente detta, cercando di fissare delle regole minime per un uso non ambiguo delle parole più ricorrenti nei diversi discorsi sulla democrazia, evitando errori e fraintendimenti, individuando modi corretti e scorretti di parlare e scrivere di democrazia.

Le distinzioni sono appunto quelle tradizionali della grammatica:

 

·         I sostantivi che ridefiniscono la natura e i fondamenti della democrazia.

·         I verbi che ricostruiscono il funzionamento tipico e la funzione propria della democrazia.

·         Gli aggettivi che precisano le condizioni e le precondizioni della democrazia.

 

Sostantivi. La parola democrazia deriva dall’unione di due sostantivi greci: dêmos e krátos. Democrazia indica pertanto quella forma di comunità politica in cui il potere (krátos) è attribuito al popolo (dêmos). Un sinonimo o quasi sinonimo per gli antichi di democrazia è il termine isonomìa, letteralmente ?eguaglianza (iso) di legge (nomìa)?. (La traduzione corrente ?eguaglianza di fronte alla legge? è pertanto riduttiva, se non impropria).

L’eguaglianza rappresenta dunque la natura della democrazia.

Ma quale eguaglianza? Eguaglianza tra chi? Eguaglianza in che cosa?

Potremmo rispondere dicendo eguaglianza tra tutti i destinatari delle decisioni politiche nel diritto-potere di partecipare alle decisioni collettive. Ogni individuo deve cioè poter riconoscere come propria la volontà generale in quanto ha contribuito alla sua formazione.

Come l’eguaglianza rappresenta la natura della democrazia, così la libertà ne è il fondamento.

Ma quale libertà? Non tanto la libertà negativa (ovvero la negazione di potere altrui), quanto la libertà positiva, individuale, che coincide con il potere su di sé, quindi con l’autonomia. Come dice Bovero ?Io sono libero secondo il concetto di libertà negativa nelle mie azioni quando le mie azioni non incontrano impedimenti o non sono sottoposte a costrizioni; io sono libero secondo il concetto di libertà positiva nella mia volontà, quando sono in grado di volere autonomamente, quando sono capace di decidere da me, senza essere determinato, mosso, orientato da una volontà altrui o da forze estranee alla mia stessa volontà?? (M. Bovero, Contro il governo dei peggiori, cit., p.71).

 

Verbi. I verbi servono a ridisegnare il funzionamento idealtipico, ovvero il sistema delle azioni attraverso cui si esplica il gioco democratico. Il gioco si suddivide in quattro fasi.

 

·         Eleggere. In democrazia, rispetto ad altre forme di governo come l’aristocrazia o l’oligarchia elettiva, il suo significato non può essere inteso come equivalente a designare un individuo che per un periodo di tempo prenderà decisioni al posto dei cittadini che lo hanno eletto. Nel gioco democratico, il verbo eleggere presuppone un’opinione pubblica attenta e attiva, capace di esprimere un giudizio sul contenuto delle decisioni già prese nel precedente periodo politico e di decidere quali saranno le decisioni politiche per il periodo successivo.

·         Rappresentare. In democrazia gli organi rappresentativi devono riflettere le decisioni dei cittadini elettori senza esclusioni e nelle rispettive proporzioni.

·         Deliberare. È la fase che precede la decisione e rappresenta il momento essenziale del gioco democratico. Presuppone una discussione pubblica e trasparente delle varie tesi e punti di vista tra tutti gli orientamenti politici rappresentati in parlamento.

·         Decidere. Nel gioco democratico la decisione collettiva univoca deve essere tale per cui tutti gli individui possano riconoscere in questa una volontà non imposta, quand’anche non condivisa, a cui tutti hanno equamente preso parte.

 

Il gioco democratico distinto in quattro fasi tipiche è un processo decisionale ascendente, che si sviluppa cioè dal basso verso l’alto. La funzione, ovvero il senso, la ragion d’essere della democrazia si coglie dal fatto che le decisioni collettive sono il risultato di un gioco complesso avviato tuttavia dalla base, dai cittadini; la decisione ultima non può dunque essere considerata imposta quando tutti partecipano al gioco.

 

Aggettivi. Potremmo suddividere gli aggettivi in due macro-raggruppamenti. Appartengono al primo (I) gli aggettivi che connotano diverse varianti istituzionali della democrazia contemporanea, appartengono al secondo (II) quelli che definiscono concezioni alternative di democrazia.

 

(I)                Una volta stabilito che la democrazia si può dividere in diretta (così era per gli antichi) o rappresentativa, quest’ultima è catalogabile in diverse sottospecie che indicano le principali varianti istituzionali: democrazia presidenziale e democrazia parlamentare, democrazia maggioritaria e democrazia consensuale ? o, con connotazione per lo più peggiorativa, consociativa. Secondo Bovero, l’elezione diretta del capo dello Stato o dell’esecutivo è meno democratica, sia perché tende a ridurre il potere del parlamento, sia perché, durante tutto il periodo in cui un presidente dura in carica, la parte politicamente avversa viene penalizzata, non potendo pesare sul contenuto dell’indirizzo politico. Dunque, anche se talvolta il presidenzialismo viene presentato come una scelta in favore della ?sovranità del popolo? rispetto alla ?sovranità del parlamento?, il rischio che si trasformi in un regime autoritario e antidemocratico esiste.  Riguardo alla seconda distinzione (basata su un criterio che riguarda la diversa formazione dei gruppi di rappresentanti in parlamento in seguito all’adozione di due diversi sistemi elettorali, ovvero, considerando i tipi puri, quello maggioritario e quello proporzionale), il relatore esprime chiaramente forti riserve nei confronti del maggioritario per collegi uninominali, evidenziando innanzitutto come non rappresenti una garanzia contro i rischi di frammentazione della rappresentanza politica o contro le logiche deteriori del consociativismo (il caso italiano è in tal senso emblematico, essendo passati da otto gruppi parlamentari, col vecchio sistema, a quarantaquattro, con quello nuovo).

(II)             La parola democrazia si accompagna ancora agli aggettivi formale e sostanziale, liberale e sociale (o socialista). Riguardo a questi quattro aggettivi possiamo sostenere che sono tutti incompatibili con la definizione di democrazia, tranne ?formale?. La democrazia, in quanto insieme di regole procedurali che stabiliscono come si debba arrivare alla decisione politica e non che cosa si debba decidere, è infatti formale per definizione e, in quanto tale, è una forma di governo che può ospitare al suo interno un’ampia gamma di contenuti, ovvero di indirizzi politici differenti, anche tra loro alternativi. Tuttavia, malgrado sia essenzialmente formale, non significa che la democrazia non abbia alcuna relazione con il mondo dei valori. Infatti, come già esplicitato in precedenza, eguaglianza e libertà sono le condizioni stesse della democrazia. Esistono poi alcuni valori che ne costituiscono le precondizioni necessarie, in quanto soltanto la loro garanzia istituzionale consente alla democrazia stessa di esistere. Tali principi fanno riferimento alle quattro grandi libertà dei moderni: libertà personale, di opinione, di riunione, di associazione, e ad alcuni diritti sociali, quali il diritto alla sussistenza e all’istruzione, o più precisamente alla formazione ?critica?.

 

Le condizioni e le precondizioni della democrazia identificano dunque il criterio di democraticità e costituiscono il parametro di giudizio finale.

Ritornando al quesito iniziale, in che misura i regimi politici reali mantengano integri i connotati della democrazia (natura e fondamento) e in che misura siano salvaguardate le condizioni e le precondizioni della democrazia, Bovero sottolinea con toni fortemente critici come le realtà definite democratiche siano sempre più distanti dalla democrazia ideale e come il caso italiano risulti significativo in tal senso. La concentrazione di potere economico e potere ideologico (mediatico) nelle stesse mani di chi detiene il potere politico, in particolare, vanifica il primo principio del sistema democratico, ovvero la libertà del cittadino di esercitare in maniera autonoma una scelta politica senza condizionamenti. Il cittadino elettore, scelto e plasmato, non è più il principio del processo decisionale; il gioco democratico, svuotato e svilito, appare capovolto e l’elezione assume il significato di una ?investitura? dei capi, di un puro rito di legittimazione.

Il risultato di questo processo degenerativo è, per citare un’espressione usata dal relatore, una kakistocrazia, ovvero un governo dei peggiori.  

 

 

 

 

 




 

PRINCIPALI APPROFONDIMENTI DEL DIBATTITO

 

 

 

 

 

Il dibattito si è articolato su diversi punti, tra i quali possono essere richiamati in particolare i seguenti.

 

a)      A fronte della situazione prospettata, ci si domanda, non senza preoccupazione, se la democrazia rischi effettivamente di essere sopraffatta. Il relatore, malgrado un certo scetticismo di fondo, ha più volte sottolineato l’importanza di ?lottare? perché il progetto di anti-democrazia non prevalga. Lo strumento più significativo di cui disponiamo, forse l’unico per non ?soccombere?, consiste nella possibilità di esercitare una piena e lucida capacità di riflessione critica, da portare avanti con molta apertura. Il sentimento generale di collettiva inquietudine deve essere liberamente espresso in occasioni di civile ma appassionato confronto. Discutere e contestare rappresentano una nobile forma di ?resistenza morale? a cui non dobbiamo rinunciare.

b)      Nell’attenzione con cui si riflette sul problema della formazione di una coscienza critica è insita la consapevolezza, acutizzata dal relatore, di quanto il sistema formativo italiano, a tutti i livelli, risulti carente e lontano dallo scopo. Sicuramente la scuola non è sempre in grado (ma esistono, aggiungiamo noi, fortunate eccezioni) di giocare un ruolo determinante nello stimolare la voglia di ricerca e di riflessione critica, né di rendere i giovani in qualche misura protagonisti dell’esperienza formativa e non semplici fruitori passivi di contenuti culturali elaborati da altri[1].  Una delle sfide più importanti di uno stato democratico sta proprio nella volontà e capacità di rendere il sistema scolastico adeguato a sviluppare una piena autonomia dei giovani, a renderli cioè capaci di pensare liberamente, di prendere decisioni, di scegliere (il commento amaro di Bovero sottolinea come la recente riforma non sembri affatto finalizzata a questo obiettivo).

                                                                                 


[1] La nostra esperienza, come Associazione, ci induce tuttavia a continuare a credere fortemente nelle potenzialità dei giovani, nella loro forza e creatività, ritenendo che, se ben seguiti e motivati, possano contaminare positivamente, fino a rinnovare, il contesto ?politico? in cui si inseriranno.

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