“Come si diventa fascisti e perché? Per caso, perché le suggestioni hanno una influenza forte sulle menti più giovani e meno acculturate. Basta un simbolo, una bandiera, una felpa, una partita di calcio in mezzo a un gruppo che propaganda slogan che inneggiano a fascismo, nazismo, antisemitismo, una palestra dove non si addestrano sportivi ma picchiatori”.

Paolo Berizzi, inviato del quotidiano la Repubblica e autore di straordinarie inchieste sull’estrema destra italiana che gli hanno procurato minacce e atti intimidatori da parte di gruppi nazifascisti, ha iniziato così l’incontro che si è tenuto in diretta streaming per la presentazione del suo libro L’educazione di un fascista, edito da Feltrinelli, un viaggio inquietante nei luoghi e tra i simboli del proselitismo della nuova Italia “fascista”, che da Nord a Sud conquista soprattutto i giovani, e che sta tornando prepotentemente alla ribalta.

Berizzi ha dialogato con la giornalista Mimma Caligaris, del Piccolo di Alessandria, e con Giorgio Barberis, docente di Storia del pensiero politico all’Università del Piemonte Orientale.

Da picchiatore si può diventare militante politico in breve tempo: la forza, la violenza, la prevaricazione, la negazione delle diversità, sono tipiche del fascismo e vengono proposte da gruppi che si rivolgono ai giovani. In essi c’è una componente identitaria molto forte, il giovane si ritiene sentinella del territorio e avverte la necessità di avere un nemico (ebrei, rom, immigrati).

Berizzi ha spiegato che in un periodo complesso come quello attuale, in cui sono caduti gli ideali del Novecento e le democrazie mostrano le loro fragilità, riemergono pulsioni d’odio, razziste, discriminatorie, protezioniste e isolazioniste. Esiste anche l’educazione al male, che affascina e attira. In un momento di fragilità e di politica debole, i gruppi neofascisti con la loro propaganda funzionano.

C’è poi lo sdoganamento di una parte della politica, certi partiti sovranisti hanno legittimati i gruppi neofascisti. La capacità di indignarsi dei corpi intermedi (politica, magistratura, informazione) è evaporata e ha offerto terreno a queste formazioni.

Berizzi ha detto che per troppo tempo questi fenomeni sono stati considerati di minima importanza, ma ora certi gruppi sono tornati nelle piazze, sfidando lo Stato, mirando a creare tensione per cercare consensi.

“L”indifferenza è la scelta più comoda ed è la colpa per eccellenza, non è superficialità, è mancanza di senso civico. Nel 2018 il Parlamento europeo ha votato una risoluzione per invitare gli Stati membri a considerare l’aumento delle violenza neofasciste chiedendo di contrastare il fenomeno ma molti, compresa l’Italia, non hanno capito”.

Quando si nega un problema si sdogana: “il favore più grande che si fa ai fascisti è dire che non esistono” ha detto il giornalista.

Certi gruppi ultra sono passati dalla curva alla piazza con il pretesto di sostenere la protesta legittima e pacifica dei commercianti. Le curve degli stadi sono quasi tutte controllate da formazioni che propagandano ideologie dell’estrema destra e i capi ultras sono stati sdoganati anche da alcuni politici.

Berizzi ha parlato anche di scuola, del dovere degli insegnanti di trasmettere ai giovani i principi della Costituzione.

Ci sono certamente leggi per contrastare questi fenomeni (legge Scelba del 1952 e legge Mancino del 1993) “ma devono essere applicate: bisogna mettere fuori legge i gruppi neofascisti che in realtà sono già lo sono – ha spiegato Berizzi – non si tornerà al fascismo di un tempo ma ci sono forme nuove con una cultura fascistoide, ormai sdoganata, che raccoglie consensi: non dobbiamo permettere che si diffonda”.

Nel corso dell’incontro i relatori hanno ricordato Carla Nespolo, la presidente nazionale Anpi recentemente scomparsa, la quale inventò lo slogan “Mai più fascisti” che sintetizza le battaglie e la resistenza di oggi, e la senatrice a vita Liliana Segre, i cui insegnamenti andrebbero ascoltati con più attenzione (“fa più paura l’indifferenza che l’odio”).