Un libro che analizza la fase di passaggio che vivono i giovani, caratterizzata da poche opportunità, incertezze, lavoro dequalificato e bassi salari: Pier Luigi Bersani ha presentato Chiedimi chi erano i Beatles. I giovani, la politica e la storia nella serata di PopolX, la scuola di politica attivata da Cultura e Sviluppo insieme all’Università del Piemonte Orientale e sostenuta dalla Fondazione Compagnia di San Paolo, che ha concluso la stagione di incontri dell’Associazione.
Il professor Giorgio Barberis, direttore del dipartimento Digspes dell’Università e vicedirettore dell’associazione, nell’introdurre la conferenza e presentare sinteticamente i contenuti del libro, ha ricordato come Bersani abbia incontrato in questi mesi numerosissimi giovani attivisti e militanti, non solo nei circoli ma anche in contesti più informali (come ad esempio le birrerie), percependo una diffusa sensazione di impotenza alla quale, però, “occorre ribellarsi pacificamente”. Il messaggio che l’autore rivolge alla politica, infatti, è molto chiaro: “Al netto della violenza che distrugge ogni buona ragione, ribellarsi è giusto”.
Bersani, già assessore regionale e presidente della Regione Emilia-Romagna, segretario regionale del Pds, ministro dell’Industria, dello Sviluppo economico e dei Trasporti, deputato a Roma e a Bruxelles, segretario del Pd, attualmente presiede l’Istituto storico della resistenza e dell’età contemporanea di Piacenza. Bersani ha sottolineato l’importanza di condividere l’esperienza vissuta. La frase “Chiedimi chi erano i Beatles” è nata spontaneamente durante un comizio a Firenze, un invito ai giovani a conoscere il passato per rafforzare il proprio percorso.
“La storia è veramente maestra, capace di illuminare il presente”. Un esempio chiave è la storia del lavoro in Italia dal dopoguerra ad oggi. Bersani ha ripercorso come la Costituzione, nata dalla Resistenza, sia stata un punto di riferimento per le rivendicazioni di salari e diritti, spesso conquistati con sacrifici. Oggi la fragilità e la frammentazione hanno fatto perdere al lavoro la sua soggettività. Per questo, Bersani propone la ricostruzione della soggettività del lavoro attraverso misure come le leggi sulla rappresentanza e la contrattazione, la parità salariale, la formazione obbligatoria e la sicurezza, elementi cruciali per far “girare” l’economia e per la salute della democrazia.
Un altro esempio dell’insegnamento della storia riguarda la tecnoglobalizzazione. Bersani ha tracciato paralleli con epoche passate (come il ‘400-‘500 e fine ‘800-inizio ‘900) in cui i salti tecnologici hanno portato a un aumento degli scambi globali. Inizialmente, queste fasi sono state segnate da un ottimismo smisurato. Tuttavia, la storia insegna che dopo questa fase iniziale, le nuove tecnologie creano nuove gerarchie sociali e incertezze, trasformando l’ottimismo in irrazionalità e aggressività, sfociando in politiche di potenza e conflitti. Bersani ha auspicato una reazione che unisca “culture saldamente umaniste e autenticamente liberali per garantire che la tecnologia sia a sostegno degli esseri umani e non contro”.
Bersani ha condiviso aneddoti personali, come la storia della sua famiglia con una madre molto cattolica e un padre comunista, riflettendo sul rapporto problematico ma spesso convergente tra le culture cattolica e comunista nella vita reale del Paese. Questo dialogo profondo tra sensibilità umanistiche è un tratto distintivo italiano e dovrebbe trovare più spazio nel dibattito politico.
Bersani, infine, ha criticato il “governismo”, ovvero l’idea che la responsabilità nazionale implichi sempre la volontà di essere il “punto d’equilibrio del mondo”. Nell’era dell’alternanza, la responsabilità nazionale è proprio “l’alternativa”, ovvero la capacità di organizzare un campo progressista. Oggi serve una riorganizzazione di un campo di questo tipo, che sappia includere anche una cultura liberale autentica.
Nel dibattito con il numeroso pubblico si è parlato diffusamente del coinvolgimento e della motivazione dei giovani. Nonostante la bassa affluenza complessiva, Bersani ha notato che i giovani sono stati la fascia d’età che ha votato di più a sinistra alle elezioni europee. Ha ribadito inoltre che il coinvolgimento dei giovani non deve essere “di facciata” o basato su quote, ma deve valorizzare qualità e competenze e permettere una partecipazione nell’azione vera e quotidiana della vita politica, a livello locale e nazionale.