Il mondo si trova all’incrocio di quattro crisi globali: pandemica, climatico-ambientale, economico-sociale e geopolitica. Queste crisi influenzano un’economia mondiale che sta perdendo i suoi caratteri di globalità e riducendo le proprie capacità di crescita. L’unica certezza è che il mondo non tornerà come prima. È necessario affrontare le crisi per coglierne le opportunità e non solo subirne i danni.

Sono questi i fatti su cui si basa il rapporto del professor Mario Deaglio, tornato a Cultura e Sviluppo per presentare Il mondo postglobale (Guerini e associati, 2022), scritto con i contributi di autorevoli esperti (Giovanni B. Andornino, Giorgio Arfaras, Angela De Martiis, Giuseppina De Santis, Gabriele Guggiola, Paolo Migliavacca, Giuseppe Russo e Giorgio Vernoni).

“Una possibile evoluzione è che la crisi pandemica diventi più piccola? Non sappiamo come andrà a finire. In ogni caso – ha spiegato il professore – ciò che rimane sono cicatrici profonde di vario tipo, dalla fragilità dei sistemi sanitari alle fratture sul lockdown fino a una diffusa messa in discussione della conoscenza scientifica. La pandemia sta finendo perché le persone hanno deciso così, accadde a suo tempo anche per l’influenza spagnola, in cui la cosiddetta terza ondata, ancora pesantissima, praticamente non fu registrata se non nelle statistiche sanitarie”.

Deaglio, professore emerito di Economia internazionale presso l’Università di Torino e opinionista de La Stampa, ha parlato poi della crisi climatico-ambientale con gli scenari possibili in base all’aumento della temperatura. “Come si combatte la CO2? Rinunciando all’uso dei combustibili fossili, mediante l’economia circolare, ovvero riciclando materiali e prodotti che durante la loro prima produzione hanno già emesso CO2: il loro ulteriore utilizzo, come compost e plastica di scarto, consente di evitare ulteriori emissioni. C’è poi la possibilità della cattura del carbonio prelevato dall’ambiente e messo sottoterra. Lo fanno naturalmente le piante e gli oceani ma mancano tecnologie per incrementare quest’azione naturale”.

Per il professore “i tempi sono sicuramente difficili ma non siamo vicini all’apocalisse. Si prevede che l’uso del carbone, che fornisce attualmente il 30 per cento dell’energia mondiale, si ridurrà ulteriormente. I prezzi delle energie rinnovabili sono precipitate dopo il 2010: l’energia solare dell’85 per cento, l’energia eolica del 55, tanto da diventare un’alternativa ragionevole ai combustibili fossili. Le grandi potenze hanno adottato piani molto importanti per combattere il cambiamento climatico. Gli Stati Uniti hanno introdotto enormi incentivi per energie più pulite che potrebbero ridurre la tendenza al riscaldamento globale più di quanto ci si aspetta. Due o tre gradi di riscaldamento è meglio di 4-5. Il che non significa che si tratti di un risultato soddisfacente. E un recente rapporto delle Nazioni Unite ha mostrato che i Paesi nel loro complesso non stanno rispettando loro impegni di politica climatica. La situazione sarà particolarmente difficile per i Paesi in via di sviluppo, dotate di minori risorse da dedicare al clima”.

Sulla crisi economico-sociale, Deaglio ha ricordato che le nuove tecnologie hanno cicli produttivi più brevi. Il “capitale umano” non dura più tutta la vita, c’è la necessità di un’istruzione permanente e non esiste più una carriera come si intendeva un tempo. Il capitale fisico svolge nuove funzioni: un tempo il lavoratore dirigeva la macchina, ora spesso la macchina dirige il lavoratore. Oggi la quota del lavoro sul prodotto tende a diminuire, quella del capitale ad aumentare. Inoltre l’ascensore sociale si ferma e la società rischia di spaccarsi. Dietro le fratture sociali si nasconde il pericolo della crisi economica.

Secondo il Reuters Institute dell’Università di Oxford una parte ormai molto consistente e in crescita della popolazione mondiale sceglie deliberatamente di evitare di seguire le notizie, soprattutto perché “rovinano il buon umore”. Negli ultimi 5 anni gli obiettori ai notiziari sono arrivati al 54 per cento della popolazione in Brasile e al 46 nel Regno Unito.

Ci sono sette cose che l’Europa deve fare perché il mondo non aspetta: la modifica dei Trattati, l’abbandono del voto all’unanimità e più poteri al Parlamento Europeo; la creazione delle Forze Armate Europee, una politica europea dell’energia, prestiti della Bce ai singoli Stati membri (ora è vietato, la Bce può solo comprare il debito già esistente), fondi per il Pnrr (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) che da strumento eccezionale deve diventare normale, l’istituzionalizzazione del programma Sure (Supporto agli Stati Membri per aiutare a proteggere i posti di lavoro e i lavoratori) e il miglioramento del coordinamento sanitario.

Ma non è solo l’Italia ad avere problemi. Il Regno Unito ha avuto una crisi di governo. In Francia Macron non ha la maggioranza in Parlamento che è contro la Finanziaria e la riforma delle pensioni e non mancano gli scioperi di massa. In Spagna sono serviti accordi tra l’estrema destra e la destra moderata. La Germania è prossima a un recessione tecnica e ha difficoltà a collaborare sul gas. In Svezia c’è stata una netta vittoria elettorale delle destre e per il nuovo governo è decisivo il sostegno della destra estrema.

“Una cosa positiva è che che si va verso una nuova generazione europea – ha spiegato il professore – all’Erasmus partecipano in maggioranza le studentesse, l’età media è di 22 anni e il periodo medio di permanenza all’estero è di sei mesi. Si stima che circa 800-900 mila bambini siano nati a seguito di unioni rese possibili dal programma Erasmus. Almeno altrettanti derivano da unioni con partner che lavorano in Paesi europei diversi da quello di origine. Ma questi bambini accetteranno di pagare le nostre pensioni?”

L’Italia galleggia, l’Europa un poco cresce. Ma le riforme necessarie per l’economia sono solo quattro”. Secondo l’economista serve una riforma fiscale che renda conveniente lavorare e investire (aliquota unica sui redditi da investimenti reali e da investimenti finanziari). È necessaria anche una revisione della disciplina fiscale sulle fusioni soprattutto per incoraggiare quelle tra piccole imprese e tra imprese piccole e medie. Importante anche l’introduzione del quoziente famigliare nella tassazione diretta: le risorse potrebbero derivare dalla cancellazione o semplificazione delle cosiddette spese fiscali dei regimi privilegiati in deroga. Andrebbe poi sperimentata l’introduzione della settimana lavorativa di quattro giorni collegata a progetti di formazione continua, senza sconti di orario.

In conclusione Deaglio ha detto che “per agire è bene osservare in maniera non concitata, trattenendosi dal dare giudizi conclusivi. Per questo, non aspettiamoci soluzioni su misura ai nostri problemi dai pensatori del passato. Il concetto di libertà va profondamente rivisto, così come vanno analogamente rivisti i concetti di produzione e dei suoi costi, di distribuzione della ricchezza e del reddito. E sarebbe una gran bella cosa se, tramite organizzazioni come il Centro Einaudi o Cultura e Sviluppo, lo studio del cambiamento potesse continuare sulla frontiera del futuro, contribuendo a determinarlo”.

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