Un racconto documentatissimo sulla strage di piazza Fontana: Benedetta Tobagi, scrittrice, giornalista e ricercatrice, ha presentato ai Giovedì Culturali il suo libro insieme alla storica Laurana Lajolo e all’avvocato Giulia Boccassi. Proprio cinquant’anni fa una bomba esplodeva alla Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana a Milano. I morti furono 17, i feriti un centinaio, le conseguenze pesantissime e la vicenda processuale successiva particolarmente ingarbugliata.
“Tutta la vicenda è un labirinto processuale e politico. Sappiamo chi sono i colpevoli e che sono stati assolti. Su piazza Fontana c’è stato un depistaggio di Stato e una complicità di poteri” ha detto Laurana Lajolo nell’inquadramento storico del periodo. Gli apparati dello Stato avevano ancora un retaggio fascista, si era in piena guerra fredda e l’Italia era praticamente un paese a sovranità limitata. Negli anni Sessanta l’antifascismo era un collante sociale e riemerge una nuova resistenza. Il decennio ha visto grandi cambiamenti sociali, dalla scuola media unificata che ha consentito a molti giovani di proseguire gli studi, all’immigrazione dal Sud verso le città industriali alla rottura della struttura patriarcale. Iniziano anche le rivolte studentesche ( a Torino dal 1967 a Palazzo Campana, per estendersi a Trento e a Milano), c’è molto fermento anche nel mondo cattolico e un dialogo con i comunisti. Negli anni successivi nasce il terrorismo rosso ma avvengono anche grandi cambiamenti culturali come la legge Basaglia o l’obiezione di coscienza.
Giulia Boccassi ha spiegato la vicenda processuale. Tutte le stragi italiane sono enigmatiche per movente, autori e accertamento giudiziario. Il processo, tra coperture e depistaggi, è durato 36 anni e non si è trovato il colpevole. La pista anarchica fu costruita a tavolino per trovare subito un colpevole e per preparare una svolta autoritaria. Nessun tribunale voleva celebrare il processo e anche in questo ci furono molte anomalie. Il processo a Pietro Valpreda, primo imputato, inizia a Roma. Viene poi dichiarata l’incompetenza territoriale ma a Milano, che era la sede naturale, le alte sfere della magistratura rimettono il processo ad altra sede per motivi di ordine pubblico. La Cassazione decide di spostarlo a Catanzaro, che non ha nemmeno una sede idonea., ma che è la sede ideale per “nascondere” il processo. Il tribunale assolve Valpreda ma condanna Franco Freda, Giovanni Ventura e Guido Giannettini. Il verdetto viene rovesciato in Appello: Freda, Ventura e Giannettini vengono assolti per insufficienza di prove. La Cassazione però annulla la sentenza e trasmette gli atti a Bari. Sedici anni dopo la strage, viene confermata l’assoluzione e la Cassazione nel 1987 conferma.
Il giudice istruttore di Milano Guido Salvini, negli anni 90, continua a indagare e costruisce un nuovo impianto accusatorio e fa un’inchiesta su Ordine nuovo. Carlo Digilio ammette di essere colpevole e accusa Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi e Giancarlo Rognoni. Questi ultimi sono stati condannati all’ergastolo mentre per Digilio viene dichiarata la prescrizione. L’appello ribalta la sentenza e assolve tutti, e la Cassazione conferma, condannando anche le parti civili a pagare le spese processuali.
Benedetta Tobagi ha spiegato che la strage di piazza Fontana è stata un frattura nella storia del paese ed è considerata la “madre di tutte le stragi” perché inaugura a stagione delle bombe neofasciste. Le inchieste hanno un significato politico e simbolico altrettanto potente. È diventata “strage di Stato” dal titolo di una controinchiesta di un collettivo di militanti. Piazza Fontana è stata una lacerazione nel rapporto tra cittadini e istituzioni. Manipolazioni e deviazioni hanno consentito l’impunità nonostante tre processi per una durata di 36 anni. Piazza Fontana è anche considerato il primo grosso processo “politico” e “didattico”. Le stragi sono tutt’uno con i processi e il materiale giudiziario va studiato per arrivare alla verità storica. Se c’era un depistaggio vuol dire che qualcuno indagava nel verso giusto.
L’autrice ha spiegato anche che il luogo fu scelto perché la Banca Nazionale dell’Agricoltura era i luogo in cui si ritrovavano il mondo cattolico, in modo da creare la paura del pericolo comunista e anarchico. Ci fu un depistaggio di provocazione per far ricadere la colpa sugli anarchici, architettato dalla divisione Affari riservati del Viminale. “Strage di Stato” è un argomento usato ancora oggi dai giovani che si riconoscono nella destra radicale.
Del processo di piazza Fontana rimane ciò che è stato costruito dal magistrato Emilio Alessandrini e altri, da poliziotti, carabinieri e finanzieri rigorosi, da giornalisti, legali e giuristi che hanno condotto una battaglia pubblica per portare quanto più verità possibile. Grazie a loro è stato possibile accertare le responsabilità storiche su cui la Cassazione ha voluto porre il proprio sigillo. Dieci anni dopo la sentenza del 2005 è emerso un elemento decisivo a conferma del coinvolgimento di Ventura e Freda nell’attentato.