Il 24 aprile 2025, al Teatro Parvum di Alessandria, è andato in scena Public Baby, una performance teatrale interattiva ideata e realizzata dalla compagnia Naif. Protagonisti attivi dell’esperienza sono stati gli studenti di alcune classi seconde dell’ITIS Volta, coinvolti non come semplici spettatori, ma come parte integrante dello spettacolo stesso.
In un’epoca in cui il confine tra vita reale e vita online è sempre più sfumato, Public Baby porta il pubblico al centro di una riflessione potente: cosa significa davvero interagire sui social? Quali emozioni trasmettiamo – e riceviamo – attraverso i nostri commenti?
Chiara, la protagonista, è una giovane influencer che si muove tra il suo spazio privato e quello pubblico dei social. Lo spettacolo inizia con lei “offline”, addormentata sul palco. Progressivamente si risveglia, sceglie cosa postare e – nel momento in cui è “online” – il pubblico può interagire con lei attraverso una chat dedicata, accessibile inquadrando un QR code. I suoi post vengono proiettati in scena e da quel momento l’audience è chiamata a commentare in tempo reale.
A differenza del teatro tradizionale, Public Baby non chiede silenzio, ma attenzione attiva. Lo spettatore non è più solo testimone, ma diventa co-autore del racconto scenico, intervenendo con parole, giudizi, reazioni. È qui che la performance si fa esperimento sociale: i ragazzi, invitati a calarsi nel ruolo di “hater cattivissimi”, hanno risposto con entusiasmo, mostrando quanto rapidamente si possa entrare nel meccanismo della comunicazione aggressiva e giudicante online.
Ciò che è emerso, però, è stato anche un cortocircuito interessante: la difficoltà nel distinguere i momenti di interazione attiva da quelli di osservazione. Quando Chiara era “offline”, molti studenti hanno continuato a commentare, confondendo i confini tra presenza e assenza, tra realtà fisica e digitale. Una confusione che non è casuale, ma che rispecchia in modo lucido e diretto ciò che accade ogni giorno nel nostro modo di vivere (e abitare) i social network.

Al termine dello spettacolo, non riscontrando da parte del pubblico l’esigenza di condividere e commentare quanto accaduto, abbiamo ritenuto necessario attivare un momento di confronto e rielaborazione sulle dinamiche relazionali e sociali disfunzionali emerse all’interno della chat. Insieme alla protagonista, agli insegnanti e agli operatori, gli studenti sono stati guidati in una riflessione su quanto accaduto: sulle parole utilizzate, sulle emozioni suscitate e sul senso complessivo di ciò che era avvenuto in quella “finestra” teatrale che, pur essendo finzione, ha rispecchiato fedelmente molte dinamiche della vita online.
È stato fondamentale dare un nome alle azioni osservate, riconoscendo la presenza di comportamenti riconducibili al fenomeno del cyberbullismo: messaggi offensivi, insulti, bodyshaming, furto di identità, denigrazione tra pari (dunque non più solo verso l’attrice, come richiesto dal contesto dello spettacolo), fino ad arrivare a forme più gravi come molestie a sfondo sessuale e istigazione al suicidio.

Tutto ciò ha offerto l’occasione per sottolineare con forza che le parole hanno conseguenze – non solo dal punto di vista penale (considerando che il compimento del quattordicesimo anno di età rende imputabili), ma, ancor prima, da quello umano.
Esiste – o dovrebbe esistere – un confine chiaro tra il diritto alla libera espressione del pensiero, anche sui social, e il dovere di rispettare la dignità e l’integrità dell’altro. È proprio in questo spazio di equilibrio, oggi sempre più fragile, che si gioca una delle sfide educative più urgenti: aiutare le nuove generazioni (e la comunità intera) a prendere consapevolezza del potere delle parole e della responsabilità che ogni atto comunicativo comporta. Un principio cardine della media education, che ci ricorda quanto sia necessario tracciare – e rispettare – un limite etico oltre il quale non spingersi.
Questo esperimento si inserisce pienamente nell’ambito del progetto ALI2 come intervento educativo volto a promuovere il benessere mentale e a contribuire alla costruzione di comunità più sane, consapevoli e capaci di empatia. A partire da questa esperienza, riteniamo fondamentale riproporre in futuro iniziative simili che valorizzino il protagonismo e la partecipazione attiva dei giovani, integrando però una fase conclusiva strutturata di riflessione e rielaborazione in piccolo gruppo.

Questi momenti sono essenziali per accompagnare i ragazzi in un percorso di consapevolezza rispetto a dinamiche relazionali disfunzionali, spesso interiorizzate o normalizzate, ma che possono – e devono – essere trasformate. Solo attraverso la comprensione del potere delle parole e delle responsabilità che ogni atto comunicativo comporta, è possibile promuovere una comunicazione più sana e rispettosa, indispensabile per il benessere psicofisico e sociale e per uno sviluppo armonico delle nuove generazioni.
Iniziative come Public Baby rappresentano quindi non solo occasioni culturali, ma strumenti concreti di prevenzione e di educazione emotiva.
Un’esperienza che ci lascia, ancora una volta, una certezza: è nella partecipazione consapevole – in teatro come nella vita – che si costruisce una comunità più attenta, empatica e viva.
