Siamo reduci da un trentennio in cui si è via via radicata nell’opinione popolare una visione secondo la quale il settore pubblico equivale a un buco nero, incapace di garantire il buon funzionamento del mercato e dal quale è necessario allontanarsi aprendosi invece all’iniziativa dei privati. Tuttavia, come ha fatto notare in apertura di serata il professor Ugo Mattei, l’introduzione di una logica gestionale privatistica stride con la filosofia di governo di certi settori. È il caso ad esempio dei beni culturali che costituiscono la vera eredità storica di un Paese e rappresentano un patrimonio di saperi e conoscenze da gestire con criteri diversi da quello del profitto sul breve periodo.
Mattei ricorda come il primo intellettuale ad esprimersi in modo critico nei confronti questa visione privatistica sia stato proprio Salvatore Settis, attraverso il volume Italia S.p.A., L’assalto del patrimonio culturale (Einaudi, 2002). Nel testo infatti l’Autore argomenta la sua netta opposizione alla legge Patrimoni S.p.A., che per la prima volta nella storia italiana ha decretato l’abbattimento della barriera fra demanio pubblico e demanio artistico, rendendo di fatto tutti i beni dello Stato disponibili ai meccanismi della cartolarizzazione e della vendita. In quel periodo Mattei partecipava al gruppo che si stava occupando della riforma della proprietà pubblica e ricorda le grandi difficoltà incontrate nell’affermare il principio basilare secondo il quale la via delle privatizzazioni non può essere l’unica percorribile. Sul tema il libro di Settis aveva aperto un vasto dibattito, che al tempo coinvolse anche i mezzi di informazione.
Il discorso cominciato in Italia S.p.A. si sviluppa anche nell’ultimo lavoro dell’archeologo, Azione popolare. Cittadini per il bene comune (Einaudi, 2012) nel quale Salvatore Settis dimostra di essere anche un raffinato giurista, perché affronta il tema dei beni artistici nell’ottica del diritto, comparando la tradizione dei codici romani con quella anglosassone. Ad una prima parte del libro, in cui vengono messe in risalto le attuali criticità su questo tema attraverso il punto di vista dello storico, segue una sezione in cui si rileva la preoccupante tendenza della realtà sociale odierna a ridursi alla dimensione personalistica dell’io. Tuttavia, sotto questo apparente strato di individualismo, permane un forte senso del noi, come testimoniano numerose esperienze sviluppatesi in tutto il Paese, seppur senza un vero e proprio coordinamento. Nasce così la costruzione dell’idea del bene comune, che Settis individua come idea di interesse pubblico che pervade il programma stesso del nostro testo costituzionale.
La Costituzione dunque dovrebbe essere letta come vero e proprio programma politico, documento che deve guidare il comportamento dei vari soggetti istituzionali. Essa allo stesso tempo deve diventare punto di riferimento per tutte le esperienze di cittadinanza attiva, garanti di una difesa trasversale dei diritti e dei patrimoni collettivi.
Anche il professor Luigi Ferrajoli si è detto entusiasta di presentare e commentare il libro di Settis, che ancora una volta descrive la crisi della democrazia italiana e il capovolgimento fra politica ed economia, fra pubblico e privato. Ferrajoli rileva infatti come in Italia non ci sia più un governo politico dell’economia, ma al contrario un governo economico della politica. Questo preoccupante fenomeno compromette alle radici il futuro della democrazia, manipolata e trasformata nelle fondamenta dal primato del mercato, assunto come luogo della libertà governato da leggi naturali.
Nel libro, spiega Ferrajoli, Settis contrappone a questa situazione tre parole d’ordine: bene comune, costituzione, azione popolare. I beni comuni sono quelli che vanno sottratti al mercato perché riguardano l’utilità di tutti e non dei singoli (l’acqua, l’aria, i beni culturali, ecc…). Devono essere ben definiti e tutelati attraverso la loro costituzionalizzazione. A tale premessa politica si deve aggiungere una mobilitazione dal basso, perché è da questa dimensione di azione popolare che i diritti vengono conquistati.
Durante gli anni dell’ultimo governo Berlusconi ed ancora nella breve esperienza del governo tecnico – ha esordito il professor Settis nel suo libro – il sistema italiano di tutela dei beni culturali (uno dei più antichi del mondo) è stato sistematicamente depotenziato. La nostra democrazia sta vivendo in generale un momento di crisi che si concretizza non solo nella distanza sempre maggiore fra i partiti ed i cittadini, ma anche nello stacco evidente fra gli alti principi contenuti nella nostra Costituzione e le effettive pratiche di governo. Proprio dalla Costituzione è necessario ripartire ed è ad essa che le tante e diffuse iniziative popolari presenti nel nostro Paese si devono appellare per ottenere il rispetto di alcuni diritti. La Costituzione non parla esplicitamente dei beni comuni, ma sembra che l’intero testo sia un monumento a questo tema, così come dimostra la lettura degli atti dell’Assemblea costituente dai quali emerge chiaramente quanto questo argomento fosse caro ai padri della repubblica. Ecco perché nel suo libro ha voluto ripercorrere anche storicamente l’evoluzione e la resistenza nei secoli del concetto di bene comune, dimostrando le potenzialità di una gestione collettiva dei beni come strumento di costruzione della solidarietà sociale.
A cura di G. Guglielmi