La nostra è la prima generazione di genitori che cresce i propri figli con grande attenzione alla loro felicità, ciononostante, gli indicatori relativi alla salute mentale dei nostri figli sono i peggiori degli ultimi 50-60 anni. In che modo abbiamo perso la nostra autorevolezza nell’accompagnare i giovani nel loro percorso di crescita? Prendendo avvio da questo quesito, Alberto Pellai, ospite al Progetto Genitori, affronta, fin dalle prime battute, lo spinoso tema della fragilità dell’autorevolezza genitoriale, della fatica delle relazioni familiari, dell’importanza dei limiti e dei confini. A fronte della perduta percezione del limite da parte di preadolescenti e adolescenti, la postura dell’adulto dovrebbe essere quella di resistere agli attacchi, esercitando la propria autorevolezza: la funzione genitoriale è quella di accompagnamento e non sostituzione del figlio di fronte alle sfide della vita.
Nella vita reale, per moltissimo tempo, abbiamo aderito all’idea del “villaggio che cresce un bambino”, che è sempre stata una grande risorsa dentro il tempo della crescita, un’idea di genitorialità sociale, diffusa dove il progetto educativo non è gestito solo da madri e padri, ma dalle molte figure educative coinvolte con cui i genitori stanno in alleanza. Quindi c’era un mondo adulto con una visione comune e condivisa della crescita e quando accadevano eventi che disturbavano, il mondo adulto era pronto a fare squadra insieme, mantenendo una posizione di autorevolezza, supervisionando la crescita, anche a fronte di critiche feroci da parte dei figli. Ma nel presente ci capita di incontrare sempre più spesso adulti che sono adultescenti, ovvero, hanno una deriva nel territorio dell’adolescenza, facendo cose che neanche gli adolescenti farebbero. L’adulto dovrebbe, invece, rinforzare il giovane, stare al suo fianco quando arriva la tempesta, non sostituirsi a lui, perché crescere significa imparare a maneggiare situazioni difficili, che possono causare sofferenza, ma una vita felice è una vita che sa “stare nel reale”, senza cercare la gratificazione istantanea, il benessere a tutti i costi: questo richiede allenamento, allenamento alla vita. L’adulto può scegliere che la fatica è uno strumento educativo e a volte, non ricorriamo alla gratificazione istantanea, perché la gratificazione della conquista sarà molto più grande della fatica fatta; le neuroscienze ci dicono che la memoria della conquista, la consapevolezza, imprime nelle reti neuronali tutta una serie di significati e percepite competenze (autoefficacia), per cui io mi sono sperimentato in un qualcosa di difficile e so che posso farcela e quando mi troverò di fronte ad altre difficoltà sentirò che ce la posso fare e posso provare ad affrontare una nuova sfida.
Questo è il ruolo dell’allenatore alla vita: dentro di sé ha questa visione, e non teme l’allenamento impegnativo e faticoso, dosandone gli equilibri dentro il percorso di crescita.
Per ascoltare l’intervento completo del dr. Pellai, potete cliccare qui.
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