“Le ricerche scientifiche ci dicono che il 97% del tempo di studio è vissuto con fatica, ansia, tensione, giudizio, paura e noia, ovvero quelle emozioni collegate ai sistemi di giudizio, che rendono gli apprendimenti estremamente fragili e instabili e destrutturano le intelligenze, che invece crescono, si rafforzano e migliorano quando si provano emozioni quali curiosità, interesse, percezione di sé, condivisione, sfida cognitiva ottimale, riuscita in una situazione di fatica, soddisfazione.”
Prendendo spunto dal suo splendido libro dal titolo Cinque lezioni leggere sull’emozione di apprendere, la professoressa Daniela Lucangeli, Ordinario di Psicologia dello Sviluppo presso l’Università degli Studi di Padova, ospite al Progetto Genitori, ha approfondito il tema del ruolo ricoperto dalle emozioni nel processo di apprendimento, spiegando come i cambiamenti sociali e culturali intervenuti negli ultimi decenni richiedano un nuovo approccio all’insegnamento e all’apprendimento stesso.
“La scuola in cui abbiamo studiato, apparteneva a un modello in cui l’apprendimento era monodorezionale: io ti insegno, tu apprendi, io verifico; mentre il sistema vitale in cui siamo immersi si è complessizzato al punto in cui oggi le scienze parlano di cervello sociale. Cioè noi siamo una ricchissima rete di scambi informazionali in cui ciascuno di noi apporta il proprio cambiamento. Accade, invece, che i nostri figli imparino in maniera passiva, per un brevissimo tempo; non vanno a fondo e restano in superficie; dimenticano rapidamente perché non elaborano le informazioni.” Diventa quindi fondamentale indagare il funzionamento del meccanismo dell’apprendimento, per alleviare il ruolo di insegnanti e genitori “perché noi apprendiamo quando elaboriamo, ma ciò avviene non solo attraverso le memorie, ma anche attraverso la warm cognition, cioè anche attraverso le emozioni associate all’apprendimento. Dobbiamo dunque capire che educare la mente implica sapere come la mente ha bisogno di essere nutrita.”
La complessità del mondo che i nostri figli e ragazzi dovranno affrontare richiede un approccio all’insegnamento nuovo o, quantomeno, diverso? “E’ il tempo della scuola che li renda capaci di elaborare le informazioni al meglio, attraverso le proprie potenzialità, che non sono solo cognitive, ma anche della mente che sente, che ha la capacità di e-movere, ovvero portare fuori – prosegue la professoressa Lucangeli – dobbiamo rovesciare completamente la prospettiva con cui la scuola guarda al futuro. Deve essere una scuola che e-duce, ovvero porta fuori le potenzialità migliori dei ragazzi, e lo fa nello stare insieme agli altri, nella fatica dell’apprendere”. Proprio nella fatica dell’apprendere, fondamentale è il ruolo dell’insegnante, che dovrebbe accompagnare il percorso di apprendimento degli allievi, infatti, sottolinea la professoressa – “l’insegnante deve essere magister, ovvero colui che aiuta, non colui che giudica; è fondamentale creare un’alleanza tra il bambino e il maestro contro l’errore e non tra il maestro e l’errore contro il bambino: il magister è colui che aiuta ciascuno ad apprendere nel migliore dei modi.”
In conclusione la professoressa si è soffermata sulle recenti statistiche nazionali che hanno esplicitato come in questi ultimi anni di pandemia la solitudine interiore sia diventata una condizione sperimentata tanto dagli adulti quanto dagli adolescenti, e come anche questi dati ci debbano essere di sprone a fare rete, a diventare moltiplicatori del cambiamento, vivendo e incoraggiando il senso di comunità, il passaggio dall’io al noi, perché siamo tutti interconnessi.
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