La personalità, il carattere e lo stile interazionale di un leader sono elementi importanti nella configurazione di un ambiente lavorativo. Le aziende sono sempre più attente a questa variabile ed ultimamente anche le pubbliche amministrazioni non la sottovalutano. L’unico ambito in cui questo aspetto sembra non ricevere la giusta attenzione è quello della politica e dei partiti, che pur non si sottraggono a tali dinamiche.

Il mondo del lavoro, esordisce Castiello, è una sfera in cui si muovono sentimenti, affetti, aspettative; può essere studiato in modi diversi e sotto punti di vista differenti. Secondo una prospettiva tradizionale, per esempio, l’azienda è vista come un ambito di strutture e funzioni; un paradigma razionale invece considera l’azienda come un meccanismo. La scelta di un determinato punto di vista è centrale nella determinazione di significati e nella ricerca di un senso. Fra questi dunque non può essere dimenticata la prospettiva psicologica che può fornire un’immagine più dettagliata di questo mondo, mettendo la lente di ingrandimento sull’individuo.

Non ci sono solo persone psicologicamente sane sul posto di lavoro e fra i leader. Gli psicologi parlano di nevrosi organizzative, disturbi del comportamento che possono affliggere soggetti dotati di potere e responsabilità all’interno di un’organizzazione. Il problema è che queste nevrosi vengono scaricate sull’ambiente lavorativo, andando perciò ad inquinare gli equilibri sociali al suo interno.

I nevrotici, continua Castiello, hanno una rigidità che distorce il modo di percepire la realtà organizzativa con obiettività. Conseguentemente, anche le loro capacità di gestione e management vengono influenzate e condizionate negativamente. Il professore così traccia un elenco delle nevrosi organizzative catalogate dagli studiosi:

a) il masochista: tende a vittimizzarsi, prova rabbia verso se stesso e gli altri, si fissa su tutto ciò che è difetto ed errore, inimicandosi chi gli sta intorno;

b) il dipendente: non ha fiducia in se stesso, ricerca costantemente il supporto altrui, mostrando compiacenze e accondiscendenza;

c) il passivo-aggressivo: è negativista, provocatore, diffidente e ostile perché insinua il dubbio;

d) l’istrionico: superficiale, auto-indulgente, egocentrico e manipolatorio, ricerca il consenso attraverso l’offerta di protezione;

e) il distaccato o robotico: è freddo, indifferente, ha timore dei contatti umani; per ciò non comunica e si comporta meccanicamente rifuggendo la critica;

f) il paranoico: ipercontrollato, sospettoso e in costante allerta, è molto critico, ma in senso distruttivo, e cieco nei confronti dei suoi difetti;

g) il narcisista: spinto da un senso di grandezza e di onnipotenza, ricerca il potere e l’ammirazione altrui. È una persona teatrale, convinta di essere superiore, intoccabile, manipolatoria e che strumentalizza i rapporti. Questo tipo di soggetti sono anche difficilmente recuperabili perché non si sentono di dover dare giustificazione del loro comportamento.

Il mondo del lavoro dunque, continua il relatore, si sta polarizzando, diventando sempre più un ambiente di prevaricazione e di aggressività, dove il successo spetta al più forte. In questa dimensione anche il potere diventa fine a se stesso, perdendo il suo aspetto di responsabilità e di servizio nei confronti di un gruppo o di una comunità. Inoltre sul lavoro si riattivano dei meccanismi di base, originariamente riscontrabili in ambito familiare: l’essere posti di fronte a diritti e doveri, obiettivi e compiti fa scattare delle percezioni spesso poco oggettive rispetto a quell’ambiente.

Queste riflessioni compiute sul mondo lavorativo e organizzativo in generale possono essere esportate nell’ambito della politica. Anche qui esistono i leader e gli studiosi si sono spesso soffermati sulle loro personalità attraverso l’analisi biografica e l’uso di fonti e narrazioni.

Già negli anni Venti gli esperti di psico-politica avevano identificato alcuni caratteri ricorrenti dell’agire politico:

–         il potere per sé

–         l’ipertrofia del decidere e dell’agire

–         la pericolosa identificazione del leader con i suoi elettori

–         l’uso strumentale della dominanza.

Spesso i leader sono infatti mossi dal desiderio di potere, ricchezza, ma anche di visibilità e successo; noi, nonostante tutto, ci affidiamo ad essi per bisogno di protezione, riponiamo fiducia nelle loro promesse e li ammiriamo. Infatti, di fronte ai problemi, è più facile pensare che una sola persona possa offrire le soluzioni, facendo leva sul suo carisma e sulle sue  capacità.

A cura di G. Guglielmi