Nell’ambito delle iniziative collegate alla “Giornata della Memoria” Cultura e Sviluppo ha organizzato una serata sul tema delle persecuzioni naziste dimenticate. Oltre alle violenze contro gli ebrei, i piani della Germania hitleriana puntavano, infatti, all’eliminazione di omosessuali, malati mentali, zingari e oppositori politici.

Il ricordo e la memoria sono tra gli elementi più difficilmente cancellabili dalla mente umana, ha affermato il dottor Ennio Piantato. Il patrimonio di ricordi di un individuo diventa retaggio per gli altri, rappresentando un elemento fondamentale e insostituibile di continuità. Per questo motivo la psichiatria e gli strumenti che essa fornisce sono stati spesso delle armi efficaci di annientamento nelle mani dei regimi totalitari.

Il relatore ripercorre con attraverso date significative l’escalation della violenza nell’ambito della cosiddetta “Aktion T4” (abbreviazione di Tiergartenstrasse, n. 4, ovvero l’indirizzo dell’ufficio per l’assistenza sociale a Berlino). Nella Germania del 1933 una legge permise la sterilizzazione forzata degli individui soggetti a ritardi mentali, schizofrenia, epilessia, psicosi maniaco-depressive, alcolismo grave. Nel 1937 venne promulgata un’altra legge che permetteva di sterilizzare tutti i bambini tedeschi di colore. A Brandeburgo, nel 1940, ebbe inizio l’eliminazione dei malati di mente con monossido di carbonio. Infine nel giugno 1941 iniziò lo sterminio vero e proprio di ebrei, zingari, malati di mente, oppositori politici, testimoni di Geova e omosessuali.

Fu il principio dell’Olocausto, termine derivante dal greco (olokaustos, ovvero “bruciato interamente”) ed usato originariamente per indicare la più retta forma di sacrificio prevista dal giudaismo. Dunque, sotto questo aspetto, la parola sarebbe inadatta a descrivere un tale scatenamento di violenza contro l’essere umano.  L’enorme numero di vittime diventa ancor più insopportabile pensando alle motivazioni di tale sterminio: eliminare tutti quelle categorie di persone colpevoli di vivere una vita indegna di essere vissuta (lebensunwertes Leben). Con il consenso del personale medico, la malattia mentale venne sempre più considerata come una colpa e in questo modo la psichiatria ha fatto tristemente da cartina al tornasole dello scarso grado di civiltà del regime nazista. I motivi di questa strategia erano due:

1)      i programmi economici non contemplavano il sostegno dei malati. Questi, infatti, non erano in grado di garantire forza lavoro o impegno bellico e tanto meno produzione e riproduzione della razza ariana;

2)      la storia era vissuta dai nazisti come lotta razziale, dunque i “diversi” dovevano essere considerati nemici da sopprimere.

Anche nell’Italia fascista, dove gli psichiatri per primi inventarono e sperimentarono l’elettroshock terapia, si rischiò il promulgamento di leggi simili.

Dopo la guerra, la maggior parte degli psichiatri tedeschi continuò ad esercitare la professione e molti di loro giustificarono la loro connivenza con il regime affermando che credevano nella bontà di quelle misure contro i loro pazienti, nell’ottica di liberarli dalla sofferenza. Insomma, in nome di interessi collettivi furono perpetrati abusi e violenze enormi.

Francesco Pivetta, docente di Filosofia, ha ricordato che se gli ebrei erano sterminati perché nuocevano alla purezza della razza, gli omosessuali perché invece ne ostacolavano la riproduzione. Numerose le testimonianze che vengono ricordate, citando documenti e memorie d’epoca: storie di violenze gratuite e crudeltà. Il professore parla di Omocausto, la strage dimenticata, perché lo stesso gruppo colpito non ha avuto la possibilità di comunicare tale esperienza, soffocata dai pregiudizi e dai sentimenti di vergogna. Il silenzio è stato scelto in molti casi dalle vittime come strategia per dimenticare, un’autocensura che tenesse a bada i fantasmi del passato.

L’omosessualità venne considerata dai nazisti come una malattia da debellare e i soggetti coinvolti dovevano essere rieducati attraverso i lavori forzati, che causavano il decesso della maggioranza. Tanti furono i suicidi mossi dalla disperazione e dall’insostenibilità di quella condizione. Le lesbiche furono risparmiate dallo sterminio, perché adatte alla riproduzione della razza. Non è possibile sapere i numeri esatti di questo massacro: probabilmente attorno alle 800 mila le vittime, ma bisognerebbe anche considerare le esecuzioni sommarie, i rastrellamenti nei vari paesi stranieri, le deportazioni senza giudizio in tribunale. Inoltre gli archivi dei campi dei concentramento furono nella maggior parte dei casi distrutti all’arrivo delle truppe dei liberatori, perdendo preziose, quanto terribili, informazioni.

Presente alla serata anche Stefania Cartasegna, rappresentante del gruppo Tessere le Identità, nato lo scorso anno dalla voglia d’incontrarsi e parlare di persone diversamente uguali: gay, lesbiche, transessuali, ma anche i familiari di costoro, che necessitano di una guida per affrontare le scelte di vita dei loro cari. Tessere le Identità è un modo per condividere delle esperienze, per conoscere meglio se stessi e quindi comunicare anche all’esterno questo mondo. Mettere in gioco il proprio essere e comunicarlo, racconta la Cartasegna, è stato il passo più difficile all’inizio, ma è servito per fondare e unire il gruppo. Gli obiettivi sono quelli di creare uno sportello di ascolto, diventando un punto di riferimento per tante persone, anche grazie alla presenza di professionisti e esperti di queste tematiche che si sono resi disponibili per dar vita a iniziative e progetti.

Gli interventi dei relatori sono stati intervallati dalla lettura di testimonianze delle vittime degli stermini nazisti, a cura di Debora Pessot.

 A cura di G. Guglielmi