Non sempre pensiamo che dietro alle scoperte e ai grandi progressi scientifici della storia ci sono stati uomini e donne comuni, che come noi avevano pregi, difetti, manie. Uomini, spiega Bianucci, che non hanno fatto altro che restare affascinati dai quesiti che quel cielo sopra di loro faceva scaturire. Con gli sviluppi dell’astronomia l’umanità è cresciuta, costruendo a poco a poco la consapevolezza di essere solo una parte molto piccola del vastissimo universo. La Terra, infatti, non è nient’altro che il terzo pianeta (per vicinanza con la sua stella, il Sole) di una galassia, la Via Lattea, tutto sommato piuttosto periferica.
Il fascino esercitato dalle stelle su di noi, continua il giornalista scientifico, ha, se vogliamo, anche una base scientifica. Le stelle solleticano veramente il nostro cervello e lo fanno attraverso la loro luce: veri e propri treni di particelle che, a partire da loro, attraversano lo spazio e arrivano ai nostri occhi, in particolare alla nostra retina. Quest’ultima non è nient’altro che una parte del cervello modificata per essere sensibile alla luce. Il cielo dunque ci tocca materialmente e questo ci lega molto più di quanto possiamo immaginare a tutto ciò che c’è sopra di noi.
L’idea, spiega Bianucci, è dunque quella di parlare di astronomia, ma in un modo insolito. Scoprire chi c’era dietro alle teorie e alle leggi che in tanti abbiamo studiato a scuola e rendersi conto che non si trattava altro che di uomini curiosi, desiderosi di capire, continuamente stupiti dalla natura e dal funzionamento del mondo circostante con la spontaneità dei bambini. Per iniziare questo viaggio bisogna tornare molto indietro, nell’antica Grecia, dove viveva un filosofo, Talete, di cui tutti ricorderanno un famoso aneddoto. Si racconta infatti che una notte egli cadde in un pozzo perché intento a camminare osservando il cielo. Questo suscitò l’ilarità di una servetta tracia, che assisté alla scena, ma ci racconta anche molto di quella qualità fondamentale, la curiosità, che spinge gli scienziati sulla via della ricerca.
A partire da Talete è lungo l’elenco degli astronomi sulla cui figura si sofferma Bianucci. Tolomeo innanzitutto: la sua teoria geocentrica influenzerà per secoli l’umanità. Nell’antichità troviamo anche la prima donna di cui ci sia giunta notizia che si occupasse del cielo: Ipazia. Vissuta fra il 370 e il 415 d.C., figlia del responsabile della biblioteca di Alessandria d’Egitto, Ipazia fu tra le prime a sostenere e insegnare che il sole si trovava al centro. Tuttavia i tempi non erano ancora maturi per accettare una tale affermazione. Fu uccisa dai fondamentalisti cristiani, in un periodo in cui il cristianesimo stava soppiantando i culti pagani.
La storia dell’astronomia al femminile è lunga e molte sono le eredi di Ipazia che si susseguirono nella storia. Sofia Brahe, sorella di Tÿcho; Caterina Hevel, moglie dell’astronomo-birraio Johannes Hevel, per la quale a quanto pare il giovane Edmond Halley, scopritore della famosa cometa, ebbe una simpatia; Alessandra Bonchineri, amica di Galileo.
Nonostante i tentativi di affossarlo, il filone eliocentrico sostenuto da Ipazia non si spense mai. Gli arabi, ad esempio, lo avevano teorizzato. A rilanciarlo definitivamente fu Niccolò Copernico, che tuttavia tenne per anni la sua idea nel cassetto. Fu un suo allievo, Georg Joachim Rheticus, a convincerlo a pubblicare il suo trattato, il De revolutionibus orbium coelestium, nel 1543 a Norimberga. Il tipografo fece aggiungere un’introduzione anonima in cui si presentava la teorica copernicana come cervellotica, assicurando che il sistema di riferimento restava quello tolemaico.
Bianucci racconta poi del naso di Tÿcho Brahe, che subì un fendente all’età di 20 anni nell’ambito di un duello. Portò tutta la vita un naso finto, che non gli impedì di fare conquiste. Vi fu probabilmente un incontro amoroso con la regina di Danimarca, che aveva lui concesso l’isola sulla quale operava e conduceva le sue ricerche. Un fatto che forse ispirò l’Amleto di Shakespeare.
Figura affascinante è poi quella di Keplero. Non tutti sanno che egli, come tanti astronomi dell’epoca in cui le moderne conoscenze scientifiche si mescolavano ancora con il pensiero magico medievale, era anche astrologo. Era anche un pessimo osservatore, in quanto miope, senza contare che ebbe una malattia che gli peggiorò la vista. Rivisitò la teoria copernicana, correggendola nella forma delle orbite dei pianeti, che non era circolare ma ellittica, affermazione blasfema per l’epoca. D’altronde sia la madre sia la zia furono accusate di stregoneria e lui scriveva oroscopi, pur facendolo solo per denaro.
Non mancano all’appello Galileo Galilei, di cui Bianucci racconta gli amori, e il litigioso Newton, che ebbe struggenti relazioni sentimentali, ma anche si comportò meschinamente in determinate situazioni, fino poi ai contemporanei come Einstein.
Ripercorrere le vite di questi uomini delle stelle ha un senso. Tutti questi personaggi sono partiti da una domanda di fondo: quella del dove siamo, per capire quale sia il nostro posto nel mondo. Studiare ciò che ci sovrasta, come si accennava all’inizio, significa anche capire quanto siamo piccoli e imparare a dare il giusto peso ai problemi della nostra realtà.
Insomma, dall’astronomia ci arrivano lezioni di umiltà e di tolleranza, quanto mai utili per un’umanità che per sopravvivere non potrà che contare sulla costruzione di terreni comuni di dialogo e condivisione.
Per questo il giornalista promuove anche un curioso e insolito movimento internazionale, quello per la liberazione dei mappamondi dai loro supporti, che accanto ai fini didattici (spiegare in maniera più efficace i cicli stagionali, il giorno e la notte, ecc…) mette l’accento su un’idea di uguaglianza fra i popoli e le nazioni della Terra. Per maggiori informazioni sul Movimento per la Liberazione dei Mappamondi è possibile consultare il sito www.globolocal.net.