Negli ultimi 50 anni gli uomini hanno cambiato gli ecosistemi più rapidamente e in modo più intenso di qualunque altro periodo della storia umana. I cambiamenti climatici sono un costo per la società: all’eccessivo e insostenibile sfruttamento delle risorse si accompagna la vulnerabilità del sistema climatico che è oggi il tema più attuale e importante delle politiche ambientali. Dall’ultimo rapporto dell’IPCC, Intergovernmental Panel on Climate Change, emerge che siamo nell’era del cambiamento climatico, i cui effetti cominciano a manifestarsi in diversi regioni del globo. Ora tocca a noi far fronte al cambiamento climatico nella vita di tutti i giorni.

Gli eventi catastrofici di dissesto idrogeologico (inondazioni, frane, erosione) che si sono verificati di recente nel nostro Paese hanno riproposto all’attenzione dell’opinione pubblica il tema dell’impatto dei cambiamenti climatici sulla frequenza e sull’intensità dei fenomeni. Recentemente la comunità scientifica si è posta il problema del costo sociale, ovvero dell’impatto delle emissioni di gas serra sull’economia complessiva del Pianeta. Ormai si parla di rischio sistemico o strutturale. Devono nascere una nuova economia e una nuova etica politica per accompagnare la crescita della nostra società verso forme più sostenibili in grado di lasciare alle nuove generazioni un futuro più sicuro e accogliente. La sfida della lotta al cambiamento climatico coinvolge infatti la quasi totalità dei settori della nostra vita quotidiana.

Di questi temi si è parlato giovedì 25 ottobre 2018 all’incontro dal titolo Cambiamenti climatici: gli impatti sugli ecosistemi. Nostro ospite è stato Riccardo Valentini, fisico, professore ordinario all’Università degli Studi della Tuscia, membro dell’Intergovernmental Panel on Climate Change a cui è stato conferito il Nobel nel 2007. Ha introdotto e moderato l’incontro la professoressa Paola Rivaro dell’Università di Genova, dal 1994 coinvolta nelle attività del Programma Nazionale di Ricerche in Antartide.

Nell’augurarvi buona Giornata della Terra vi invitiamo a leggere la sintesi di quell’appuntamento (in basso) o a guardare il video completo della conferenza (di seguito).


La professoressa Paola Rivaro ha innanzitutto definito il clima come il risultato di un’analisi statistica sui dati meteorologici su un intervallo di tempo di almeno 30 anni. Il clima è il risultato di un’energia in movimento sul pianeta che arriva dal sole e che viene naturalmente redistribuita tra regioni diverse. I movimenti dell’atmosfera e le correnti oceaniche trasferiscono il calore. Secondo la comunità scientifica siamo già in fase di cambiamento climatico perché da anni è rilevato uno spostamento dai valori medi di temperatura. Il 2017 è il terzo anno più caldo da quando vengono rilevate le temperature e dal 1976 non c’è più stato un anno più freddo della media del XX secolo.

Il cambiamento climatico è provocato da un aumento dei gas a effetto serra in atmosfera, come l’anidride carbonica. Gli scienziati che si occupano di clima hanno rilevato una riduzione della copertura di ghiaccio ai poli. L’aumento di anidride carbonica in atmosfera è in parte compensato dall’assorbimento degli oceani, ma questo fenomeno sta provocando l’acidificazione delle acque e danneggiando gli ecosistemi marini. Nella zona artica l’aumento della temperatura è doppio rispetto al resto del pianeta e sta scomparendo anche il ghiaccio vecchio più di quattro anni. Il fenomeno è legato all’aumento della temperatura atmosferica e dell’acqua. Lo steso fatto, anche se in modo meno consistente, sta avvenendo in Antartide.

La professoressa Rivaro ha ricordato che anche all’ultimo forum economico mondiale di Davos i cambiamenti climatici sono stati posti tra i problemi più urgenti da affrontare.

Una crescita senza limiti pone problemi alla sopravvivenza umana: il professor Valentini ha ricordato che ai tempi della nascita di Gesù la popolazione mondiale era di appena 250 milioni di individui, mentre oggi abbiamo superato i 7 miliardi. Il maggiore incremento demografico avviene solo a partire dal 1960, ed è la prima volta nella storia umana che una generazione ha visto raddoppiare la popolazione mondiale. Negli ultimi 50 anni è stata convertita in agricoltura più terra di quanto non sia avvenuto nel XVIII e XIX secolo. Tredici milioni di ettari di foresta tropicale scompaiono ogni anno (più del patrimonio forestale italiano, pari a 10 milioni di ettari). Le risorse idriche sono sotto pressione: dal 1960 si è quadruplicata la raccolta dell’acqua nei bacini idrici e se ne è raddoppiato il consumo. Ciò ha determinato una perdita sostanziale ed irreversibile di molte funzioni degli ecosistemi del nostro pianeta.

La concentrazione di anidride carbonica aumenta in modo inesorabile ormai da più di un secolo, raggiungendo il valore più alto degli ultimi 800 mila anni. Un analogo ritmo di crescita si registra anche per il metano e il protossido di azoto. L’insieme determina la miscela denominata “gas serra” che ha l’effetto di produrre un’alterazione del bilancio energetico del pianeta, spesso chiamata “effetto serra”, ovvero il riscaldamento globale.

“Oggi siamo noi gli orsi polari”: questa frase esprime chiaramente il messaggio contenuto nell’ultimo rapporto sui cambiamenti climatici dell’IPCC, Intergovernmental Panel on Climate Change. Siamo nell’era del cambiamento climatico, i cui effetti cominciano a manifestarsi in diversi regioni del globo: da qui la metafora degli orsi polari, aggrappati a frammenti di ghiaccio. Ora tocca all’umanità far fronte al cambiamento climatico nella vita di tutti i giorni.

Le proiezioni climatiche in Europa prevedono un aumento delle temperature in tutte le regioni, un marcato aumento di precipitazioni nel Nord e una diminuzione significativa nel Sud, un aumento di estremi termici (ondate di calore), di periodi di siccità e di estremi di precipitazione. Aumenteranno anche i rischi associati alle inondazioni: perdita di vita umane, erosione costiera e danni alle infrastrutture. Oggi il riscaldamento prodotto dalle attività umane ha già raggiunto 1°C rispetto al periodo pre-industriale ed è raddoppiato nell’Artico, provocando un innalzamento del livello del mare e un aumento di eventi estremi (ondate di calore, precipitazioni intense e periodi di siccità) in alcune zone del pianeta.

Nel decennio 2006-2015 la temperatura è cresciuta di 0,87°C rispetto al periodo pre- industriale (1850–1900). Se questo andamento di crescita della temperatura dovesse continuare immutato nei prossimi anni, il riscaldamento globale prodotto dall’uomo raggiungerebbe 1,5°C intorno al 2040. Il rischio è già presente all’attuale livello di climate change e aumenta progressivamente per lo scenario sopra i 2°C (rischio alto) e i 4°C (rischio molto alto).

Gli eventi catastrofici di dissesto idrogeologico, quali inondazioni, frane, erosione, sprofondamenti, che si sono verificati di recente anche in Italia, hanno riproposto all’attenzione dell’opinione pubblica il tema dell’impatto dei cambiamenti climatici sulla frequenza e l’intensità dei fenomeni che hanno trovato un’amplificazione dal dopoguerra ad oggi a causa del progressivo abbandono della funzione di manutenzione e presidio del territorio. Nel XX secolo ci sono stati oltre 12.600 fra morti, feriti e dispersi, migliaia di case e ponti distrutti e chilometri di strade e ferrovie interrotte. Il numero degli sfollati e dei senzatetto ha superato le 700 mila persone (il 75% a causa di inondazioni). Il fenomeno si è aggravato negli ultimi anni: nel periodo tra il 2002 e il 2009 si sono avute 4760 morti, pari al 40% delle vittime di tutto il secolo. In termini di costi, nello stesso periodo si concentra più del 30% dei costi dei danni alluvionali, stimati tra il 1950 e il 2009 in 52 miliardi di Euro (fonte ISPRA, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale). Nel periodo esaminato tutte le province italiane sono state colpite da almeno una frana o un’inondazione.

Recentemente la comunità scientifica si è posta il problema del costo sociale del cambiamento climatico ovvero dell’impatto delle emissioni di gas serra sull’economia complessiva del Pianeta. Le stime parlano di valori compresi tra 30 e 100 dollari per tonnellata di CO2 emessa, un valore molto alto rispetto alle azioni che si potrebbero fare per contrastare il cambiamento climatico ed eliminare le emissioni di gas serra.

Il professor Valentini ha illustrato anche i problemi legati all’alimentazione. Gli scenari futuri, basati sull’attuale tendenza di crescita delle emissioni di gas serra, indicano al 2050 una riduzione della produzione agricola mondiale di circa l’8% a fronte di una richiesta di cibo che aumenterà del 56%. La combinazione dei cambiamenti climatici e dell’incremento di popolazione renderà circa 2.5 miliardi di persone, sui 9.3 miliardi stimati di popolazione mondiale, senza sufficiente cibo. Al problema dei cambiamenti climatici si sommano gli stili di vita. Oggi si registrano tre grandi paradossi alimentari: un aumento dell’obesità e della mortalità per eccesso di cibo, uno spreco pari a circa il 35% della produzione alimentare globale (una quantità che sarebbe sufficiente a nutrire quasi un miliardo di persone) e un consumo di suolo che ha ridotto del 50% la terra agricola del pianeta dal 1960 ad oggi. È evidente, ha detto il relatore, che va ripensato il nostro modello di produzione del cibo ma soprattutto i nostri stili di vita ormai insostenibili.

Secondo le recenti proiezioni sulla crescita demografica globale, nel 2050, oltre a raggiungere il record di 9 miliardi di individui, circa l’80% della popolazione vivrà in grandi metropoli e il 20% in aree rurali. La qualità della vita sarà deteriorata dalla condizioni dell’aria e dell’acqua, dagli estremi climatici e dalla necessità di cibo sempre più trasformato e tecnologico. La produzione di beni e servizi produrrà una sempre maggiore quantità di rifiuti. Per questi motivi è urgente ripensare il metabolismo urbano come un ecosistema in cui i flussi di materia ed energia debbano trovare un equilibrio. I principi di economia circolare dovrebbero guidare una trasformazione tecnologica della città verso sistemi di produzione e consumo più efficienti, sfruttando anche la capacità dei cittadini di partecipare a progetti più sostenibili.

Riccardo Valentini ha spiegato che ormai si parla di rischio sistemico, o strutturale, associato al cambiamento climatico. Devono nascere una nuova economia e una nuova etica politica per accompagnare la crescita della nostra società verso forme più sostenibili in grado di lasciare alle nuove generazioni un futuro più sicuro e accogliente. “Decarbonizzare” significa agire a tutti i livelli della società per limitare le emissioni di combustibili fossili. L’Europa ha elaborato proposte normative per il 2030: la riduzione vincolante delle emissioni di gas serra almeno del 40% rispetto ai livelli del 1990, la quota dei consumi energetici coperta da rinnovabili pari almeno al 27%, il miglioramento dell’efficienza energetica almeno del 27%. Tuttavia l’impegno non è solo quello di decarbonizzare l’energia ma anche quello di agire contemporaneamente pure in altri settori. Un esempio importante è costituito dall’agricoltura che oggi rappresenta circa il 20% delle emissioni globali, il terzo settore dopo energia e trasporti. L’agricoltura di qualità e attenta all’ambiente può dare un contributo importante alla riduzione delle emissioni. La sfida della lotta al cambiamento climatico è quindi intersettoriale e coinvolge la quasi totalità dei settori della nostra vita quotidiana.

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