Stiamo vivendo in un pianeta sempre più caldo. Il 2024 è stato l’anno più caldo a livello globale da quando sono iniziate le misurazioni delle temperature atmosferiche 143 anni fa. Ancora più preoccupante è il fatto che i 10 anni più caldi registrati si sono verificati tutti nell’ultimo decennio. Questo riscaldamento è causato da un aumento dell’energia che circola nel pianeta.

La professoressa Paola Rivaro, oceanografa dell’Università di Genova, ha presentato questi dati nell’incontro inserito nel Festival Ambiente, Sostenibilità e Salute organizzato da Amag. Tornata a marzo dall’undicesima missione nel mare di Ross, svolta nell’ambito del Programma Nazionale della Ricerca in Antartide, la professoressa ha illustrato il ruolo degli oceani e dei poli in relazione ai cambiamenti climatici, spiegando l’importanza di queste regioni per il clima del pianeta, e ha presentato le attività svolte sulla nave-laboratorio Laura Bassi.

Gli oceani coprono oltre il 70 per cento del pianeta e sono molto profondi. La loro capacità termica è maggiore di quella dell’atmosfera quindi si riscaldano più lentamente ma accumulano molto più calore. Si stima che circa il 93 per cento del surplus di calore in circolazione dalla metà dell’800 sia stato assorbito dagli oceani. Questo accumulo si osserva anche nel Mediterraneo. Le regioni polari, nonostante occupino una parte limitata del pianeta, sono fondamentali perché sono i “motori del freddo” e influenzano le circolazioni atmosferiche e marine che lo ridistribuiscono.

L’Artide è un oceano circondato da continenti, l’Antartide è un continente (grande una volta e mezzo l’Europa) circondato da un oceano. È l’Antartide il vero motore del freddo grazie alla spessore calotta di ghiaccio.

“L’Artide si sta scaldando molto più rapidamente rispetto ad altre zone, causando una rapida fusione del ghiaccio marino, Negli ultimi 30 anni si è persa una superficie di ghiaccio pari a circa 4 volte la superficie dell’Italia – ha spiegato la professoressa Rivaro – Anche l’Antartide si sta scaldando ma non con la stessa velocità. Questo comporta una riduzione del ghiaccio continentale e marino. Negli ultimi anni si sono registrati minimi di copertura di ghiaccio marino intorno all’Antartide”.

L’Oceano Antartico, pur essendo più piccolo, è fondamentale perché mette in comunicazione l’Oceano Pacifico, Indiano e Atlantico. Le sue correnti intense e le basse temperature favoriscono l’assorbimento di calore e gas dall’atmosfera, inclusa la CO2. L’Oceano Antartico è una zona fondamentale per la formazione delle acque oceaniche profonde, che diventano dense e sprofondano, alimentando la circolazione oceanica profonda globale Cambiamenti nella formazione o nelle proprietà di queste acque possono avere ripercussioni anche a latitudini lontane.

L’assorbimento di CO2 da parte degli oceani ha come effetto una diminuzione del pH delle acque marine. Questo fenomeno è chiamato “acidificazione“, sebbene il pH rimanga leggermente alcalino. Anche una piccola diminuzione del pH corrisponde a un aumento del 30 per cento degli ioni idrogeno e ha gravi conseguenze, soprattutto per gli organismi marini che costruiscono conchiglie di carbonato di calcio. Studi in Antartide mostrano già i primi segni di dissoluzione su questi organismi.

L’Antartide è un laboratorio naturale e un osservatorio per ricostruire la storia del pianeta e capire la sua evoluzione futura1. L’Italia partecipa attivamente al Programma Nazionale di Ricerche in Antartide dal 1985, aderendo ai principi del Trattato Antartico. L’Italia gestisce due basi in Antartide, la Mario Zucchelli e, in condivisione con la Francia, la Concordia. La nave da ricerca Laura Bassi è una rompighiaccio italiana che permette di raggiungere le basi costiere e condurre ricerche in mare. Le ricerche in Antartide coprono diverse discipline: vulcanologia, astrofisica (studio del buco dell’ozono), medicina (adattamento fisiologico all’isolamento e al buio), inquinamento (microplastiche), e oceanografia (studio delle acque, della loro formazione e della risposta al cambiamento climatico).

La professoressa Rivaro ha ricordato anche l’importanza della collaborazione scientifica: la ricerca, specialmente in aree remote e costose come l’Antartide, richiede una forte collaborazione internazionale, condivisione dei dati e finanziamenti adeguati, I “campanelli d’allarme” colti dai ricercatori sono infatti basati su dati scientifici decennali.

Negli ultimi 50 anni, il contributo antropico al riscaldamento del pianeta è stimato al 50 per cento con un grado di probabilità del 95 per cento, principalmente dovuto a combustibili fossili e deforestazione. Altri fattori (variabilità climatica naturale, cicli orbitali, variazioni solari) contribuiscono all’altra metà, ma l’aumento vertiginoso dei gas serra antropici è la principale preoccupazione.

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