“Non è un libro di economia o di finanza, è un libro sullo Stato”: così Livio Pepino, già magistrato e ora direttore di Edizioni Gruppo Abele, ha introdotto il libro Elogio delle tasse, scritto da Francesco Pallante, professore ordinario di Diritto costituzionale all’Università di Torino, presentato ai Giovedì culturali.
“In questi giorni si vedono persone che protestano perché sono in difficoltà economica e chiedono allo Stato di intervenire. Il paradosso è che alcuni che oggi chiedono aiuto sono stati tra coloro che più hanno protestato contro le tasse – ha spiegato Pepino -. Ma per realizzare i ristori, lo Stato deve trovare risorse”.
Il professor Pallante ha fatto notare che “una forza politica che chiede meno tasse e più diritti cade in contraddizione. Dello Stato abbiamo bisogno, perché si incarica di governare le relazioni in maniera pacifica, garantisce la pace civile e crea strutture a cui rivolgersi in caso di controversia”.
“La funzione essenziale dello Stato, di cui non ci rendiamo nemmeno più conto, è quella di garantire ai cittadini le proprie attività in maniera pacifica e di non farsi giustizia da sé. Per attuare i diritti costituzionali servono risorse” ha spiegato il relatore.
In Italia e nel mondo aumentano le diseguaglianze e la povertà assoluta. I pochi ricchi diventano sempre più ricchi, i molti poveri sono sempre più poveri. “Svanito il sogno della rivoluzione egualizzante, le tasse possono essere veicolo di uguaglianza sociale?” si è chiesto Pepino.
Pallante ha spiegato la polarizzazione estrema della ricchezza: i tre italiani più ricchi hanno un patrimonio pari al 10 per cento dei cittadini più poveri, ovvero di sei milioni di persone. Quando venne scritta la Costituzione italiana si pensò ad un programma che potesse realizzare l’uguaglianza in senso formale e sostanziale. Se i più ricchi soddisfano anche i bisogni spirituali mentre i più poveri fanno fatica a procurarsi da mangiare, è dunque giusto far pagare le imposte a favore della collettività, in modo da dare opportunità anche ai più sfortunati.
I relatori hanno ricordato il principio della progressività fiscale sancito dalla Costituzione. Chi ha di più paga una maggiore percentuale di imposte: l’Irpef, per esempio, prevede gli scaglioni. Con la riforma di Bruno Visentini negli anni 70 si stabilirono aliquote dal 10 al 72% , negli Stati uniti si arrivò fino al 90% per i redditi più alti. Col tempo gli scaglioni si sono ridotti, si è abbassata l’aliquota più alta e alzata la più bassa. Dal 1997 abbiamo cinque aliquote che vanno dal 23 al 43 per cento: così è stata ridotta la progressività e sono state abbassate le tasse ai ricchi.
“La teoria dello ‘sgocciolamento’ è ripugnante: si pensa che una maggiore ricchezza possa ‘colare’ sui più poveri ed è sostenuta apertamente come una teoria economica. Ma è questo il bene della società che vogliamo?” ha fatto notare Pallante.
La ricchezza si è accumulata nelle mani di pochi. Serve una leva fiscale e, in effetti, il presidente americano Biden prevede un rialzo per le imprese e i redditi più elevati e un accordo internazionale sull’imposta minima nel mondo per le imprese. “La flat tax, invece, farebbe perdere entrate allo Stato ed è probabilmente anche incostituzionale” ha spiegato il professore.
Evadere le tasse è spesso giustificato dal fatto che sono in molti a farlo e che sono troppo alte. I relatori hanno spiegato che a questo proposito c’è una manipolazione dell’opinione pubblica: per molti le tasse sono alte ma non per tutti. Sarebbe necessario aumentarle ai più ricchi e abbassarle ai ceti medi e bassi. Una riorganizzazione più equa del sistema fiscale andrebbe a scapito dei più ricchi. Certo andrebbe semplificato il sistema attuale, ma non si devono dimenticare i diritti e i loro costi. I molti sprechi e le risorse usate male fanno pensare ai cittadini non ricevere in cambio i servizi dovuti. I partiti politici dovrebbero rivolgersi alla collettività e non solo a una parte altrimenti si crea una contrapposizione per un vantaggio di alcuni a scapito degli altri.