“I lettori del rapporto annuale del Censis si sono abituati a formule di sintesi che diano una identità della fotografia della società italiana. Quest’anno abbiamo usato quella dei sonnambuli, coloro che apparentemente sono vigili ma in realtà non vedono i presagi, ovvero processi economici e sociali largamente prevedibili per i loro effetti futuri ma nei confronti dei quali non si prendono decisioni”. Massimiliano Valerii, direttore generale del Censis, ha presentato a Cultura e Sviluppo la nuova edizione del Rapporto sulla situazione sociale del Paese. Giunto alla 57esima edizione, il Rapporto interpreta i più significativi fenomeni socio-economici dell’Italia e descrive una società con pochi traguardi, in cui i meccanismi di mobilità sociale si sono usurati. Vengono affrontati i temi di maggiore interesse emersi nel corso dell’anno, l’economia in rallentamento dopo la fine dell’espansione monetaria, i nuovi fermenti e le inquietudini, fino a delineare il ritratto di “una società di sonnambuli, ciechi dinanzi ai presagi”.
Il nostro Paese sta vivendo una radicale transizione demografica. “È la questione principale del nostro futuro. Per lungo tempo è stata rimossa nel dibattito pubblico o trattata con fatalismo. Si pensa che in fondo la denatalità sia un processo che riguarda tutte le società occidentali. Ma non è cosi né in Francia né nel Regno Unito. E in Germania e in Svezia si danno risposte significative” ha spiegato Valerii. C’è un processo di senilizzazione della popolazione: si vive sempre più a lungo, un fatto positivo se non si accoppiasse alla forte denatalità del nostro Paese. Lo squilibrio generazionale è molto evidente. Dal 2014 è iniziato il fenomeno del rimpicciolimento demografico: nel 2050 avremo perso 4,5 milioni di abitanti, come le città di Roma e Milano insieme. Diminuiscono pertanto le persone in età lavorativa con un impatto sul debito pubblico, sulla sostenibilità della spesa sociale, sulle pensioni, sulla sanità e sull’assistenza.
Esiste poi una notevole arretratezza del Paese nelle politiche di sostegno alla genitorialità. In Svezia hanno fatto innalzare il tasso di natalità. In Germania adeguate politiche migratorie attraggono giovane capitale umano. In Italia servono sgravi fiscali, asili pubblici, politiche di conciliazione tra lavoro e figli. Una delle cause della denatalità è che le donne sono ai margini del mercato del lavoro: dove c’è una maggiore occupazione femminile cresce anche la propensione a mettere al mondo dei figli. Bisogna tenere conto che le tendenze demografiche hanno tempi lunghi: “I prossimi venti, trent’anni sono già pregiudicati. Ci sarà una forte riduzione delle donne in età feconda. Il 20 per cento dei nuovi nati ha almeno un genitore straniero ma questo contributo non basta” ha detto il direttore del Censis.
Un altro aspetto che emerge dal Rapporto 2023 è l’ipertrofia emotiva: “Si vaga da una bolla emotiva a un’altra, ma se tutto è emergenza ma allora nulla lo è veramente. Siamo ripiegati nella congiuntura e non vediamo processi di lunga durata. Festeggiamo il numero di occupati più alto dal 1977 ma il tasso di occupazione italiano è il più basso tra i Paesi europei”. Il record di occupati è trainato da una buona qualità dal punto di vista contrattuale, uno dei primi effetti del cambiamento demografico. I giovani sono sempre meno e il sistema produttivo attua strategia per mantenere le persone di cui dispone. La denatalità si traduce in aumento del potere contrattuale dei giovani sul mercato del lavoro ma nella bolla emotiva questi dati non appaiono.
Siamo nel tempo dei “desideri minori”: c’era una forte rincorsa all’agiatezza soprattutto attraverso il lavoro ma oggi l’ascensore sociale non sale e addirittura scende. “Si sono rotti i potenti meccanismi di mobilità sociale ascensionale che erano la forza del Paese. Dal dopoguerra, la forte crescita economica era coniugata con l’inclusione sociale. Le persone miglioravano le proprie condizioni, si alzavano il tenore di vita e i livelli di istruzione. C’era un patto sociale non scritto secondo il quale i figli sarebbero stati meglio dei padri – ha spiegato Valerii – Ora il processo si è interrotto e l’attuale generazione è la prima destinata a un futuro peggiore di quello dei padri. Se il lavoro non è più la leva identitaria e la forza di riscatto economico e sociale, si ripiega sui desideri minori, per uno spicchio di benessere personale piuttosto che per l’agiatezza”.
L’immaginario collettivo ha perso la fiducia nella modalità sociale del merito e delle competenze perché sono andate in pezzi le narrazioni sull’Europa come patria unita, sulla globalizzazione come felicità globale e sul potere della scienza e non sono ancora state sostituite. “È nato un ideale securitario rispetto a questo forte spaesamento soprattutto da parte delle classi medie occidentali che assistono all’ascesa del ceto medio orientale e dei Paesi emergenti. In America, Trump è stato un formidabile interprete di questo fenomeno”.
Dal Rapporto Censis 2023 emerge anche una richiesta di diritti civili come surrogato ai diritti sociali non più garantiti come in passato (ad esempio la sanità pubblica). C’è un largo consenso per il matrimonio egualitario, l’adozione da parte di single e coppie omosessuali, l’eutanasia, la concessione della cittadinanza italiana agli stranieri secondo il meccanismo dello ius soli e dello ius culturae. Sembra esserci uno scollamento tra il paese reale e il paese legale perché il largo consenso nell’opinione pubblica fatica a trovare formalizzazione per via giuridica. “Una rivendicazione di un diritto non si traduce poi nella formazione di una identità politica, infatti alle ultime elezioni è stata premiata una maggioranza che non ha propensione verso questi diritti” ha detto Valerii.
L’Italia continua a essere paese di emigrazione: sono 5,9 milioni gli italiani all’estero e 5 milioni gli stranieri in Italia. I flussi di espatrio sono ogni anno sempre più consistenti: 80-100 mila italiani vanno a vivere all’estero, il 60 per cento ha meno di 35 anni, un quarto ha una laurea. Ogni anno l’Italia perde popolazione: a causa delle denatalità, il numero di decessi è maggiore dei nuovi nati. Il Paese si restringe e il saldo naturale non è compensato dal movimento migratorio. L’integrazione resta comunque un tema controverso: “C’è la paura di uno sradicamento identitario e di un apocalisse culturale”.
Ma quanto è ancora importante la libertà? Valerii ha ricordato che a livello mondiale solo il 20 per cento della popolazione del pianeta può considerarsi libera, tutta in Occidente. Dall’inizio di questo millennio, ogni anno il numero di Paesi che arretrano nel garantire le libertà è maggiore di quelli avanzano. Polonia e Ungheria, membri dell’Unione europea, sono stati sottoposti a procedura di infrazione per il mancato rispetto dello stato di diritto, anche per la distinzione tra potere esecutivo e giudiziario.
Le moderne democrazie fanno sempre più fatica a dare soddisfazione alle aspettative sociali. La Cina è il principale caso di successo della globalizzazione: il Pil è aumentato 14 volte negli ultimi anni, la crescita economica ha portato a significativi progressi sociali, l’aspettativa di vita è ormai più alta di quella degli Stati Uniti, è stato fortemente ridotto il tasso di mortalità infantile, sono aumentati gli studenti universitari e tutto avviene in un regime autoritario e illiberale. “A che serve la libertà se nelle tradizionali democrazie liberali c’è sempre più malcontento? È una sfida rispetto ad un valore ritenuto universale e non negoziabile. Meno ricchi ma liberi o più benestanti ma non liberi? La risposta non è così scontata” ha concluso il direttore Valerii.