Sofocle è il drammaturgo più moderno e Antigone la tragedia più attuale. Sì è parlato di questo al Giovedì Culturale in diretta streaming con Nello Rossi e Livio Pepino e che si sono confrontati sul tema “Potere, diritto, libertà” a partire dal loro libro Il potere e la ribelle. Creonte o Antigone? Un dialogo (Edizioni Gruppo Abele, Torino 2019).
Rossi, magistrato sino al 2018, è stato giudice del lavoro, procuratore aggiunto di Roma e avvocato generale presso la Corte di Cassazione. Già presidente di Magistratura democratica, è attualmente direttore della rivista Questione giustizia e vicepresidente del Tribunale permanente dei popoli. Pepino, già magistrato, attualmente studia, e cerca di sperimentare, pratiche di democrazia dal basso e di difesa dell’ambiente e della società dai guasti delle grandi opere. L’incontro è stato introdotto e moderato da Giorgio Barberis.
Livio Pepino ha ricordato che l’Antigone ha percorso la storia di questi millenni e ha caratteristiche legate al mito della classicità greca. A Tebe dopo la fine del regno di Edipo nasce la lotta dei figli per la successione. Eteocle e Polinice si accordano per governare un anno ciascuno ma l’accordo salta e scoppia una guerra civile. Il duello tra i due fratelli finirà con la morte di entrambi e il potere torna allo zio Creonte.
A Eteocle saranno concessi funerali solenni, mentre a Polinice, considerato un traditore, viene negata la sepoltura. La sorella Antigone si ribella e sparge la terra sul corpo del fratello: scoperta, rivendica il su gesto e viene condannata ad essere chiusa per sempre in una grotta.Emone, figlio di Creonte e fidanzato di Antigone, chiede al padre di liberarla, ma lui rifiuta. Quando la ritroverà morta si ucciderà anche lui.
La tragedia e in particolare il conflitto tra Antigone e Creonte sono stati riletti più volte e soggetti a diverse interpretazioni.
Nello Rossi ha ricordato che lui e Pepino, come magistrati penali, sono stati per molti anni spettatori di vicende umane crudeli, violenze. “Il contrasto tra le diverse ragioni nella tragedia è quello che abbiamo vissuto internamente con la necessità di mettere umanità nella legge – ha detto Rossi – lo abbiamo vissuto anche come cittadini negli anni del terrorismo, dello stragismo mafioso”.
Compiere scelte tragiche è il destino dei moderni: la tragedia nasce quanto entrambe i protagonisti hanno buone ragioni per compiere un gesto. “Siamo tutti divisi tra Antigone e Creonte – ha spiegato il magistrato – abbiamo tutti dentro di noi le ragioni di entrambi”
Livio Pepino ha ricordato che Antigone, di fronte al divieto di sepoltura del fratello, considerata l’offesa più grave, si ribella: “è la reazione, anche solitaria, di fronte alla ingiustizia attraverso un gesto di ribellione. Qual è l’atteggiamento giusto e coerente in una democrazia di fronte all’ingiustizia?”.
“Antigone dice che c’è un altra legge, una legge eterna, immodificabile, scritta nel sangue e nella tradizione – ha spiegato ancora Rossi – è lecito avere diffidenza rispetto alla legge scritta dagli uomini”.
Creonte ha salvato la città dei suoi nemici e rappresenta il potere. Tutti amano Antigone: a teatro, assistendo alla tragedia, tutti sentono le ragioni di Antigone perché incarna la pietas e la morale privata contro quella pubblica. “Cogliamo anche le ragioni di Creonte: lui rappresenta il giudice, umanamente è tormentato, e Sofocle riconosce le sue ragioni”.
Antigone non è un filosofo del diritto che reagisce a una ingiustzia ma ci insegna che è giusto ribellarsi.
Ricordando questioni di attualità, Pepino ha detto che “in Turchia è in atto il genocidio dei curdi ma Erdogan è stato eletto in modo democratico. La legge approvata la rende superiore a ogni contestazione? Io credo di no”. Creonte non è il tiranno inteso in senso moderno, è un uomo di governo che cerca di amministrare la città. Aver salvato Tebe legittima ogni scelta successiva? È un problema modernissimo a cui rispondere no, come ha fatto Antigone.
Rossi ha spiegato come Sofocle cerchi di evitare la banalizzazione. Creonte incarna la necessità di quella decisione. Il caso Moro nella storia recente è il fatto che più assomiglia alla tragedia. La repubblica e gli amici al governo si sono trovati di fronte a un dilemma come Creonte: cedere al ricatto e pagare il riscatto per compiere un atto di pietas e liberare un uomo incolpevole o creare disaffezione verso la Stato perché c’erano altre vittime, uno Stato che rischiava di crollare sotto il peso del terrorismo.
Creonte si è evoluto, il giudice non deve solo applicare la legge. Va ricordato però che la disobbedienza non è solo dei puri ma anche dei prepotenti e dei fanatici.
“La disobbedienza è sempre una virtù? – si è chiesto Pepino – I limiti sono i diritti naturali delle persone: anche chi sta dalla parte giusta non deve superare certi limiti, ad esempio non si deve torturare per combattere il terrorismo. Chi persegue una strada giusta deve farlo con mezzi adeguati altrimenti ottiene risultati opposti”.
Il disobbediente non ha sempre ragione ma è sbagliato la demonizzazione del ribelle: si pone un problema e il governante deve risolverlo con il dialogo. La distruzione dell’avversario è la negazione della democrazia.
Ma Creonte era obbligato o aveva un alternativa?Per Nello Rossi il potere ha incorporato la tolleranza, i diritti civili, il dubbio, il rifiuto della tortura non ha nemmeno ragioni di Antigone, si può revocare razionalmente la fiducia a un potere che tortura.
Sul ruolo del giudice, Pepino ha ricordato che le regole della democrazia sono un fatto dinamico. La convivenza non può essere basata solo sulla paura delle conseguenze del mancato rispetto delle regole. I giudici comunque non possono obiettare.
Per Rossi è necessario un pensiero critico, il cittadino deve essere lasciato libero e porre domande scomode, ma una permanente eresia non porterebbe nessuna guadagno in termine di convivenza civile.
Il giudice è una grande struttura ma poggia su un esile base, quando gli interessi diventano preminenti ne viene offuscata la figura e minata la credibilità. Il fenomeno meno generalizzato di quanto sembri ma c’è ed è grave. Una volta la magistratura era senza carriera ma ha combattuto fatti tragici come il terrorismo.
La carriera prevista dalla riforma Castelli può aver prodotto danni: il lavori dl magistrato dovrebbe essere liberato dall’ossesssione della carriera.