premessa

(prof. Luciano Bonet – docente di Sociologia politica presso la Facoltà di Scienze Politiche di Alessandria)

 

Lo studio del potere locale è complesso anche perché in Italia non esiste complessivamente una grande tradizione di studi a riguardo. Al contrario, ad esempio negli Stati Uniti, esiste una lunga tradizione in materia di studi  riguardanti il potere di comunità.

Muovendosi da questa tradizione, si cercherà di esemplificare alcuni dei principali meccanismi del potere locale, sottolineando tre doverose premesse inerenti il metodo che si seguirà nella conduzione di questo rapido excursus:

·       dal momento che la carenza di studi in Italia e, ancor di più, ad Alessandria è notevole, l’esame di queste tematiche richiede una particolare prudenza;

·       poiché per parlare di potere occorre condividerne la definizione, si postula che ci sia un totale accordo su tale concetto, precisando in ogni caso che non ci si riferisce al potere esercitato dai politici, ma a quello inteso come funzione sistemica diffusa la quale, in quanto tale, attribuisce alle istituzioni politiche una funzione rilevante ma non esclusiva. A questo proposito è particolarmente utile la categoria di potere sociale proposta da Gallino (ci torneremo più avanti, ma merita di essere qui sinteticamente anticipata): il potere sociale viene definito come ?la capacità di condizionare i corsi di azione degli altri attori?, si esercita su tutti gli aspetti della comunità e viene utilizzato come criterio di regolazione dei rapporti;

·       in questa sede non si vuole fare una rassegna di tutte le ?strumentazioni? alle quali è possibile fare ricorso, ma s’intende semplicemente esemplificarne alcune tra le più promettenti per  l’impostazione del discorso.

Negli Stati Uniti i primi studi sul potere di comunità si sviluppano a partire dagli anni venti, ma è negli anni cinquanta che fiorisce la grande scuola americana (grazie all’apporto di sociologi quali Hunter e Dahl). Questi studi nascono segnati dalla dicotomia (che in seguito darà luogo ad una vera e propria polemica) tra élitisti e pluralisti. Mentre per i primi lo studio del potere in una comunità corrisponde all’individuazione, al suo interno, di quel gruppo ristretto di persone che domina (l’élite), i pluralisti, al contrario, studiano la comunità ritenendo che, essendo impossibile che in democrazia il potere si concentri in un solo gruppo, ne consegue l’esistenza di più élites.

La concezione élitista del potere presenta una struttura piramidale all’interno della quale lo strato superiore è rappresentato da un piccolo gruppo, molto coeso, di persone che detengono il potere; il livello intermedio è costituito da uno strato (minoritario) di persone che non hanno altre funzioni se non quella di eseguire. Fra i due settori sono presenti flussi di informazioni che si muovono sia verso l’alto che verso il basso, mentre la linea di potere è unidirezionale dall’alto verso il basso (e si prolunga nel terzo strato della piramide che comprende tutti coloro che non hanno alcun potere).

I pluralisti, al contrario, sostengono che esistano certamente molte piramidi all’interno delle quali si ripete la struttura sopra indicata, ma che esse siano in forte interazione conflittuale fra loro senza che nessuna prevalga sistematicamente sulle altre.

Qualora i vertici delle varie piramidi si coordinassero stabilmente fra di loro, l’organizzazione del potere locale assumerebbe un tipo intermedio fra modello élitista e pluralista: l’organizzazione di caucus o comitato.

Non pochi sostengono che, negli anni Ottanta, proprio ad Alessandria ci fosse appunto un sistema di coordinamento tra le élites, un potere di comitato gestito da un gruppo di persone relativamente largo, ma comunque limitato, che esercitava il potere in tutti i settori della vita cittadina (ad esempio, ci si incontra a casa di amici, al ristorante, ecc.).

Un modello di questo tipo può realizzarsi anche nella città ?fordista?, nell’ambito della quale sia presente una grande industria forte che domini la vita cittadina. A questo proposito è possibile avanzare un’ipotesi sul caso Alessandria: si potrebbe sostenere, infatti, che essa non fosse in realtà una città fordista in senso proprio, ma che la cultura del movimento operaio, nel dopoguerra, la vivesse come fordista. Ciò potrebbe aver prodotto un sistema di potere assimilabile a quello di ?comitato?.

Va però detto che oggi la polemica tra élitisti e pluralisti è ormai superata, se non altro poiché le città contemporanee sono così complesse da rendere difficile una totale concentrazione di potere e, qualora si tratti di società democratiche, la democrazia è per definizione rappresentanza di interessi organizzati, pluralistici e conflittuali.     

Da quanto detto, quindi, emerge che il paradigma pluralista ci è comunque d’aiuto. Tuttavia, se lo scopo dell’analisi è quello di individuare un’élite specifica, è utile il ricorso a strumenti tipici degli élitisti quali, ad esempio, il metodo reputazionale e quello posizionale. Tramite il primo si cerca di rispondere alla seguente domanda: ?chi (si dice che) ha il potere??. Si può così tracciare una mappa della composizione sociale della élite, o meglio, di ciò che gli intervistati reputano essere  l’élite locale. Grazie al metodo posizionale, invece, si individuano le posizioni che si ritiene siano, per definizione, ?di potere?, si identifica chi le occupa e, così facendo, si identifica l’élite al potere. La tesi della dr.ssa Romussi segue un percorso che parte dal metodo reputazionale per passare, in seguito, a quello posizionale.

Occorre precisare, tuttavia, che se lo scopo dell’analisi è quello di definire, non già le caratteristiche della vera o presunta élite, ma piuttosto gli outputs del sistema politico cittadino, è particolarmente utile il ricorso ad approcci metodologici più vicini a quelli tipicamente pluralisti.

A questo proposito, tra questi ultimi, è doveroso citare particolarmente: il metodo decisionale (tramite il quale si individuano i soggetti che assumono le decisioni strategiche), ed il metodo che è stato definito quale quello della mobilitazione delle preferenze (grazie al quale si verifica chi detiene ?l’altra faccia del potere?, ossia il potere di impedire – anche preventivamente – che certe decisioni strategiche vengano assunte). Questo secondo approccio (ossia quello riferito ai metodi decisionale e di mobilitazione delle preferenze) si connette ad altri possibili metodi quali: l’analisi del policy making e l’analisi dei processi di decisione, che implica l’individuazione degli attori, delle arene di potere, degli stili decisionali e delle risorse da mettere in campo.

Questi approcci, costituiti contemporaneamente da elementi tecnici e metodologici, rappresentano strumenti utili per iniziare un percorso di analisi. Tuttavia occorre evidenziare che è di fondamentale importanza tenere fermo il contesto di riferimento, ossia la città intesa come insieme di settori, di sfere di interazione, di sottosistemi e di funzioni essenziali al mantenimento, al funzionamento ed allo sviluppo dell’insieme.

Se teorie e modelli sono per definizione astratti, dall’analisi empirica emergono in realtà attori, gruppi sociali, istituzioni ed individui del tutto identificati e conosciuti, i quali agiscono strutturando il processo decisionale sulla base di momenti informali.

Per partire dal sistema-città, è utile il modello di Gallino, secondo cui  la città – intesa come sistema – è composta da quattro sottosistemi: quello economico; quello politico-amministrativo; quello socio-culturale (ossia di produzione e riproduzione di istruzione, cultura, ricerca,ecc.); quello di produzione e riproduzione biopsichica. Mentre i primi tre sottosistemi sono facilmente identificabili, il quarto lo è di meno. Ne propongo qui una versione un po’ modificata. Oltre alla sfera dell’affettività, della sessualità, della famiglia, dello svago, ecc., l’insieme delle relazioni riconducibili alla socializzazione primaria può essere inteso come il luogo dove si formano i valori latenti, gli archetipi, ecc.: in definitiva, dove, per via privata, si produce e riproduce l’identità individuale che, avendo senso di sé, si confronta socialmente con le altre identità.

Affinché il sistema funzioni, sono necessari  flussi di risorse e di comunicazione da un sottosistema all’altro. Secondo il modello ora descritto, il sottosistema economico offre precipuamente risorse economiche, quello politico-amministrativo offre decisioni collettivamente vincolanti, quello socio-culturale offre sapere ed identità collettiva, quello biopsichico crea l’identità individuale. Quest’ultimo, risultato importante nell’analisi del potere in Alessandria, dimostra di essere in continua espansione, ma rischia di rimanere chiuso in sé ed esterno agli altri qualora l’intero sistema non riesca a produrre senso di comunità.

Prima di concludere, ancora due osservazioni. La prima, per precisare che la produzione di potere sociale va intesa come la capacità di un gruppo o di un sistema di ridurre pacificamente (ossia consensualmente) le alternative di altri gruppi o sistemi, e ciò avviene per mezzo di differenti sistemi mediatori. Anche se dovrebbe essere il potere politico a produrre precipuamente potere sociale, questa situazione non si verifica automaticamente in tutti i casi: talvolta, infatti, può capitare che siano altri sottosistemi particolarmente forti a produrlo (è il caso, ad esempio, della città fordista in cui domina il potere economico).

La seconda osservazione è diretta ad evidenziare l’importanza dei citati sistemi mediatori. Infatti, affinché i sottosistemi lavorino in armonia con gli altri, occorrono dei meccanismi (o un sistema operativo) che permettano di comunicare.  Nella tipologia di Gallino i sistemi mediatori sono i seguenti: lo scambio, l’esercizio dell’autorità o del potere, la cooperazione consensuale (ossia l’idea che si è ?pezzi? di uno stesso sistema e si è portati a ragionare in termini consensuali: questo meccanismo è una forma debole di associazionismo comunitario che si verifica ad esempio nelle situazioni di particolare emergenza) e l’argomentazione (ossia  forme di agire comunicativo).

Durante la discussione, verranno fatti esempi concreti che mostrino come ad Alessandria funzionino male i sistemi mediatori, tanto da caratterizzare ogni decisione di qualche rilevanza come un policy making in condizioni avverse. La tesi della dr.ssa Romussi costituisce il primo lavoro riguardante i meccanismi di potere e l’esistenza di una possibile elite dominante in Alessandria.

 

 

analisi      

 

un’ipotesi di definizione delle élites locali: composizione e posizioni funzionali

(dr.ssa raffaella romussi))

 

La ricerca che è stata condotta ha subito adattamenti che si sono resi necessari per assorbire i mutamenti di percorso. La tesi si è basata sulla stesura di un questionario da sottoporre ad una ipotetica élite di potere sociale che, in una città media come Alessandria, ha dimostrato di essere particolarmente difficile da identificare.

Per individuare i componenti della suddetta élite si è fatto ricorso al modello di Hunter, ossia ci si è avvalsi della collaborazione di sei ?testimoni privilegiati? (persone che si è ritenuto conoscessero a fondo la situazione cittadina). Dalle interviste effettuate sono emersi alcuni dati significativi:

1)   è stato evidenziato un gruppo di nomi ricorrenti, ma si è registrata una particolare difficoltà nel raccogliere altri nominativi;

2)   le risposte sono state date facendo ricorso al metodo posizionale (ossia, veniva indicata la carica ricoperta piuttosto che il nome).

Per l’impostazione dell’analisi sono stati utilizzati il metodo posizionale e l’approccio sistemico e si è creato un campione di 51 soggetti ritenuti rappresentativi della società alessandrina (la definizione del campione è avvenuta in riferimento ai quattro sottosistemi teorizzati da Gallino).

Agli intervistati, inoltre, è stato chiesto se esista un’élite dominante in Alessandria: a questa domanda sono state date risposte diverse, ma la maggioranza ha risposto in modo negativo (solo alcuni hanno affermato che, mentre oggi non esiste alcuna élite, in passato è esistita). Tuttavia il dato che emerge con maggior insistenza è quello riguardante la cultura della medietà sia sociale che geografica della città.

A proposito della prima, i modelli presentati dal sociologo Mela in materia di sociologia urbana aiutano a comprendere come i miti, gli stereotipi e le credenze di senso comune alimentino la creazione di idee preconcette sul fenomeno della medietà. Per quanto riguarda Alessandria, infatti, si è diffuso lo stereotipo limitante di città livellata socialmente: tuttavia, così facendo, potrebbe non funzionare l’idea tradizionale di ceto medio che verrebbe in questo caso sostituita da quella di couche moyenne, corrispondente a quella parte di società che si posiziona tra la borghesia e la classe operaia e si differenzia dal ceto medio poiché possiede una qualità di vita superiore. In questo modo aumentano l’attenzione per la cultura, la pratica di sport costosi ed il numero delle associazioni di volontariato che passano da 15 del 1975 a 63 di oggi.

Da quanto detto emerge l’immagine nuova di una società segmentata in cui non esistono vere e proprie differenziazioni, ma piuttosto una stratificazione orizzontale (corrispondente ad una serie di segmenti che comprendono al loro interno elementi in modo definito) in cui difficilmente le estremità (che per Gallino sono costituite dai sistemi mediatori) riescono a comunicare tra loro.

Dalla situazione sopra descritta si evince che i gruppi di interesse, che grazie alla loro posizione dovrebbero facilitare lo sviluppo, sono in realtà impotenti a causa della mancanza di comunicazione. In definitiva ad Alessandria sembra esserci un ?potere di veto? che ostacola ogni tentativo di intraprendere nuove iniziative: per questo motivo Alessandria rientrerebbe nell’idea di Gallino di policy making in condizioni avverse che corrisponde ad una estrema difficoltà nel condurre politiche all’interno di una città, proprio per la mancanza di interazione tra i gruppi.

Per quanto riguarda la medietà geografica, essa trae origine in credenze lontane secondo le quali la collocazione al centro del triangolo industriale avrebbe dovuto rappresentare per la città una risorsa da cui trarre giovamento. Tuttavia, tra gli intervistati, solo il 38% la considera tale (pur ritenendo che non sia stata comunque sfruttata) ed il 33% la considera un handicap. A questo proposito una ricerca del Censis del 1989 evidenzia come Alessandria non sia in stretto rapporto con nessuna delle tre grandi città industriali.

La medietà geografica sembra essere, quindi, una sorta di profezia che si auto-adempie dal momento che, proprio i gruppi maggiormente impegnati che dovrebbero essere fautori del miglioramento, la considerano un handicap. Da quanto detto sembra potersi applicare alla realtà alessandrina il modello di Dahl della profezia che si auto-adempie, innescando,così, un meccanismo per cui, ritenendosi inutile ogni iniziativa, non si agisce e, di conseguenza, si produce decadenza effettiva.

 

 

Considerazioni  conclusive

(arch. Guido Borelli – dottore di ricerca in Pianificazione territoriale e analisi delle politiche pubbliche)

 

La tesi della dr.ssa Romussi evidenzia la complessità del tema trattato, la cui analisi risulta ulteriormente difficile nel caso di Alessandria poiché:

1)   non è possibile risalire ad un’élite locale, se non tramite le interviste;

2)   il modello decisionale fallisce o risulta di difficile applicazione perché in città vige la prassi della non decisione;

3)   mancano studi in materia.

Dalla tesi, inoltre, sono emersi due dati significativi: a) il fenomeno della profezia che si autoadempie sembrerebbe evidenziare l’esistenza di una serie di presupposti condivisi che costituiscono una sorta di memoria sociale tipicamente alessandrina; b) il fatto che venga attribuito un maggior rilievo alla carica ricoperta piuttosto che alle persone induce a pensare all’esistenza di una ipotetica istituzionalizzazione del senso comune che fa sì che le istituzioni, che sono gli attori deputati a prendere le decisioni, esercitino il potere riproducendo i suddetti presupposti.

Sarebbe interessante verificare la possibilità che esista un tacito accordo per mantenere lo status quo: in questo caso l’esistenza di una profezia che si autoadempie potrebbe costituire una strategia intenzionale, ossia una sorta di razionalità imperfetta delle istituzioni che, attraverso meccanismi di autocoordinamento, conduce alla situazione attuale.

Sempre a proposito delle istituzioni è possibile intraprendere due percorsi analitici:

·       ci si può chiedere, ad esempio, se vi è corrispondenza tra le promesse fatte e l’azione, cercando di comprendere se le istituzioni agiscono secondo un ruolo riconosciuto o interagiscono tra loro creando strategie e nuovi soggetti;

·       verificare come esse classifichino la situazione locale: se si costruissero quadri di significato, infatti,  si potrebbe capire se veramente esse decidono ciò che deve diventare patrimonio comune.

Per concludere, quindi, a livello locale non vengono prodotti studi, sia per motivi oggettivi (perché non interessano) che per motivi pratici (mancano gli strumenti per farlo) o strategici (le istituzioni preferiscono non essere analizzate).

 

 

 

PRINCIPALI  APPROFONDIMENTI  DEL  DIBATTITO

 

 

*   Si è evidenziato come in due circostanze riferite all’alluvione il potere in Alessandria ha dimostrato di esistere. Si tratta rispettivamente dei seguenti casi: 1) nel maggio del 1995 vengono approvate 10 variazioni sostanziali al Piano di bacino riguardanti il territorio comunale di Alessandria, una delle quali (la trasformazione del tracciato della tangenziale) pone in una situazione di grave pericolo gli abitanti del quartiere Orti; 2) nell’aprile del 1996 una lettera del Prefetto solleva il problema della ricostruzione dei ponti cittadini sul Tanaro e, da quel momento, ne inizia la progettazione. Si è chiesto, dunque, se deve prevalere un’analisi di tipo scientifico o di tipo politico (prof. P.L. Cavalchini).

*   E’ stato espresso l’augurio che si ponga fine agli studi su ciò che gli alessandrini pensino di sé, dal momento che costituiscono un circolo vizioso che non aiuta a risolvere i problemi (Dr. D. Fornaro).

*  Si è sottolineato come l’Italia, ed Alessandria in particolare, siano stati ?russificati? per 40 anni. Questa situazione è determinata dal fatto che la nostra cultura è pervasa dall’idea che le iniziative debbano essere prese dagli organi pubblici. Per cercare di spiegare le ragioni di questo atteggiamento anti-liberale si ritiene utile la prosecuzione degli studi in materia (Dr. R. Guala).

*   Si è evidenziato come il sistema clientelare abbia funzionato bene per tanto tempo e nel momento in cui sia venuto a mancare i singoli individui si siano trovati senza un ?appoggio?. Questa situazione può essere superata, forse, solo nell’ambito del sottosistema della produzione biopsichica (Dr.ssa L. Martinetti).

*   Dal momento che sembrano mancare le élites a causa di una carenza comunicativa, si è chiesto se sono state definite le categorie (ad esempio sulla base dell’età, del censo o della professione) per poterne individuare le esigenze da cui trarre elementi propositivi. (Dr. R. Lenti).

Þ       E’ fondamentale che siano i diversi gruppi ad individuare denominatori comuni, dal momento che è risultato particolarmente difficile percepire, solo attraverso le interviste, la situazione interna ai gruppi, poiché non tutti si sono dimostrati disposti a parlarne (Dr.ssa Romussi).

Þ      Occorre precisare, prima di tutto, che è necessario che i sottosistemi riproducano al loro interno le diverse funzioni e che l’interazione tra questi è il luogo su cui deve essere indirizzata la ricerca. A questo proposito, inoltre, si deve ricordare che le élites sono, per definizione, deputate a produrre  potere sociale e rappresentano un gruppo di riferimento al quale il resto della città guarda. Tuttavia, nel caso di Alessandria, sembrerebbe che l’élite ragioni in termini di miti e di stereotipi, proprio come tutti gli altri cittadini. Un esempio di quanto detto è dato dalla questione dell’Università tripolare nel corso della quale il meccanismo della profezia che si autoadempie si è innestato su quello delle false credenze, permettendo, così, il passaggio dallo stereotipo alla falsa credenza. Sempre a questo proposito si deve registrare anche il mancato funzionamento dei meccanismi mediatori tra i sottosistemi nel caso di Alessandria 2000: in questa circostanza nessuno dei suddetti meccanismi è entrato in funzione, provocando la totale assenza di sinergia all’interno del sistema. Il mancato funzionamento di quest’ultimo fa sì che non si possa creare potere sociale e che da ciò derivino decisioni deboli: il meccanismo decisionale, in questo caso, si avvicina al cosiddetto ?modello del bidone della spazzatura?, in cui la decisione è casuale (Prof. Bonet).

 

*   Si è sottolineato come nel caso dell’Università sia stata fatta una scelta forte da parte del potere politico che ha prevalso sugli altri tre che non si sono espressi. Per favorire un reale cambiamento è necessario agire sulla presa di coscienza degli altri tre poteri (Dr. M. Ivaldi).

Þ     Per 40 anni il sottosistema politico è risultato prevalente ed ora che non è più così gli altri sottosistemi non sono abbastanza forti per sostituirlo (Prof. Bonet).

Þ      Per quanto riguarda i problemi sollevati dall’alluvione, non si tratta di stabilire se devono prevalere le decisioni tecniche o quelle politiche, dal momento che anche le prime sono prese da tecnici ?di parte?: spetta alla politica il compito di dirimere le controversie tra tecnici di parti diverse. Occorre sottolineare, invece, come il Piemonte non abbia avuto una legge speciale per la ricostruzione, ma solo il cosiddetto ?Maroni-ter? che ha di fatto limitato la fase del post-alluvione alla riparazione dei danni. Così facendo, negli anni successivi all’alluvione in Alessandria si è verificata, prima la mobilitazione dei gruppi per ottenere i risarcimenti, poi la trasformazione dei comitati per i rimborsi in comitati per la sicurezza. Per iniziare a comprendere i meccanismi legati al potere locale occorre verificare le issues intorno alle quali costruire maggior consenso (Arch. Borelli). 

 

*  Si è evidenziato che la difficoltà a produrre politiche è dovuta al fatto che sono in gioco interessi diversi e che i quattro sottosistemi del potere sociale hanno valenze differenti: l’ultimo, infatti, ha un peso nettamente inferiore agli altri poiché, non essendo strutturato, non possiede rappresentanza (Prof. C. Viscardi).

Þ Per quanto riguarda il quarto sottosistema, occorre ricordare che, producendo le identità individuali, non è in grado di produrre potere sociale; tuttavia esso ricopre comunque un ruolo sempre più importante poiché le energie liberatesi in seguito allo svuotamento del sistema politico spesso confluiscono nella creazione di gruppi spontanei e l’alluvione ha in parte agevolato questo fenomeno (Prof. Bonet).

 

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