La serata si è aperta con la lettura dei risultati di un’indagine svolta, dal Provveditorato, a livello provinciale e riguardante gli insegnanti della provincia di Alessandria: dai dati raccolti sono emersi un certo pessimismo circa l’andamento della scuola italiana ed una forte incertezza in relazione alla riforma dei cicli. Proprio per risolvere anche questi problemi si rende indispensabile il ricorso ad un sistema di management da introdurre all’interno del sistema scolastico.

Il prof. Scurati ha esaminato i contenuti oggettivi di questa importante questione, analizzandone i punti fondamentali. A questo proposito è stato evidenziato come, in passato, si sarebbe parlato, prima di amministrazione, poi di gestione, piuttosto che di management: la scuola italiana, intesa come sistema complesso, infatti, ha attraversato diverse fasi, favorendo l’accumulazione storica dei differenti modelli (dal momento che ogni nuovo modello generalmente conserva alcuni aspetti di quello che lo ha preceduto).

La scuola, del resto, costituisce un macrosistema sociale che, da quando sono nati lo Stato e l’istruzione pubblica, è entrato a far parte dei diritti e dei doveri dei cittadini.

Va detto che, in ambito scolastico, il primo modello seguito fu quello dell’amministrazione, che si ispirava all’esercito e a qualsiasi altra struttura sottoposta ad un rigido controllo da parte della burocrazia. Successivamente intervenne una variante tipicamente italiana, ossia l’elaborazione filosofico-pedagogica dell’idealismo, che provocò un contrasto interno poiché, attraverso l’autoriflessività teorica, il sistema conservò due anime contrapposte: quella statalista e burocratica e quella idealistica (basata sulla non-burocraticità). In campo amministrativo, inoltre, non si metteva in discussione il fatto che la scuola costituisse un’espressione della burocraticità.

Gli eventi che si verificarono alla fine degli anni Sessanta favorirono la nascita dell’idea della gestione: questo nuovo modello sviluppò l’aspetto politico e pose particolare attenzione ai problemi del potere, dell’ordine e della fungibilità assoluta dei prodotti. Peraltro, alla scuola intesa come burocrazia, subentrò una considerazione critica secondo la quale la burocraticità sarebbe fonte di ingiustizia.

La gestione, al contrario, si basava sulla partecipazione e consentiva alla scuola di continuare ad essere il micromodello di un sistema più ampio.

Alla fine degli anni Settanta e all’inizio degli anni Ottanta incominciò a svilupparsi un terzo modello, ossia quello dell’azienda e dell’impresa, che introdusse nel mondo della scuola il fattore economico: l’economia, del resto, essendo un sapere rigido, richiede che la scuola sia controllabile, descrivibile e sappia fornire un proprio prodotto.

In questo modo la scuola diventa un’azienda e l’insieme di elementi che la definiscono necessita di essere modificato per consentire l’inserimento di innovazioni: si inizia a parlare, ad esempio, di valutazione.

Nell’ambito di questo modello viene introdotta anche la figura del dirigente, che non compariva in quelli precedenti, in cui veniva considerato solo il ruolo degli insegnanti e degli alunni: proprio questi ultimi, peraltro, costituivano il fulcro del modello della gestione, mentre quello burocratico era centrato sul governo (nei casi ora citati erano gli insegnanti stessi che si trasformavano in amministratori burocrati).

L’attuale modello dell’azienda, invece; si basa sui dirigenti ed è il frutto di un processo culturale di laicizzazione pedagogica della scuola, diretto a considerare quest’ultima come luogo di lavoro. Nella prima metà degli anni Ottanta, tuttavia, sorge il dubbio che la scuola costituisca uno di quei casi in cui ?c’è impresa anche dove non c’è azienda?.

Occorre dire, inoltre, che, in ambito scolastico, il dirigente non avrebbe solo funzioni di management, ma anche di leadership poiché ci si dirige verso una concezione della scuola intesa come ?produttrice di significati?; per fare questo, tuttavia, è necessario individuare categorie di razionalità che consentano di comprendere le diverse situazioni e di suddividere i dirigenti secondo livelli di leadership di gruppi di persone. Essi, quindi, diventerebbero operatori professionali ai quali verrebbe affidato il compito di produrre significati, attraverso interazioni con altre persone che posseggano la loro stessa capacità di educatori.

Merita di essere ricordato che l’esigenza di definire il luogo in cui si producono significati determina la nascita della dinamica centro-periferia poiché, più ci si avvicina alla produzione dei significati di cui le persone conservano le tracce, più si rimane legati ai propri luoghi di origine. Diventa indispensabile, quindi, mantenere significati corretti rispetto alla molteplicità di dimensioni che si vengono a creare anche perché, più ci si dirige verso macroorganizzazioni sovra-statuali, più queste logiche diventano simultaneamente significative. Di conseguenza la scuola vive lo scontro culturale provocato dalla contrapposizione contemporanea di queste due spinte (verso il centro e verso la periferia), nessuna delle quali può essere abbandonata.

Per uscire dalla situazione sopra descritta, realizzando forme di compatibilità produttiva per tutti, parrebbe doveroso valutare i diversi indicatori disponibili riferiti sia ai ragazzi che alla scuola ed analizzare le cosiddette ?speranze progettuali? già esistenti, prima fra tutte la creazione del dirigente scolastico.

Tuttavia è difficile stabilire il motivo per cui l’introduzione di questa figura costituisca, ormai, una priorità ufficiale: ciò potrebbe essere avvenuto perché i dirigenti sono pochi; perché si sono costituiti in organismi culturali e sindacali rilevanti; per l’esigenza di rispondere ad un principio di verticizzazione nel sociale o perché la loro età media si è ridotta. Del resto, per la prima volta all’interno del sistema scolastico, una categoria professionale si è definita come ?immagine? e sta operando per realizzarla.

Va detto, peraltro, che un problema deriva dal fatto che si stia preparando un piano nazionale di riqualificazione in termini di prospettiva globale, per trasformare il dirigente scolastico in una figura dotata di una personalità ben definita, senza pensare che, prima di tutto, occorre stabilire in modo preciso la formazione iniziale di cui necessita.

La legge, inoltre, prevede già la posizione di dirigenza per i capi di istituto e nei prossimi due anni verrà attuato il suddetto progetto formativo dei dirigenti, consistente in una riqualificazione in servizio, da realizzarsi con modalità formative.

Per quanto riguarda il rapporto con gli altri paesi europei, parrebbe opportuno sottolineare l’esistenza di tre modelli di confronto:

·       quello francese;

·       quello nord-europeo o inglese;

·       quello spagnolo.

Il primo modello, statalistico e funzionariale anche nella struttura dei dirigenti, costituisce un esempio non omogeneo agli altri modelli atlantici.

Il secondo, cui si è fatto maggior riferimento per la presenza di una radicata tradizione che prevede il dirigente scolastico inteso come manager-leader, è caratterizzato da una formazione alta, dalla flessibilità di carriera e da una struttura di tipo decentralizzato che, tuttavia, attualmente sta tornando verso una situazione di equilibrio, pur continuando a riconoscere un ruolo forte al dirigente.

Il caso spagnolo risulta interessante poiché, in questo Paese, la scuola si è ?americanizzata? e si è evoluta mediante la ristrutturazione dei centri scolastici ed un forte coinvolgimento delle Università nella formazione dei dirigenti.

Occorre evidenziare, inoltre, che l’esigenza di dirigere una scuola può derivare da motivi diversi: può servire, ad esempio, per educare, per far risparmiare denaro alla società o per ottenere il massimo dalle persone. A questo proposito parrebbe utile guidare gruppi di educatori servendosi di comportamenti naturali, sulla base di quanto avviene in Francia tramite il cosiddetto ?pilotage?. Del resto risulta importante mantenere una visione di tipo educativo, dal momento che il dirigente scolastico può essere considerato un educatore di adulti.

Per fare questo, tuttavia, è necessario superare alcuni macroproblemi culturali, quali la sovrastrutturazione dell’economico rispetto alle altre categorie culturali e la definizione dei limiti nell’impiego dei modelli di tipo marketing e di tipo privatistico all’interno del sistema scolastico.

Va detto, infatti, che la scuola si definisce per livelli di universalità e rappresenta una funzione dell’umanità collegata, peraltro, alla funzione di mantenimento della qualità del personale.

Dovranno essere affrontate, inoltre, anche questioni più tecniche: ad esempio, si chiederà ai dirigenti di gestire unità scolastiche significative, caratterizzate da forti differenze interne.

Occorre, quindi, sviluppare la cultura del cambiamento su un piano di razionalità, favorendo la collaborazione tra gli insegnanti, affinché la scuola diventi realmente un luogo significativo, sia per gli alunni che per gli adulti. In una struttura di questo tipo, i dirigenti costituiranno i primi elementi descrittori della situazione e dell’andamento di un istituto scolastico.

 

Riflessione a cura del prof. Agostino PIETRASANTA

(Preside Istituto Magistrale ?Diodata Roero Saluzzo? di Alessandria)

 

Nel corso dell’incontro è stata espressa piena sintonia con quanto enunciato dal prof. Scurati ed è stato fatto riferimento a due importanti elementi: 1) il decreto legislativo del 6 marzo 1998, che conferisce la qualifica dirigenziale ad alcuni capi di istituto e modifica ed integra il decreto sulla dirigenza del febbraio 1993; 2) l’esperienza personale di lavoro nella scuola, che consente di individuare le difficoltà che gli operatori scolastici incontrano.

Va detto che, nel recente decreto, parrebbe cadere l’illusione di un manager che faccia del bilancio una religione poiché, pur essendo il bilancio un elemento importante, un capo di istituto deve calibrare le proprie scelte in relazione alla realtà in cui opera ed orientare le risorse disponibili per rispondere alla domanda di formazione. Il dirigente scolastico, quindi, non deve essere espressione del centralismo burocratico ma, al contrario, deve essere libero dai vincoli attualmente esistenti.

La riforma del governo della scuola, ad esempio, richiede una diversa organizzazione del sistema e la realizzazione di norme sull’autonomia: a questo proposito un decreto del novembre scorso indica alcuni obiettivi da perseguire e ipotizza un’articolazione flessibile del gruppo classe affidata alla responsabilità della dirigenza di istituto.

Un vincolo all’attuazione di quanto detto è costituito dal fatto che la norma ora citata si scontri con una prassi consolidata, per cui l’autorizzazione delle classi e del loro funzionamento risulta legata a disposizioni affidate alla burocrazia ed inevitabilmente rigide, che bloccano l’attività scolastica. Non si è mai voluto prendere atto, del resto, che i ricorrenti ritardi nell’avvio delle lezioni sono dovuti anche al fatto che il capo di istituto, per far funzionare le classi, debba attendere l’autorizzazione del Provveditore, che viene concessa dopo il controllo di specifici vincoli di organico e tempi tecnici ineliminabili: a questo si potrebbe ovviare affidando direttamente la responsabilità al dirigente scolastico.

Nel decreto sopra citato vengono trattati anche i temi della flessibilità dell’orario e dell’articolazione della durata dell’attività didattica poiché, per realizzare una scuola intesa come ?luogo di vita?, il problema dei tempi adeguati non può essere risolto solo con le compatibilità di bilancio.

Una questione essenziale, inoltre, è legata al fatto che la scuola debba rispondere ad esigenze di mercato ed il governo del sistema scolastico debba individuare un delicato equilibrio tra questa domanda proveniente dall’esterno e gli altri fini istituzionali, creando progetti di trasmissione della cultura e di formazione di abilità critiche. Si rende necessaria, tuttavia, una mediazione tra le esigenze della cultura e la domanda di mercato, per evitare che la scuola risulti condizionata da quest’ultimo e che i fini del sistema vengano snaturati. Per attuare quanto detto parrebbe utile l’autorevolezza di un’adeguata dirigenza, anche se l’efficienza del mondo scolastico è conseguente alla disponibilità di risorse finanziarie, strutturali ed umane. A questo proposito la razionalizzazione della rete scolastica dovrebbe costituire un elemento importante per assicurarne l’effettiva disponibilità, anche se la logica che sembra prevalere nella razionalizzazione è quella di semplici accorpamenti, finalizzati alla soppressione di sedi per esigenze di bilancio.

Per quanto riguarda il problema della formazione, sembrerebbe opportuno modificare la mentalità: infatti ci si chiede come possa il dirigente essere il responsabile primo dei risultati del servizio, in un contesto che gli nega qualsiasi discrezionalità anche nella scelta di un supplente.

L’adeguatezza della risorsa personale, infine, costituisce un ulteriore elemento importante, dal momento che il personale non può continuare a rimanere cristallizzato e senza mobilità: al governo dell’istituto, quindi, dovrebbe essere affidata una responsabilità anche in questo senso.

 

 

 

 

Riflessione a cura del prof. Silvano COSCIA

(Responsabile attività di Aggiornamento e Sperimentazione presso il Provveditorato agli Studi di Alessandria)

 

E’ stata proposta un’analisi del contesto in cui si colloca la scuola italiana, costretta ad individuare una mediazione tra le richieste di un sistema economico, produttivo e sociale e le esigenze di formazione generale, ma sono stati anche elencati i problemi (emersi dall’esame delle circolari e dei decreti) che i futuri dirigenti dovranno affrontare.

Va detto che, prima di tutto, dovrà essere evitato lo spreco di risorse umane, attraverso l’attivazione di un sistema di tutoraggio, l’introduzione di strumenti di controllo e di verifica, di curricula e di contenuti essenziali, e lo sviluppo di una continuità verticale ed orizzontale tra i diversi livelli scolastici (in particolare parrebbe opportuno instaurare un collegamento diretto con l’Università).

L’orientamento, inoltre, dovrebbe essere inteso come ipotesi formativa e dovrebbe avvenire tramite il monitoraggio dell’iter formativo e l’attività di tutors; alcuni documenti comunitari, del resto, prevedono, come unica possibilità per lo sviluppo delle risorse, un corretto orientamento.

Merita di essere ricordato, peraltro, che alcuni documenti sottoscritti dal Ministero dell’Università e da quello della Pubblica Istruzione ribaltano l’atteggiamento classico dell’Università italiana, centrata sui contenuti, affermando la centralità degli studenti e la necessità, non solo di coordinamento sistematico tra le diverse istituzioni che si occupano di formazione, ma anche di produzione di conoscenze esportabili.

Per attuare quanto detto occorre individuare i contenuti essenziali per la formazione di base, evitando di definire a priori quelli fondamentali ed attribuendo maggior attenzione alle attese della società civile, piuttosto che ai programmi: questo, tuttavia, implica nuove modalità di organizzazione e di stesura dei programmi, una collaborazione tra la scuola e l’Università, l’utilizzo di tecnologie nuove e la definizione di una mappa delle strutture culturali di base.

Il dirigente scolastico, quindi, dotato di funzioni di management (quali, ad esempio, il controllo, la direzione, la pianificazione e l’organizzazione) e di leadership (quali la promozione del cambiamento e la creazione di nuovi obiettivi), dovrà agire in un contesto reso difficile da problemi, non solo di amministrazione e di personale, ma anche legati alla realtà socio-culturale ed all’esigenza di continuità e di concorrenza con le altre scuole. Il dirigente, inoltre, dovrà occuparsi della valutazione dei processi e dei prodotti, servendosi di molteplici indicatori di qualità.

Per concludere, occorre ricordare che gli insegnanti vengono generalmente suddivisi secondo quattro categorie differenti: 1) l’insegnante minimale, che si limita a fare ciò che gli viene richiesto; 2) quello entusiasta, che cerca di coinvolgere gli altri; 3) quello analitico-osservatore, che si configura come leader del gruppo; 4) quello professionista. L’azione del capo di istituto, di conseguenza, funzionerà solo a condizione che vi siano insegnanti professionisti.

 

 

 

PRINCIPALI  APPROFONDIMENTI  DEL  DIBATTITO

 

 

 

Sono stati chiesti chiarimenti circa la concezione della scuola come luogo di produzione di significati (dr. Guala).

E’ stata sottolineata l’importanza della produzione di significati, che si rivelano attraverso le tracce che lasciano nella storia personale; la scuola, infatti, insegna a guardare il mondo con un atteggiamento aperto e curioso (dr.ssa Martinetti).

E’ stato evidenziato come la categoria dei capi di istituto si trovi attualmente in difficoltà, sia perché impreparata al cambiamento (sebbene annunciato), sia per la previsione di un suo ridimensionamento e dell’accesso ai corsi di formazione anche per chi sia prossimo alla pensione. Questi elementi sono fonte di frustrazione per la categoria, che intravede il pericolo che il capo di istituto abbandoni il ruolo di educatore per occuparsi di problemi amministrativi: occorre, quindi, evitare che venga trascurata la funzione educativa (prof. Conti).

 

Þ    Se si considera che la scuola rappresenta un momento importante per la costruzione della personalità, i significati di cui si parla sono quelli stabili e permanenti che ogni soggetto interiorizza. Per quanto riguarda il problema dei capi di istituto, va detto che la situazione attuale è critica, anche se vi sono elementi diversi rispetto alla tradizione quale, ad esempio, la definizione formale di dirigenza, mai esistita in passato. La razionalizzazione sulle quantità comporterà costi, tuttavia è necessario intervenire poiché non è casuale che in un paese come l’Italia, caratterizzato da una cultura frammentata, la presenza della scuola assuma spesso un significato culturale. Circa i dirigenti, non si è ancora in grado di dire se la formazione sarà aperta a tutti e se vi sia compatibilità economica con la creazione di tali figure professionali; il dirigente, del resto, si troverà all’interno di un sistema bloccato, poiché non vi è mobilità di carriera per gli insegnanti e non si parla ancora di dirigenza intermedia (prof. Scurati).

 

E’ stato ribadito come dirigere significhi gestire risorse per responsabilizzare le persone a raggiungere obiettivi; dal momento che le risorse sono intese nella loro globalità (ossia finanziarie, strutturali ed umane), parrebbe opportuno non attribuire tutti gli incarichi ad un solo dirigente ma, piuttosto, creare e formare figure dirigenziali specializzate, che si occupino di diversi istituti. A questo proposito è stata suggerita la realizzazione di gruppi di scuole che lascino spazio alle dirigenze specialistiche (dr. Lenti).

E’ stato chiarito il concetto di imperialismo economico nel mondo della scuola; infatti, dal momento che vivere implica scelte e scegliere implica costi, si può parlare di ?strettamente economico? solo quando i costi possono essere calcolati in termini monetari (ma, ovviamente, non è possibile monetizzare ogni cosa). Per quanto riguarda il leader di uomini, che innova e decide, occorre dire che questa figura ha senso solo in un sistema caratterizzato da una forte autonomia che, a sua volta, implica la concorrenza tra scuole. La selezione, infine, non deve avvenire in modo burocratico (ossia con concorsi), ma in modo spontaneo e dovranno essere introdotti controlli statali sui risultati conseguiti (prof. Argeri).

*  E’ stata ricordata l’importanza di svolgere il proprio lavoro volentieri ed è stato chiesto, sia come la formazione del dirigente possa essere collocata nell’ambito della riforma della scuola, sia come una formazione rigida possa adattarsi a persone molto diverse tra loro, all’interno di un sistema rigorosamente suddiviso secondo standard di categorie (prof.ssa Mancuso).

E’ stata espressa preoccupazione per il fatto che i presidi diventino dirigenti poiché è necessario, prima di tutto, comprendere quale sia lo scopo della produzione di significati e cosa sia la scuola oggi. Anche se il cosiddetto ?Documento dei Saggi? fornisce le linee guida riguardo ai contenuti ?minimi? per ogni disciplina, occorre comunque re-inventare il rapporto con le famiglie e con il mercato del lavoro (sempre in funzione del prodotto). E’ doveroso, quindi, cambiare il modo di fare scuola, per evitare che quest’ultima continui a restare un mondo chiuso e lontano dalla società; per questo motivo si ritiene sbagliato contrapporre le esigenze della cultura e la domanda di mercato che, in realtà, costituiscono due entità socialmente importanti e compatibili (prof. Viscardi).

*  E’ stato ribadito come i significati di cui si parla vengano intesi come il frutto del vissuto ed è stata sottolineata una certa tendenza, all’interno del mondo della scuola, a ?piangersi addosso?. E’ stato giudicato, infine, positivamente il ruolo delle scuole medie superiori poiché, anche se molto resta da fare, vi sono comunque insegnanti validi e studenti desiderosi di partecipare (dr. Astori).

E’ stata espressa l’esigenza di creare una dirigenza collegiale che assegni compiti differenti ai diversi dirigenti, per evitare che si ripetano fenomeni di verticismo: per fare questo, tuttavia, occorrono una realtà meno parcellizzata ed una mentalità diversa. Il confronto con le scuole estere, del resto, rivaluta quella italiana, sia per i valori che per i contenuti (prof. Armano).

 

Þ     Anche se non esistono ancora gli strumenti legislativi adatti per creare un team di dirigenti, questo avverrà in futuro perché l’idea di dirigente unico è legata ad un concetto giuridico-amministrativo. Lo schema di decreto stabilisce che il percorso formativo debba essere individualizzato secondo diversi criteri, assegnando ad istituzioni formative esterne il compito di realizzarne il progetto (si consideri che questi elementi innovativi comportano anche ulteriori difficoltà). In materia di selezione occorre ricordare che, in Italia, essa è avvenuta come reclutamento, senza individuare le persone adatte; tuttavia è doveroso riformare anche la formazione iniziale, poiché il modello dell’isolamento e quello del coinvolgimento totale non hanno funzionato. Le funzioni di trasmissione, conservazione e innovazione, infine, sono simultanee, quindi il dirigente dovrà occuparsi contemporaneamente sia degli aspetti lineari che di quelli circolari (prof. Scurati).

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