A fronte di quanto si è potuto osservare nei due precedenti incontri relativamente agli aspetti problematici e alle controverse conseguenze economiche e sociali della globalizzazione, si è ritenuto alquanto interessante avviare con l’incontro odierno anche un approfondimento delle implicazioni che tale fenomeno presenta con i temi della tutela internazionale dei diritti umani, della costruzione di una condizione di pace e di democrazia internazionale. Pertanto si cercherà di porre un’attenzione particolare allo scenario futuro, prefigurando la sorte della tutela dei diritti umani a partire dall’esame del concetto stesso di democrazia (sotto l’aspetto politologico) per verificare, poi, la concreta possibilità di estendere, tali diritti proprio a livello internazionale (considerando, soprattutto, lo stretto legame sussistente tra la pace, la democrazia ed il ruolo, non indifferente, delle società civili occidentali).

 

Intervento del prof. LUIGI BONANATE

(Ordinario di Relazioni Internazionali presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Torino)

 

La democrazia appare come il ?migliore? dei sistemi politici finora sperimentati dall’umanità: parrebbe, pertanto, naturale tentare di estenderla a tutti gli Stati nazionali del mondo, grazie anche alla facilità di scambi (non solo) economici portata negli ultimi anni dall’affermarsi della globalizzazione. Se così fosse, diverrebbe in un certo modo superfluo occuparsi esclusivamente delle implicazioni e delle peculiarità dei regimi democratici osservati ?dal punto di vista? del sistema politico interno agli Stati democratici. E, allo stesso tempo, diverrebbe assai più fecondo, oltre che più interessante, fare riferimento alle opportunità che presenterebbe una condizione ormai acquisita di democrazia internazionale relativamente alla caratterizzazione delle politiche estere degli Stati democratici in un senso ?veramente? democratico. Se poi questo apparisse obiettivo troppo ambizioso da raggiungere (prima ancora che considerare), allora si potrebbe optare per una riflessione che miri a considerare la democrazia internazionale all’interno di un processo di democratizzazione, inteso come aumento progressivo del numero degli Stati democratici.

Un ruolo determinante per la diffusione della forma democratica può chiaramente essere svolto da organizzazioni sovranazionali quali l’ONU, l’Unione Europea e il Fondo Monetario Internazionale. Se l’ONU, infatti, si democratizzasse potrebbe operare una sorta di “trasfusione” del modello democratico nei Paesi non ancora tali. D’altra parte l’Unione Europea, dal canto suo, non può attualmente essere considerata pienamente democratica, poiché la sua struttura costituzionale resta “verticistica” e coloro che effettivamente ne sono alla guida non traggono l’autorità da un’elezione diretta. Tuttavia, se alle elezioni del Parlamento europeo fosse assegnato un ruolo più centrale di quello odierno, l’Europa potrebbe probabilmente arrivare ad essere, fra qualche decennio, un unico Stato. Il Fondo Monetario Internazionale, invece, non presenta attualmente alcun connotato di vera democraticità; esso regola i grandi flussi finanziari legati essenzialmente al debito degli Stati (retti da regimi sia democratici sia non democratici); tuttavia si ritiene che quanto più si evolvesse in senso democratico, tanto più potrebbe favorire lo sviluppo della democrazia in molti Paesi.

Si constata, in ogni caso, che molti tra gli Stati più ricchi del mondo hanno un regime democratico: ci si chiede, dunque, se sia proprio questo sistema ad incentivare lo sviluppo economico, oppure se la forma democratica sia il premio per quegli Stati che si sono sviluppati economicamente prima di altri. I dibattiti politologici in materia non hanno fornito risposte definitive: si è però certi che sussiste, spesso, un rapporto diretto tra “ricchezza” e “democrazia”.

La diffusione del metodo democratico, poi, sarebbe quanto mai auspicabile poiché la storia dimostrerebbe che gli Stati democratici sono pacifici al punto di doversi concludere che, se gli Stati democratici aumentassero, si avrebbero condizioni di pace più diffuse e più stabili le quali, a loro volta, consentirebbero una maggiore tutela dei diritti umani. La pace, infatti, è il “presupposto necessario per l’effettiva protezione dei diritti dell’uomo nei singoli Stati e nel sistema internazionale” (N. Bobbio). A fronte di ciò, sarebbe preferibile considerare la democrazia non tanto come un valore in sè o come mero principio di organizzazione della vita politica di uno Stato, ma soprattutto, come metodo procedurale, capace, cioè, di rappresentare l’elaborazione di  quelle particolari procedure che conducono alla soluzione pacifica dei contrasti. La democrazia, dunque, viene a configurarsi come la pre-condizione necessaria per l’affermazione dei diritti dell’uomo (che possono, appunto, estrinsecarsi solo in condizioni di pace). E, tale prospettiva giustificherebbe una sorta di dovere morale ad una sua diffusione. La costituzione della forma democratica di uno Stato, oltre tutto, non dipenderebbe tanto da “spinte” interne quanto piuttosto  da cause esogene, vale a dire, da ragioni di tipo internazionale (ne sono esempio il Giappone e la Germania, i cui attuali regimi sono stati determinati dall’esterno e, più precisamente, dai Paesi democratici che li hanno sconfitti nella seconda guerra mondiale). Il modello dell’osmosi, infatti, sembrerebbe quello più idoneo a spiegare i meccanismi di diffusione delle forme di governo (che quindi non sarebbero totalmente spontanei e casuali). In conclusione, gli Stati democratici dovrebbero essere chiamati ad una coerente promozione della democrazia, adottando comportamenti pratici e strategie di politica estera atti ad indurre pacificamente altri Paesi ad instaurarla (sebbene si sia consapevoli che questa condotta potrebbe in alcuni casi causare problemi di ordine etico non indifferenti legati soprattutto alla definizione dei comportamenti di fronte a violazioni dei diritti umanitari da parte di Stati retti da regimi non democratici).

 

Intervento del prof. PIER PAOLO PORTINARO

(Associato di Filosofia Politica presso Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino)

 

Il secolo che sta per concludersi ha conosciuto, a livello globale, un grande processo di democratizzazione delle relazioni internazionali soprattutto attraverso il principio dell’autodeterminazione dei popoli e il riconoscimento dei diritti umani,  due poli spesso conflittuali.

La democrazia internazionale, peraltro, sembra designare la frontiera ultima del processo di estensione dei diritti in quanto adatta a superare l’attuale “blocco evolutivo” dei diritti sociali che, rispetto alla dinamica espansiva iniziale, pare abbiano subito, nell’ultimo decennio, una battuta d’arresto. Tuttavia, secondo la logica realistica lo sviluppo politico degli Stati non starebbe evolvendo verso il consolidamento di governi democratico-costituzionali poiché, in molti casi, le pur presenti e rudimentali forme democratiche sono tali solo “sulla carta”: molti Stati, che sono in realtà apparati di repressione e di controllo delle popolazioni, adottano un’apparente costituzione democratica – costruita sotto la pressione dell’occidente – da esibire, nei consessi internazionali, come credenziale legittima circa il loro tasso di democraticità, per beneficiare di eventuali aiuti economici. Occorre inoltre sottolineare che lo Stato non è qualcosa di presente in natura, bensì il frutto di un processo evolutivo complesso e, in ogni caso, un “prodotto” tipicamente occidentale che trae la sua origine dal diritto romano. Anche la democrazia è il risultato di una serie di trasformazioni sociali ed economiche secolari, spesso sofferte, e non può essere dunque facilmente trapiantata laddove, invece, non vi siano condizioni ad essa congeniali. In Europa, poi, il processo di consolidamento delle democrazie è avvenuto quando la nazionalizzazione delle ricchezze e delle risorse era ormai compiuta ed aveva favorito la creazione di società civili, le quali a loro volta hanno promosso un adeguato sviluppo istituzionale. In generale, la dimensione politica di uno Stato è sempre strettamente correlata alle forti tradizioni culturali e religiose che condizionano, in modo diverso, il processo di formazione delle istituzioni.

Parrebbe opportuno, inoltre, non idealizzare troppo le democrazie occidentali che, pur essendo profondamente radicate, si configurano spesso come “aggregati di grandi poteri” o come sistemi oligarchici pronti a stipulare, sul piano internazionale, dei compromessi non sempre conformi alle aspettative di una prassi democratica. Anche sul versante democratico occidentale, quindi, sussisterebbe il rischio di un’ulteriore involuzione, considerando che gli Stati democratici devono costantemente affrontare il dilemma tra scelte nazionaliste e scelte cosmopolite: la tendenza ad orientare le scelte internazionali in base alla prevalente ragion di Stato interna non può infatti trascurare l’opposta tendenza, altrettanto decisiva, ad incentivare la cooperazione con i Paesi esteri. Il problema della democratizzazione internazionale appare dunque assai complesso e per la sua attuazione occorrerebbero:

 

a)     adeguate condizioni sociali, culturali ed istituzionali; la democrazia, infatti, presupponendo un patto di non aggressione tra forze politiche, comporterebbe come condizioni necessarie l’istituzione degli apparati statali, la formazione delle nazioni, cioè un processo di integrazione in una comunità di valori culturali condivisi, e la creazione di una società civile articolata ed attiva;

b)   la condivisione di valori, presupposto indispensabile per il funzionamento delle procedure (di democratizzazione). Ogni area culturale del mondo, infatti, ha prodotto e produce le proprie “carte dei diritti” che si sforzano di sposarsi con la dichiarazione universale dei diritti umani: da un punto di vista lessicale gli enunciati sono analoghi, ma non altrettanto può dirsi circa la loro interpretazione nella prassi; apparirebbe pertanto giustificata l’affermazione di A. Cassese secondo la quale “l’universalità dei diritti è un mito”. Gli elenchi dei diritti positivizzati, poi, spesso non costituiscono un insieme armonico ed infatti, proprio nelle situazioni di crisi, manifestano la loro fragilità. La globalizzazione stessa inoltre non sarà tanto l’età dei diritti, per citare una fortunata espressione di Norberto Bobbio, bensì l’età del conflitto tra diritti, anche se non è scontato il verificarsi di “rotture traumatiche”. L’intelligenza istituzionale del futuro starà proprio nella capacità di ponderare categorie di diritti opposti in un equilibrio che sia in grado di depotenziare il conflitto.

 

 

 




 

PRINCIPALI APPROFONDIMENTI DEL DIBATTITO

 

 

* La democrazia è il “frutto” di regole e procedure ma soprattutto il risultato della volontà di popolazioni che hanno conseguito un determinato sviluppo culturale e sociale. Attualmente, però, si assiste ad un forte calo demografico ed ad un massiccio flusso migratorio che comporta l’incontro e lo scontro di formazioni culturali profondamente differenti. Ci si chiede, pertanto, da che tipo di “evoluzione” sarà caratterizzato il futuro. Si constata, inoltre, che se la globalizzazione non sembra sufficiente a favorire un processo di democratizzazione internazionale, certamente appare, allo scopo, meno preclusiva del regime protezionista, che, peraltro, ha preceduto i due conflitti mondiali (dr. Lenti).

* Si è osservato che il Giappone, pur non avendo avuto le basi culturali ritenute necessarie per lo sviluppo della democrazia, ha comunque una forma di governo democratico (prof. Bonabello). 

* Ci si chiede se l’attuale accelerazione degli scambi commerciali possa favorire processi positivi di coordinamento internazionale o, invece, arrecare dei peggioramenti nell’incomunicabilità tra culture (dr. R. Guala).

[AA1]         

Þ     Le procedure democratiche hanno un valore in se stesse e non è da escludere che possano consentire di risolvere taluni problemi relativi all’accordo tra popolazioni diverse, facendole convergere su una serie – pur minima – di valori universalmente accettati quali, ad esempio, la tutela dei diritti dell’uomo (riconosciuti, tra l’altro, da tutte le principali religioni). Il fenomeno della globalizzazione, invece, non sembra favorire, contrariamente alle aspettative, un processo di democratizzazione internazionale, poiché presenta caratteri di forte ambiguità: attualmente, infatti, gli effetti positivi sono accompagnati anche da considerevoli rischi.

    Secondo la maggior parte dei politologi, il sentimento nazionale è considerato condizione necessaria della democrazia. Si è tuttavia dell’opinione che l’idea di nazione come omogeneità appaia ormai superata dalla storia dovendosi, ora, affrontare non tanto il “nation building” quanto la “confusione della razza”: le barriere della nazionalizzazione, dunque, dovrebbero essere abbassate per lasciare spazio alle virtù delle regole procedurali che consentono la composizione pacifica degli inevitabili scontri tra civiltà diverse (prof. Bonanate). 

Þ     L’ultimo decennio è caratterizzato da una sostanziale riduzione della conflittualità tra Stati e da un’accelerazione degli scambi commerciali che sembrerebbero aver favorito sia la stabilizzazione dei rapporti fra gli Stati sia la genesi di realtà del tutto nuove: i “regimi internazionali”.

         L’orizzonte contemporaneo appare perciò più complesso, essendo costituito, oltre che dai singoli Stati e dalle organizzazioni internazionali, anche da questi regimi, spontanei e flessibili, originati da necessità prevalentemente economiche e dalla maggiore interazione tra gli attori mondiali. I regimi internazionali si configurano come nuove pre-condizioni del processo di democratizzazione, e attraverso la creazione di istituzioni di governo mondiale potrebbero amministrare una società civile sempre più globale, ma priva di un’identità propria che sia fondata su un’etica comune e su valori condivisi.

         Come si è osservato, “trapiantare” la democrazia in un Paese non democratico non è un’operazione facile poiché occorrono determinate basi socio-culturali. Il Giappone, tuttavia, rappresenta un caso eccezionale perché, non avendo conosciuto una dominazione di tipo coloniale, si è difeso per secoli da processi di internazionalizzazione dandosi una struttura unitaria. A partire dall”800, però, ha assunto l’Occidente come modello di sviluppo per il suo processo di modernizzazione economica. Pertanto, l’imposizione del sistema democratico da parte dell’Occidente, è stata favorita da condizioni geo-politiche che ne hanno consentito l’accoglienza senza rilevanti spaccature interne.

         Occorre inoltre sottolineare che il processo di formazione dello Stato, in Occidente, è reso possibile da “omogeneizzazioni territoriali”; la geografia umana di buona parte del mondo, invece, è estremamente particolaristica e quindi l’unità di molti Stati è frutto di confini tracciati arbitrariamente che non rispecchiano l’identità geo-economica delle popolazioni residenti.      

         Si constata poi come le costituzioni dei diritti siano “figlie” delle nazioni: paradossalmente, infatti, i portatori concreti dei diritti umani universali sono organizzazioni mondiali costituite da istituzioni particolari (le singole Nazioni).

         La globalizzazione è un fenomeno propulsivo in termini di sviluppo e di progresso economico; tuttavia presenterebbe dei costi non irrilevanti su almeno tre versanti:

1.             quello dell’occupazione: il fenomeno della possibile delocalizzazione dei settori produttivi crea situazioni di disoccupazione nelle aree dove il costo del lavoro è maggiore;

2.             quello dell’integrazione di chi emigra nel nostro territorio: la società multiculturale è un fattore positivo nel momento in cui la si organizza ed amministra adeguatamente attraverso un ordinamento giuridico all’uopo “attrezzato”;

3.             quello di investimenti esterni, sia per interventi eventualmente armati allo scopo di garantire condizioni di relativa pace sia per la creazione di condizioni di sviluppo (prof. Portinaro).

           

* Si è domandato come sia possibile affrontare il crescente divario tra il Nord ed il Sud del mondo e come possa essere valutato il rischio di una sempre maggiore omologazione culturale del mondo in termini di occidentalizzazione (sig. Barberis). 

* Benché si assista ad una riduzione della conflittualità nel mondo, la logica delle attuali guerre sembrerebbe più pericolosa, essendo legata a ragioni di tipo ideologico, che hanno come principale scopo l’annientamento dell’avversario e non il perseguimento di vantaggi economici (dr. Giacchero).

* Il flusso migratorio proviene soprattutto da un mondo musulmano e ci si chiede, pertanto, se la nostra democrazia sarà in grado di promuovere processi di integrazione e collaborazione o se prevarranno scontri e prevaricazioni. Inoltre si osserva che gli attuali problemi del mondo, presentando un carattere sempre più “planetario”, potrebbero forse favorire una maggiore omogeneità di opinioni, imprescindibile punto di partenza per la realizzazione di una democrazia mondiale (prof. Armano).

 

Þ    Rispetto al rischio legato al fenomeno definito da Serge Latouche “occidentalizzazione del mondo”, si ritiene molto più preoccupante l’atteggiamento frequentemente assunto nei confronti dei non occidentali, tendente a considerarli in qualche modo diversi: così, non è tanto l’omologazione delle culture in sé l’aspetto da paventare, quanto piuttosto la tendenza costante a sottolineare e ad estremizzare le differenze.

         Venendo alle cause delle guerre si sottolinea che la polemica in materia è tuttora aperta dal momento che diverse correnti di pensiero riescono a dare una lettura “economicistica” anche a conflitti che sembrerebbero originati da ragion esclusivamente ideologico-religiose.

         Si sottolinea infine come l’idea di Nazione non avrebbe sempre un valore positivo: quando, infatti, “una nazione diventa Stato, realizzando la sua identità, non ha più bisogno di essere nazione” (prof. Bonanate). 

Þ   Contrariamente alla tesi appena esposta, si ritiene che gli Stati necessitino di un’identità collettiva che garantisca l’unità di “aggregati complessi” e che è data proprio dalla “nazione”; ciò che, semmai, presenta una certa pericolosità è il nazionalismo estremizzato. Circa i “problemi di carattere planetario”, occorre osservare che i prossimi decenni saranno caratterizzati, sia nelle relazioni interne che in quelle internazionali, dalla sostanziale assenza di una programmazione politica, sostituita dalla strategia del “navigare a vista”, che prenda le mosse dalle risorse presenti e si ponga l’obiettivo di minimizzare i costi e massimizzare le opportunità.. Gli Stati occidentali, infatti, non hanno un programma globale di interventi politici coerenti capace di persuadere le popolazioni: le società dell’occidente si trovano di fronte alla sfida di perseguire uno sviluppo economico (sostenibile) che contemporaneamente sia in grado di tutelare l’ambiente, di difendere lo Stato sociale, di mantenere società democratiche aperte e di monitorare i fattori di instabilità nel mondo che sarebbero causa dell’aumento di flussi migratori. Ma se tutto ciò appare concretamente irrealizzabile già a livello di politica interna è facile immaginare quante complicazioni sorgano a livello internazionale. Le istituzioni politiche appaiono ormai inadatte a governare la complessità del mondo globalizzato anche se la strategia del “navigare a vista” potrebbe essere razionalizzata e coordinata affinché non sia totalmente casuale e congiunturale; perché ciò si verifichi occorrerebbe l’intervento di una sorta di intelligenza istituzionale (prof. Portinaro).

 

 * Nel mondo attuale persistono situazioni di grande drammaticità caratterizzate dalla costante violazione dei diritti umani e da continui conflitti che sono sostanzialmente il frutto di cinque secoli di “occidentalizzazione” forzata; ci si chiede pertanto se la democrazia sia da imporre perché possa offrire autentici vantaggi ai Paesi destinatari o perché piuttosto possa offrire maggiori garanzie di sicurezza per l’occidente (prof. Rinaldi).   

* Si è domandato quale sarebbe, in base all’intelligenza istituzionale, la miglior forma di governo internazionale e quale sistema sia da preferire tra quello democratico e quello tecnocratico. Si chiedono inoltre chiarimenti sul perché le democrazie non sarebbero proclivi a farsi guerra reciprocamente (prof. Coralluzzo).

* Si osserva, con un accento ottimistico, che oggi anche i peggiori regimi cercano di legittimarsi come democratici e si sottolinea la priorità del mantenimento della pace a livello internazionale rispetto ad una completa democratizzazione dei singoli Stati (prof. Argeri).

* Non pare convincente la tesi secondo cui una nazione (intesa come l’insieme di beni naturali e culturali che caratterizzano un popolo) quando diventa Stato non ha più bisogno di essere, appunto, nazione (prof.ssa Martinetti).

 

Þ    Il concetto di Nazione assume una connotazione assolutamente negativa solo quando viene utilizzata come strumento di forza e di affermazione. La Nazione, poi, non è indispensabile quanto la pace, che, in effetti, è la pre-condizione necessaria ad ogni forma di sviluppo.

         Le democrazie hanno il pregio di essere prevalentemente pacifiche anche se la storia ci dimostra come alcuni Stati democratici abbiano condotto delle guerre “ingiuste” (è il caso della guerra in Vietnam): in tali circostanze essi hanno abdicato allo loro natura democratica. Si ritiene, infine che  una democrazia di “basso profilo” sia comunque meglio di certi regimi vigenti in alcuni Paesi e che il processo di democratizzazione debba ritenersi positivo soprattutto per i destinatari; chiaramente ciò deve avvenire nel rispetto dei necessari tempi di ricezione e di maturazione propri di ogni civiltà; la democrazia stessa è un sistema “giovane” che necessita di opportuni periodi di crescita (prof. Bonanate).

Þ    Il realismo politico manifesta un certo scetticismo nei confronti della bontà delle proposte universalistiche, poiché nelle relazioni internazionali la tendenza degli attori è quella di perseguire un interesse particolare. Le politiche di integrazione presentano dei costi, perciò sarebbe altamente illusorio pensare al processo di democratizzazione del mondo in termini esclusivamente altruistici.  

         Per quanto concerne i Paesi che adottano comportamenti ipocriti nei confronti del modello democratico va detto che ciò è opera prevalentemente dalle élites di quegli stessi Paesi che hanno un tornaconto personale, non sempre condiviso dalla popolazione.

         Circa la migliore forma di governo internazionale, i correttivi tecnocratici hanno un ruolo rilevante, ma vanno necessariamente contestualizzati. Si può dire che l’Italia degli anni Novanta sia stata salvata dai governi tecnici e che, anche per quanto riguarda la UE, gli interventi tecnocratici avranno, nella costruzione della identità europea, un ruolo prioritario rispetto alla società civile, la quale non è ancora sufficientemente organizzata dal punto di vista politico e culturale (prof. Portinaro).

 

Scarica File