Dopo aver esaminato i vizi e le virtù della politica europea in Italia, si rende quanto mai interessante osservare il ruolo del Parlamento europeo e i programmi dei partiti che ne fanno parte.

Il Trattato di Maastricht (1992), infatti, prevede, all’art. 138a, che i partiti europei svolgano un ruolo di raccordo tra la comunità europea e le istituzioni europee affinché la cittadinanza sia adeguatamente rappresentata e possa sentirsi effettivamente parte della nascente dimensione sovranazionale. Al Partito Popolare Europeo (PPE) ed al Partito Socialista Europeo (PSE) fanno riferimento i due gruppi più rilevanti del Parlamento europeo. Vi è però da sottolineare che, almeno per quanto riguarda il PPE, non si assiste ad una coincidenza perfetta tra partito e gruppo: il partito, infatti, è costituito da una base più ristretta rispetto al gruppo cui aderiscono, invece, tutta una serie di partiti “nazionali” che non partecipano ancora a pieno titolo al partito stesso (è il caso di Forza Italia o dell’UDE – Unione dei democratici europei – struttura parallela che, con ogni probabilità, confluirà nel PPE). I partiti europei sono, dunque, dei partiti sovranazionali composti da partiti nazionali che cercano di promuovere una “realtà amalgamata” internazionale, compito tutt’altro che facile considerate le numerose ed accentuate diversità che caratterizzano l’Europa e che rendono pertanto sempre più necessario incentivare la formazione di una base politica più ampia e più rappresentativa. I principi fondamentali su cui si basa il programma politico del PPE – e che costituiscono gli aspetti di maggiore divergenza col PSE – sono i seguenti:

a) la sussidiarietà degli Stati nazionali rispetto all’Unione europea, principio che dovrebbe essere applicato in ogni ambito (organizzativo, politico, civile ed economico) contrariamente ai socialisti europei che sostengono il centralismo statale della vita sociale, politica ed economica;

b) la comunitarizzazione degli Stati, principio che è alla base della costruzione di un governo europeo di tipo federale che comporterebbe la crescita del ruolo delle regioni e la riduzione di quello degli Stati nazionali, contrapposto al principio di intergovernabilità propugnato dal PSE;

c) il “liberismo” economico, previsto nello stesso trattato di Maastricht, che, appunto, prevede principi economici prevalentemente liberisti – riduzione dell’intervento degli Stati nell’economia, supply side economics, indipendenza della Banca Centrale – contrariamente alla maggioranza socialista che ha tentato di minare queste fondamenta del Trattato postulando un ritorno ad un approccio keynesiano della politica economica.

Sussistono, tuttavia, aspetti di convergenza: da entrambe le parti, infatti, si auspica una politica estera europea comune ed una difesa comune europea che garantisca la giustizia ed una maggiore tutela dei diritti umani.

 

Intervento dell’on. RINALDO BONTEMPI

(europarlamentare – gruppo Partito Socialista Europeo – membro Commissioni per la politica

regionale e per le libertà pubbliche e affari interni)

 

La realtà europea appare fortemente variegata in ragione delle differenti e consolidate tradizioni degli Stati che ne fanno parte rendendo, talvolta, molto profondi i divari. Ai problemi dell’Unione europea si sommano, inoltre, quelli derivanti dalla globalizzazione dell’economia, fenomeno di portata mondiale, che inducono il “socialista europeo” ad essere più sensibile ed attento alla salvaguardia della socialità e delle identità dei singoli Stati aderenti all’Unione.

Ma venendo ai programmi politici dei vari partiti europei, si evidenzia che essi, in realtà, si assomigliano molto e tale convergenza di programma, è meno pregevole della contrapposizione: occorre, infatti, considerare che i gruppi e i partiti europei hanno svolto un ruolo fondamentale nella costituzione dell’Europa e che la contrapposizione è in grado di offrire una serie maggiore di opzioni che possano contribuire democraticamente alla risoluzione dei problemi 

Il PSE ritiene sia assolutamente necessario trovare risposte soddisfacenti ad un mondo che, in questi ultimi decenni, appare molto cambiato: la nascente Unione europea deve essere guidata adeguatamente all’interno della complessità del mondo poiché ci sono problemi connessi all’innovazione, alla modernizzazione e alle sempre minori rigidità dei sistemi che non possono essere più risolti dal solo modello liberista ma necessitano di politiche attive nuove.

A motivo di ciò sono, infatti, state istituite delle cellule di prospettiva, e cioè gruppi di “scienziati europei”, che cercano di esaminare gli scenari futuri e di apprestare gli interventi opportuni; attualmente sono state individuate quattro grandi aree problematiche che necessitano di provvedimenti normativi. Occorrerebbero, dunque, delle regole che gestiscano:

1) la mondializzazione e la conseguente compatibilità di tale processo nel mondo;

2) la riforma dei sistemi sociali;

3) la questione demografica;

4) la questione concernente il crimine internazionale.       

Pare opportuno sottolineare come il problema attinente la questione demografica sia destinato ad assumere un rilievo sempre maggiore dal momento che l’incremento della popolazione sarà dovuto, per almeno il 95%, ai flussi di immigrazione provenienti dai Paesi in via di sviluppo…

La lentezza con cui procede il cammino dell’Europa, tuttavia, è comprensibile alla luce del fatto che l’operazione europea non ha precedenti esemplari ai quali ispirarsi anche se ciò non deve costituire un alibi per non agire anche al momento opportuno: non è infatti pensabile procedere ancora a lungo con un’asimmetria profonda tra le istituzioni europee e i cittadini europei che formalmente, sono sempre più associati a questa nuova realtà ma che non si sentono veramente rappresentati da tali istituzioni. Gli europarlamentari, pertanto, dovrebbero promuovere un dialogo tra i propri governi ed il governo europeo affinché si riesca a corrispondere in modo più coordinato e puntuale alle esigenze della società civile, insistendo soprattutto sul fronte dei diritti, della democrazia, della giustizia e della sicurezza e non si vanifichino i validi programmi, contenuti in numerosi trattati, legittimamente approvati, ma, purtroppo, scarsamente osservati e resi operativi.

 




 

PRINCIPALI APPROFONDIMENTI DEL DIBATTITO

 

 

* Si domanda se a livello di Parlamento europeo ci sia la consapevolezza che la sola unione monetaria non basti a costruire l’Unione europea e se sarà realmente possibile anche la realizzazione di un’unione fiscale, politica ed economica (dr. V. Giacchero).

* Si ritiene che sarebbe interessante capire se c’è, nelle persone, la vera volontà di costruire un’Europa comune. La “questione demografica” appare piuttosto grave: la civiltà europea non “cresce” ed invano si cerca la fecondità delle articolazioni e dei sofismi. Sarebbe pertanto opportuno elaborare un progetto “totale” e non frammentato, capace di mostrare anticipatamente la meta in modo da giustificare i sacrifici richiesti: i programmi politici non dovrebbero essere finalizzati soltanto alla campagna elettorale ma dovrebbero tenere conto delle complesse esigenze generate dall’attuale situazione. Sarebbe altresì conveniente smettere di agire soltanto quando si è costretti, perché ciò è sinonimo di pigrizia disonorevole (dr.ssa L. Martinetti).

 

Þ    Gli attuali e tragici eventi mostrano come gli Stati si “attivino” solo in circostanze di pericolo concreto ed immediato. Occorrerebbe, pertanto, smuovere il conservatorismo dei governi nazionali, cosa realizzabile se i Parlamenti nazionali capissero che il modo migliore per ritrovare un ruolo fondamentale nella grandi istituzioni europee passa attraverso il controllo del Consiglio dei Ministri. Il Consiglio Europeo, infatti, rappresenta gli Stati (la dimensione statale) ma poiché esso non è plenipotenziario dovrebbe essere controllato; tale controllo potrebbe essere legittimamente esercitato dai Parlamenti Nazionali che, a loro volta, potrebbero meglio assumere un ruolo dialettico col Parlamento europeo. Quanto alle caratteristiche del sistema di governo europeo, – escluso quello monetario -, va detto che esse non sono state esplicitate perché non si è riuscito a prevedere se e come l’Euro avrebbe condizionato le “cose”, non essendoci paradigmatici modelli antecedenti. Si procede, pertanto, gradualmente, cercando di risolvere i problemi non appena appaiano chiari; si ritiene, tuttavia, che l’istituzione del Consiglio dell’Euro spianerà, probabilmente, la strada all’unità politica. Ma ciò che attualmente viene messo in discussione sono le stesse fondamenta del modello europeo, vale a dire la politica economica: il PPE, infatti, sostiene l’indipendenza della Banca Centrale, – e quindi della politica monetaria -, dal potere politico, viceversa il PSE è piuttosto favorevole alla subordinazione di tale Banca ad un controllo del potere politico – si consideri inoltre che di quest’argomento gli inglesi, guidati da Blair, non ne vogliono nemmeno sentir parlare e pertanto non stupisce che tale situazione generi incertezze costituendo una delle cause maggiori di debolezza dell’EURO -. Per quanto riguarda il tema fiscale, occorrerebbe innanzitutto chiedersi se sia veramente auspicabile un fisco unico: il PPE, sostenendo una politica economica liberista, spinge, dunque, per un gioco di mercato che valga anche per le istituzioni ed è favorevole al vincolo della competitività esterna in un regime di libera concorrenza fiscale, coordinato soltanto perché si evitino le perversioni estreme (come il dumping o le corse al rialzo) mentre parte del PSE è piuttosto propenso all’istituzione di tale coordinamento ritenendo possibile trovare un accordo per elevare i livelli della pressione fiscale che potrebbero garantire la ristrutturazione dello Stato sociale. Come si può notare sussistono posizioni estremamente opposte, difficilmente conciliabili alle quali si frappongono, ovviamente,  tutta una serie di programmi intermedi. Occorre, tuttavia, tenere presente che i partiti europei hanno margini di decisione e di scelta molto ridotti anche se molti governi, così come diversi membri del Parlamento europeo, purtroppo, non si rendono conto della presenza della numerosa serie di vincoli statali piuttosto forti che limitano tanto la politica europea liberista quanto quella dirigista. Si osserva, poi, che sia sul piano militare sia sul versante economico, la sovranità nazionale è stata già grandemente ridotta a favore “dell’Europa” e bisognerebbe, pertanto, rendere maggiormente consapevole, di ciò, la popolazione. Sarebbe, inoltre, auspicabile che i cittadini presentassero, a chi li rappresenta, le proprie istanze e i propri suggerimenti affinché ci sia effettiva corrispondenza tra esigenze dei rappresentati e programmi dei rappresentanti (prof. Secchi).

Þ    Si ritiene che le condizioni critiche in cui versa la futura Europa Unita imporrebbero, invece, una completa revisione del modello: c’è il concreto bisogno di innovare e pertanto non basterà prendere un modello che funziona, quale ad esempio quello americano, e trapiantarlo semplicisticamente in un’altra dimensione che ha caratteristiche, storia ed esigenze diverse. Si reputa dunque necessario riorientare tutto rivedendo con attenzione tutti i modelli, a partire da quello monetarista: desterebbe perplessità la tranquillità e la fiducia riposta dal PPE in un modello liberista “collaudato” e pertanto immutabile. In realtà non esiste una politica economica europea indipendente, cui il sistema democratico si possa riferire, a causa dei vincoli nazionali che ostacolano anche l’unità politica. Per quanto riguarda la politica fiscale non si condivide l’eccesso fiscalismo della sinistra, pur giustificato dalla salvaguardia dello Stato sociale, ma si ritiene opportuno formulare un sistema fiscale europeo che abbia un obiettivo comune. La politica estera europea, invece, trova forti difficoltà nello stabilire obiettivi comuni a causa, soprattutto, dell’insufficiente autonomia degli Stati europei rispetto all’alleanza con gli Stati Uniti. Si ritiene che la strada dell’innovazione capita e gestita sia preferibile a quella del conservatorismo e si sottolinea, poi, che sia più importante avere domande – e non solo risposte – comuni  (on. Bontempi).

 

* Si evidenzia che i soldi per finanziare le operazioni europee “antidisoccupazione” pareva non ci fossero ma per intervenire e sostenere gli americani nella guerra del Kosovo sono stati trovati. Si ritiene che si stiano subendo eccessivamente le decisioni degli americani e ci si chiede pertanto se non sussista il rischio che la moneta unica, in queste operazioni, possa perdere parte del suo valore e se l’Italia stia danneggiando i suoi interessi economici presenti in Serbia (dr. G. Manzone).

* Si reputa quanto mai opportuna la costituzione di un governo europeo a struttura piramidale e si domanda quale possa essere la spinta idonea a provocare ciò. Si chiede, poi, dove sia e quale ruolo svolga la destra europea, giacché il PPE e il PSE rappresentano, sostanzialmente, il centro-sinistra: occorrerebbe una maggiore definizione progettuale dei partiti ed un confronto più netto tra una liberal-democrazia e un governo più decisamente conservatore (dr. R. Lenti).    

* Se è vero che i “passi in avanti” vengono compiuti in circostanze di emergenza, ci si chiede come mai l’attuale drammatica situazione dei Balcani non abbia provocato un salto di qualità tanto auspicato e peraltro attendibile. Si domanda altresì quanto contino realmente i partiti europei a livello europeo (avv. M. Bianchi).

 

Þ   La posizione dell’Europa rispetto al conflitto che si è scatenato nei Balcani è di obiettiva subordinazione all’America la quale “maramaldeggia” ed agisce, sostanzialmente, secondo una logica imperiale; questa situazione, pertanto, suscita inevitabili interrogativi che dovrebbero smuovere l’Europa affinché rifletta sulla necessità di sostituire il regime di subordinazione con un rapporto, quanto meno, di parità: la stampa stessa appare più corriva che libera. Ma per potere arrivare a fare scelte libere l’Europa ha bisogno di una realtà politica più polarizzata e meno frammentata: occorrerebbe, infatti, una maggiore esplicazione dei fini poiché la politica non sia relegata alla mera gestione degli eventi, priva di progettazione e di prospettiva, soprattutto per quanto concerne versanti delicati come la difesa e la sicurezza pubblica. Quanto alla destra va detto che essa è presente principalmente sul piano della non-democrazia, e, cioè, della “disertazione” delle istituzioni.

         Si ricorda, comunque, che i partiti europei sono piuttosto giovani e non rivestono ancora un ruolo significativo in sede decisionale: sarebbero opportune delle élites politiche dotate di capacità di conduzione, di decisione e di autorevolezza (on. Bontempi).

Þ     Un valore fondamentale dell’Europa è il rispetto delle diversità, che si sta, purtroppo, negando in Kosovo e che è all’origine del conflitto in atto. E’ vero che il dollaro, a causa della guerra, si rafforza ma occorre anche non dimenticare che la difesa italiana, sostanzialmente, è finanziata dagli Stati Uniti; si consideri inoltre che sono molti i Paesi che vogliono entrare nella tanto discussa NATO… . Per quanto riguarda i Partiti europei, occorre sottolineare che il loro punto debole è dato dalla mancanza di un governo effettivo. Il Trattato di Amsterdam prevede, peraltro, che gli schieramenti politici assumano un ruolo sempre più rilevante: occorrerebbe tuttavia che il Parlamento europeo, organismo politico, non avesse soltanto un ruolo consultivo ma potesse innescare dei processi evolutivi esercitando anche un potere normativo. Si ritiene, infine, che un governo tecnocratico, propugnato dalle correnti neo dirigiste, produrrebbe minori spinte al progresso del regime di libera concorrenza delle risorse; e sarebbe certamente utile una maggiore responsabilizzazione dei governi e delle società civili rispetto alle esigenze dell’Unione europea (prof. Secchi).

 

* Si ritiene sia molto importante capire i problemi nella loro originalità in rapporto, cioè, alle situazioni concrete: il problema politico dell’Europa è che essa deve diventare sì uno Stato ma secondo un nuovo modello di Stato. Occorrerebbe, poi, smuovere l’attuale sistema fermo attraverso un processo di responsabilizzazione di tutti, potenziando l’azione dei soggetti sociali (prof. F. Crema).

* Si considera che la mancanza di strumenti di regolazione politica abbia una forte influenza sullo stato d’animo delle persone. La questione dell’immigrazione, ad esempio, dovrebbe essere regolata attraverso interventi politici che tranquillizzino gli stati d’animo (prof.ssa M.G. Caldirola).

* Ci si chiede perché non si è evitata la guerra dei Balcani e quale sarà il futuro se partiti che si basano su valori importanti, come il PPE ed il PSE, hanno tuttavia poca forza (sig. G. Torchio).

* Si sottolinea che i prossimi rappresentanti europei avranno la responsabilità di contribuire in modo determinante alla realizzazione del federalismo europeo e al coinvolgimento della società civile: sarebbe, pertanto, opportuna una maggior chiarezza dei programmi dei gruppi politici ed un maggior entusiasmo negli stessi rappresentanti europei (dr. G. Astori).

* Si ritiene sia importante evitare l’ipocrisia e lasciar spazio all’onestà intellettuale: quest’Europa è ancora un’Europa degli Stati e dei conflitti (anche se i giovani sembrano già abbastanza coscienti di questa dimensione sovranazionale). Sarebbe però opportuno che le forze politiche valutassero l’opportunità di un’elezione diretta dell’esecutivo (prof. C. Viscardi).

* Si domanda se il potere esecutivo dell’Europa risieda nella Commissione o negli incontri dei Presidenti del Consiglio (dr. V. Giacchero).    

* Si ritiene che la politica appare ormai troppo spesso ipocrita e demagogica suscitando, così, scarsa fiducia mentre dovrebbe assumere maggiormente la responsabilità delle proprie scelte ed effettuare concretamente i cambiamenti promessi verbalmente (sig. B. Perna).

 

Þ   La configurazione delle Istituzioni europee è piuttosto diversa da quella statale: il potere legislativo, infatti, appartiene al Consiglio europeo mentre il Parlamento ha funzioni consultive e la Commissione detiene il potere esecutivo. Ma al di là del ruolo formale delle strutture istituzionali, si ritiene sia fondamentale costruire l’Europa dei cittadini e per far ciò occorrerebbe incentivare la socializzazione dello Stato e non la statalizzazione della società. La preferenza accordata in questi ultimi anni alla politica socialista europea si giustifica anche in ragione delle risposte piuttosto deludenti offerte dalla politica liberista e del fatto che il modello sociale si rivelerebbe, pertanto, più rassicurante. Occorrerebbe altresì che la competizione politica cedesse il passo alla collaborazione: sarebbe, infatti, utile poter interpretare e programmare il futuro in un regime di comunità per capire e gestire meglio le situazioni problematiche dovute anche alla costante convivenza di “sentimenti” spesso opposti (rispetto al fenomeno-immigrazione, ad esempio, l’istanza solidale è forte quanto quella “meno altruista”) (on. Bontempi).

Þ    Si osserva, di contro, che l’Europa dei cittadini esiste già c’è ed i progressi che si fanno e si intendono fare proprio a livello europeo sono soprattutto a favore dei cittadini; certamente occorre coinvolgere la collettività intera affinché partecipi sempre più attivamente e coscientemente alla dimensione sovranazionale. Le regole, poi, sono sì importanti ma se e quando corrispondono adeguatamente alle esigenze e risolvono effettivamente i problemi: di fronte ad una realtà come l’immigrazione che si configura sempre più varia e imprevedibile risulta assai difficile porre delle norme che limitino e controllino il fenomeno che probabilmente va esaminato, valutato e gestito a seconda di come si manifesta e dei costi che comporta: certamente cosa utile e lodevole sarebbe innescare dei processi di sviluppo proprio nei luoghi di provenienza dei profughi (prof. Secchi).

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