Sintesi della relazione a cura del prof. SILVANO BELLIGNI (Ordinario di Scienza Politica e Direttore del Dipartimento di politiche pubbliche e Scelte collettive presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università del Piemonte Orientale ? sede di Alessandria, esperto di problemi di corruzione politica, teoria politica e analisi delle politiche pubbliche).

 

Uno dei quesiti referendari su cui ci pronunceremo il 21 maggio prossimo riguarda il ?Rimborso delle spese per consultazioni elettorali e referendarie[1]? e ha come oggetto la richiesta di abrogazione degli artt. 1, 2 e 3 della legge del 3 giugno 1999 n.157, che regola il finanziamento pubblico della politica dopo le leggi 195/1974, 515/93 e 2/1997[2].

Nelle due memorie allegate i presentatori delle richieste di referendum dichiarano che il loro scopo è di ?eliminare i rimborsi per le spese elettorali e referendarie dei movimenti e partiti politici e che questi ultimi sostengano le spese solo con mezzi propri o giovandosi di erogazioni liberali private?. Si precisa dunque come non sia sottoposta a richiesta di referendum abrogativo quella parte della legge 157/1999 che stabilisce la possibilità di detrazioni fiscali per le erogazioni liberali a favore di partiti e movimenti politici da parte di persone, enti e società. Formalmente l’obiettivo di referendari è di abrogare il finanziamento obbligatorio della politica e di lasciare sussistere il finanziamento volontario; in realtà, si è convinti che quest’ultimo possa essere incentivato con la previsione di detrazioni fiscali.

Dal momento che non è scontato che la posta in gioco e le implicazioni dello scontro siano chiare a tutti i cittadini pare opportuno inquadrare l’evento referendario nel tema più generale del finanziamento della politica.

Il denaro è, con il potere, una delle chiavi di volta dell’agire politico; infatti, indipendentemente dalla nostra concezione della politica, il modo in cui essa si procura le risorse è un rivelatore essenziale della sua qualità e dunque un elemento irrinunciabile della sua comprensione effettuale. Sulla base di questa constatazione quasi autoevidente ? che la celebre ?gola profonda? dell’affare Watergate riassumeva nell’invito ?follow the money? ? ha preso le mosse un approccio tra i più promettenti (anche se meno praticato da noi) allo studio empirico della politica: la cosiddetta ?finanza politica? (political finance o money in politics).

Si ritiene che il problema generale del finanziamento della politica democratica possa essere affrontato muovendo da due questioni dirimenti:

 

             

·         da un lato, il problema dei costi della politica, del loro ammontare, del loro andamento e della loro distribuzione;

             

·         dall’altro, il correlato problema delle fonti e delle modalità di finanziamento, ossia chi paga, che cosa quanto e attraverso quali forme questi finanziamenti vengono erogati e percepiti.

È stato autorevolmente sostenuto che sia il denaro la vera infrastruttura della democrazia in quanto determina chi compete, chi vince e chi governa; tuttavia non è facile valutare l’ammontare dei costi del processo democratico-competitivo, in assoluto e comparativamente[3]. È opinione comune che tali costi ? attribuibili a patititi, movimenti, candidati, elezioni e prescindendo dai costi ordinari delle istituzioni e delle politiche pubbliche ? siano da almeno un quarto di secolo in costante e rapida crescita come emerge chiaramente dalla seguente tabella su ?Il costo delle votazioni? (espresso in miliardi di lire)

 

 





























VOTAZIONI

COSTO

 

1992

Politiche

660

1993

Referendum

787,146

1994

Politiche

798,150

1995

Referendum (12 schede)

917,134

1996

Politiche

860,644

1997

Referendum (7 schede)

840,240

 

In genere questa diagnosi sull’?esplosione? dei costi della politica democratica si compone di due proposizioni: ?i partiti costano di più? e ?le campagne elettorali costano di più?[4]. Ma a ben vedere le due proposizioni devono essere considerate separatamente; in effetti almeno in Italia, mano a mano che la politica si è elettoralizzata e personalizzata, concentrandosi nei periodi elettorali, orientandosi ai candidati e centralizzandosi intorno a ristrette leadership, il costo dei partiti (nel loro funzionamento quotidiano, extra-elettorale) è diminuito, i partiti stessi sono diventati più leggeri e i loro apparati e le relative spese quotidiane si sono ridotti. Tuttavia a fronte di quanto detto si riscontra l’aumento più che proporzionale dei costi delle campagne elettorali a tal punto che i costi totali dell’attività democratica sono crescenti e si assiste all’evolversi della situazione paradossale per cui con partiti più leggeri l’attività costa di più e non meno, così come si riscontra nella seguente tabella sull’?Indennità mensile lorda dei deputati (1946-1998)?

 

 























DECORRENZA

INDENNITA’ MENSILE LORDA (in lire)

 

Dal 25 giugno 1946

25.000

Dal 1 luglio 1965

683.628

Dal 1 gennaio 1975

1.076.266

Dal 1 gennaio 1985

6.339.456

Dal 1 gennaio 1995

16.479.141

Dal 1 gennaio 1998

18.674.170

 

È ormai una domanda corrente quella relativa alle motivazioni di tale aumento che appare in contrasto con previsioni e attese diffuse che vedevano essenzialmente nei partiti di apparato i responsabili dei costi esorbitanti della politica. A tal proposito ci sono diverse teorie che congiuntamente concorrono alla comprensione del fenomeno; la prima si focalizza sull’incremento dei costi tecnologici poiché le tecnologie della comunicazione e della propaganda politica ? soprattutto la televisione ? sono indispensabili alla competizione moderna[5], la seconda ipotesi considera invece l’aumento dei costi lavorativi, infatti le campagne elettorali si sono fortemente specializzate e richiedono esperti generalmente reclutati a caro prezzo al di fuori dei partiti. In tal modo le macchine elettorali già labor intensive sono diventate capital intensive e richiedono investimenti continui e onerosi per assicurarsi l’apporto di agenzie specializzate e di staff di consulenti che si occupino oltre che di strategia e di organizzazione generale, di relazioni marketing elettorale, di sondaggi, di pubblicità, di fund-raising, di pubbliche relazioni, di consulenza legale, di rapporti con la stampa ecc. In terzo luogo è aumentata la competizione elettorale (secondo un modello dinamico e analogo a quello della corsa agli armamenti) pur nella crescente deradicalizzazione del gioco politico e omologazione dei partiti.

L’aumento dei costi delle campagne elettorali si spiega per buona parte proprio con le trasformazioni dei partiti in agenzie elettorali che non dispongono di manodopera gratuita, in cui è scomparsa o si è comunque fortemente ridotta di numero la figura del sostenitore disinteressato (che lavora gratuitamente per il partito) a vantaggio di quella del sostenitore beneficiario (che dal lavoro di partito vuole trarre un guadagno in termini di denaro o potere).

Si riscontra inoltre che con la fine del partito di massa e l’avvento catch all party si è eroso il voto di appartenenza e di identità, per definizione stabile, è aumentata la volatilità del voto e dunque si è intensificata la competizione per un elettorato fluttuante di dimensioni crescenti, posto al centro degli schieramenti. In altre parole si è instaurato un mercato del voto altamente competitivo in cui non vi sono più elettori vincolati da un’identificazione partitica di natura ideologica e ascritta.

Se questo è vero, la variabile indipendente che contribuisce a spiegare l’aumento dei costi (più dell’innovazione delle tecnologie della comunicazione e della specializzazione delle campagne elettorali o della crescente sofisticazione programmatica dell’elettorato) è la perdita di controllo ideologico e il contestuale deficit di militanza dei partiti.

È importante vedere la questione dal versante delle fonti di approvvigionamento e delle modalità di erogazione (offerta) e di acquisizione (domanda) delle risorse finanziarie muovendo da due distinzioni canoniche: l’una tra finanziamento privato (volontario) e pubblico (involontario o obbligatorio), l’altra tra finanziamento legale e illegale. Se incrociamo queste due coppie di opposti avremo quattro situazioni tipiche: finanziamento pubblico legale o illegale e finanziamento privato legale e illegale.

I soggetti protagonisti del finanziamento privato legale sono cittadini o gruppi privati (associazioni e organizzazioni di varia natura) interni o esterni ad un partito. Il modo classico di finanziamento del vecchio partito di integrazione di massa è il sistema delle quote ricavate dal tesseramento, un’invenzione organizzativa del secolo scorso che segna il passaggio dal precedente partito di notabili (in cui pochi individui facoltosi finanziano i candidati in presenza di condizioni di suffragio ristretto e di omogeneità sociale dell’elettorato) al partito di massa in cui decine o centinaia di migliaia di iscritti finanziano la macchina organizzativa, i funzionari, la stampa e le candidature operaie.

A questo modello di finanziamento privato interno (in cui il denaro viene procurato dai militanti stessi, membri di base o dirigenti del partito) e, soprattutto, quello delle donazioni -le cosiddette ?erogazioni liberali? previste e consentire dalla legge attraverso modalità varie ? che si possono indirizzare ai partiti o ai candidati e essere cioè candidate-centered o party-centered.

Il modello di finanziamento privatistico esterno, orientato ai candidati trova negli Stati Uniti la sua realizzazione paradigmatica, infatti il finanziamento dei candidati proviene (più che dai partiti più deboli e marginali, dai patrimoni personali dei candidati stessi e dallo Stato federale per elezioni presidenziali) da singoli donatori e dai PACs (Political Action Committees), il fenomeno che caratterizza il cosiddetto modello liberale-plutocratico di finanziamento della politica.

I PACs sono associazioni facenti capo a singoli cittadini, imprese, sindacati, gruppi di interesse pubblico che raccolgono contribuzioni o sostengono spese per influenzare la nomination o l’elezione di uno o più individui a livello federale o statale, canalizzando finanziamenti verso certi cittadini o spendendoli in proprio per sostenerli o osteggiarli. In altre parole i PACs sono degli intermediari organizzati tra società e politica che svolgono in parte funzioni che erano proprie dei partiti principalmente perché concentrano e centralizzano l’offerta finanziaria canalizzandola sempre più verso interessi e iusses nazionali.

Si puntualizza peraltro che benché i PACs siano nati come espressione dei sindacati, allo scopo di controbilanciare l’influenza politica dei big money, dagli anni Settanta in poi si sono progressivamente trasformati negli strumenti privilegiati del dominio politico delle élites economiche e delle grandi corporations. Il risultato è la cosiddetta dollar-politics vale a dire la simbiosi inestricabile e avvolgente tra denaro erogato per fini politici e processo politico-elettorale che concorre a determinare la ridefinizione della struttura del pluralismo americano in quanto il potere delle grandi imprese si autorappresenta nelle istituzioni attraverso propri fiduciari diretti, che alla loro ?liberalità? devono l’elezione.

Un siffatto finanziamento ?libero? della politica può alterare la fisiologia della competizione democratica in un duplice senso: in primo luogo perché se grandi elemosinieri esterni divengono indispensabili per il partito è altamente probabile che si possa instaurare tra i primi e il secondo un rapporto di dipendenza che porta a influenzare l’agenda decisionale e le politiche pubbliche piegandole a logiche di parte; in secondo luogo i finanziamenti sperequati a partiti e candidati alterano la competizione democratica attribuendo ai beneficiari delle donazioni più ricche un vantaggio competitivo sistematico.

Risulta dunque progressivamente sempre più inadeguata a impedire la colonizzazione particolaristica della rappresentanza la regolamentazione delle entrate e/o delle uscite elettorali – vale a dire di quanto può essere ricevuto o può essere speso ? anzi sembrano aver preso il sopravvento le forme semilegali di finanziamento privato consentite dalla porosità di tutti gli ordinamenti in corso attraverso l’impiego del soft money.

Al tema del finanziamento grigio ? non illegale ma eticamente discutibile ? è contiguo quello dei finanziamenti illegali e della corruzione che si verifica quando i partiti di finanziano occultamente accettando o richiedendo denaro in cambio di contropartite nell’esercizio di funzioni pubbliche; è il caso che in Italia è stato clamorosamente rivelato da tangentopoli e che ha chiamato in causa i principali partiti italiani.

Focalizzando ora l’attenzione sul finanziamento pubblico pare opportuno precisare che si tratta di una caratteristica della politica europeo-continentale e in particolare nei Paesi (come l’Italia, la Svezia e la Germania) in cui domina un sistema di governo di partito e che esso è correlato positivamente con la forza e la centralità dei partiti nel sistema politico. Tuttavia la scelta del finanziamento pubblico dei partiti e dei candidati si propone anche di reagire a una deriva della politica che rischia di compromettere l’equità del processo democratico di selezione della classe politica e la sua indipendenza dai poteri di fatto.

Ciò premesso si precisa che ci sono diversi tipi di finanziamento statale della politica infatti i modelli vigenti possono essere classificati in riferimento a quattro variabili: chi viene finanziato, come, quanto e perché.

Considerando le prime due questioni relative rispettivamente ai destinatari e alle modalità del finanziamento, dall’incrocio di queste due variabili si ottengono quattro possibilità tipiche che riassumono le fattispecie di fatto operanti nelle nostre democrazie. I destinatari possono essere direttamente i partiti oppure i candidati per le cui spese elettorali vengono previsti dei rimborsi. Benché non sempre sia facile tracciare dei confini e vi siano dei casi in cui sono previste entrambe le forme, la logica è diversa: nel primo caso lo stato finanzia il partito in quanto associazione, nel suo funzionamento ordinario e permanente (stampa, fondazioni, gruppi parlamentari, personale, apparato centrale o organizzazioni periferiche); nel secondo caso vengono invece sovvenzionate, attraverso il partito, le spese elettorali dei candidati.

Rispetto al come si viene finanziati dallo Stato la distinzione rilevante è tra finanziamento diretto e indiretto ossia il finanziamento può avvenire destinando direttamente e selettivamente uno stanziamento annuale ai partiti (gruppi parlamentari, etc..) oppure in forma indiretta, incentivando le donazioni private attraverso agevolazioni fiscali o prevedendo la destinazione di una parte del debito fiscale dei cittadini (ad esempio il quattro per mille).

Rispetto al quanto ? l’ammontare delle risorse da destinarsi al finanziamento pubblico ai partiti e/o ai candidati ? non vi sono regole generali, infatti l’entità degli stanziamenti sembra dipendere oltre che dalla capacità di pressione dei partiti e dalle disponibilità di bilancio, anche dalle concezioni condivise in una società circa il ruolo della politica e dei partiti stessi.

Il punto nevralgico sembra essere, in ultima analisi, proprio lo scopo per cui questi ultimi vengono direttamente o indirettamente finanziati: se per la loro attività permanente di organizzatori politici o per lo svolgimento di funzioni elettorali. È differente infatti che il partito sia considerato uno strumento di partecipazione permanente di integrazione e di mobilitazione della società per fini collettivi, o sia visto come una squadra in lizza per vincere una competizione per le cariche e come un semplice strumento di mobilitazione elettorale.

Si ritiene opportuno precisare che anche le fonti pubbliche di sussidio ai partiti possono essere illegali; ad esempio imprese e enti statali e parastatali possono accantonare ?fondi neri?, falsificando i loro bilanci, per finanziare occultamente partiti o correnti politicamente ?affini?. È una prassi che in Italia è stata a lungo adottata dalla nostra industria pubblica e che ha costituito una delle peculiarità negative del caso italiano di party government.

Quest’ultimo punto introduce l’argomento del controllo pubblico che va ordinariamente di concerto con obblighi di trasparenza e di pubblicità dei bilanci, tuttavia non è un mistero che la sua storia è stata caratterizzata da violazioni continue da un versante, di scarsi e imperfetti controlli dall’altro. In tal modo i bilanci pubblicati dai partiti hanno nascosto, in tutto o in parte, l’esistenza, la provenienza e la destinazione dei finanziamenti sia privati che pubblici.

Si ritiene opportuno sottolineare che alle obbiettive difficoltà di controllo e alla reticenza dei controllandi, ha fatto riscontro una volontà tutt’altro che granitica da parte dello Stato di esigere rendicontazioni accurate e veritiere e di controllarne la plausibilità. Tutto ciò ha contribuito a rendere assai impopolare il finanziamento pubblico e ha attizzato umori antipolitici endemici su cui hanno capitalizzato i movimenti referendari.

In conclusione, volendo tirare le fila del ragionamento e tornare circolarmente all’evento referendario occorre precisare che la sindrome che sta ?divorando l’anima? della democrazia contemporanea ? costi esponenziali delle elezioni, crescenti pressioni lobbistiche e corruzione diminuzione drastica dell’autonomia della classe politica ? è considerata l’effetto di un duplice processo storico: l’essiccarsi delle fonti interne di finanziamento dei partiti connessa alla demassificazione e deideologizzazione degli stessi e la privatizzazione dell’electoral financing.

Si è convinti che il fatto che il finanziare con fondi pubblici la politica e i partiti sia in molti casi fallito o che comunque abbia generato conseguenze inattese e effetti perversi, non significhi che ? debitamente emendato e tenuto sotto controllo ?  non possa essere utilmente riproposto (eventualmente accanto ad altre forme private).

 

 




 

PRINCIPALI APPROFONDIMENTI DEL DIBATTITO

 

 

             

v      Si osserva come la situazione della democrazia americana segni il trend che siamo destinati a seguire. Si domanda se l’Europa possa tuttavia avere ancora la capacità di trovare nel proprio patrimonio l’estro creativo per ?inventare? nuove forme (più umane e democratiche) di gestione della politica (dr.ssa L. Martinetti).

             

v      Si nota che si sia passati da una situazione caratterizzata dalla militanza politica ?cupa?, ideologica ed emozionale ad un contesto in cui emerge un sostanziale distacco della politica dal cittadino (sig. P. Biase).

             

v      Si chiede di approfondire il tema delle cosiddette ?uscite? elettorali (prof. M. Causà).

 

    

Ø                Si ammette che nell’ultimo ventennio si sia creata una sorta di impopolarità politica; tuttavia si è convinti che si possano ricercare rimedi gestibili nel sistema dei finanziamenti pubblici ai partiti, non in quelli privati poiché considerati non sufficientemente adeguati a risolvere tali problematiche.

    

Ø                Dopo la legge del 1993 si riscontra un finanziamento delle elezioni piuttosto prodigo infatti parte del denaro destinato alle spese elettorali non è stato speso e quindi è rimasto nelle casse dei partiti, come risulta dalla seguente tabella sui ?Rimborsi delle spese elettorali? relativi al periodo 1994-1996

 

 
































ELEZIONI

SPESE ACCERTATE

RIMBORSO SPESE

AVANZO PARTITI

 

Elezioni politiche 1994

43,5 (48%)

90,8

+47,3

Elezioni europee 1994

24 (48%)

50

+26

Totale 1994

67,5 (48%)

140,8

+73,7

Elezioni regionali 1995

 

57

 

Elezioni politiche 1996

34,4 (37,9%)

90,8

+56,4

 

 

             

v      Si rileva che i partiti di massa hanno conosciuto negli anni Settanta i primi momenti di crisi principalmente riconducibili a fattori economici. Si osserva inoltre che nel 1970 il Partito Comunista ad Alessandria contava 14.000 iscritti, si autofinanziava con il sistema del tesseramento (ogni tessera costava 10.000 lire) e il costo mensile dei funzionari di partito ammontava a 100.000 lire. Alla fine del medesimo decennio sono subentrati i primi problemi economici poiché gli stipendi hanno subito forti incrementi – sono passati da 100.000 a 600.000 – che il partito non è riuscito a coprire con l’incasso delle quote di tesseramento. A ciò si è aggiunto il verificarsi quasi contemporaneo del fenomeno della frantumazione sociale che ha reso difficile l’applicazione dei tradizionali metodi di classificazione. La somma di tali elementi induce a riflettere sul fatto che un ritorno al passato sia pressoché impossibile (Sen. A. Brina).

             

v      Si osserva come le problematiche che sta affrontando attualmente il nostro sistema politico possano essere ricondotte anche ad una profonda crisi delle forme di rappresentanza; si nota dunque come una potenziale soluzione possa essere ricercata in forme di (maggiore) partecipazione democratica (prof. C. Viscardi).

 

    

Ø                L’introduzione del finanziamento pubblico può essere considerato come il riconoscimento che un ritorno al passato sia difficilmente prospettabile, infatti il partito Comunista è ritenuto l’ultimo partito di massa. Si nota come dal 1968 al 1977 l’autofinanziamento del PCI sia progressivamente cresciuto in relazione all’aumento del numero dei tesserati ma che contemporaneamente si sia alzato l’importo delle spese. Si è convinti infatti che l’euforia di quegli anni abbia contribuito alla realizzazione di una finanza meno rigorosa a cui peraltro si sopperiva con la partecipazione militante, le Feste dell’Unità, le sottoscrizioni e tutti gli strumenti ?tradizionali?.

    

Ø                Si ritiene che la partecipazione dal basso alle problematiche sia un valido metodo per tentare di risolvere i problemi che oggi affliggono la politica. Si nota inoltre come tutta la storia del Novecento sia percorsa da questi tentativi riconducibili alla diffusa convinzione che i partiti non siano più sufficienti a garantire la democrazia.

 

 

             

v      Si ritiene che il finanziamento privato ai partiti possa contribuire a determinare una situazione caratterizzata da una forte pressione da parte dei finanziatori più influenti. Si osserva inoltre come le problematiche connesse al finanziamento della politica possano essere viste da un’altra angolazione ? indipendentemente dalla tipologia del finanziamento ? quella della trasparenza dei bilanci gestiti con un sistema responsabile (dr. R. Lenti).

             

v      Si rileva come un aspetto positivo del sistema di finanziamento privato possa essere ricercato in una maggiore partecipazione dell’individuo; il rovescio della medaglia consiste però nel fatto che tale possibilità di partecipazione verrebbe offerta soltanto ai cittadini facoltosi. Si domanda allora se sussista la possibilità di creare uno strumento che contempli sia il finanziamento privato ? con i dovuti limiti ? sia quello pubblico, favorendo in modo responsabile tutte quelle forme di consentano alla popolazione di partecipare attivamente ai costi della politica secondo le proprie possibilità (dr. R. Guala).

 

    

Ø                Si rileva come in Gran Bretagna a causa dell’alto tasso di corruzione elettorale nel 1883 sia stato fissato un tetto alle spese elettorali, infatti dalla tabella che segue emerge che i costi elettorali della Gran Bretagna nel periodo che va dal 1986 al 1988 risultano essere i più bassi.

 

 












































 

Costo voto

Costo abitante

Costo seggio

Costo voti utili

 

Stati Uniti

5,51

1,91

589.655

2.399

Germania

4,55

2,74

341.080

2.2263

Svezia

2,00

1,24

29.853

694

Gran Bretagna

1,04

0,58

41.670

652

Austria

3,20

2,03

83.843

585

Canada

1,31

0,65

55.619

386

 

 

    

Ø                Si ritiene che un sistema che contempli sia il finanziamento privato che quello pubblico – come tutte le forme miste – sia sempre la migliore delle opportunità. Pare inoltre opportuna una discussione e una presa di coscienza ?dal basso?.



[1] Il prossimo referendum fa seguito a due precedenti (1978 e 1993) grossomodo sullo stesso tema, che hanno avuto esiti opposti. Il referendum del 1993 (in cui il si all’abrogazione ha ottenuto oltre il 90% dei voti)aveva mantenuto in vita il contributo per le spese elettorali, successivamente regolato dalla legge 515/1993.

[2] La legge 195/1974 (con le successive integrazioni) prevedeva il finanziamento diretto (dell’attività ordinaria) dei partiti. Abrogata a seguito del referendum del 1993 è stata parzialmente sostituita dalla legge 515/1993 in cui si stanziavano rimborsi per le spese elettorali (1600 lire a elettore per le elezioni politiche, 800 per le europee, 1200 per le regionali) e in cui erano previsti tetti nelle spese elettorali, regola di parità nell’accesso ai mass media e il controllo dei bilanci da parte della Corte dei Conti. La legge 2/1997 prevedeva sia un finanziamento al sistema dei partiti attraverso il meccanismo fiscale del quattro per mille, sia erogazioni liberali personali e di società parzialmente detraibili dalle tasse. La legge 157/1999 che fa seguito al fallimento del meccanismo del quattro per mille (5% di adesioni), prevede rimborsi elettorali a partiti e movimenti (1000 lire per firma per i referendum, 4000 per le elezioni legislative, 3400 per le europee) e incentivi fiscali per le erogazioni liberali.

Gli articoli 1 e 2 contengono la disciplina del rimborso per le erogazioni elettorali sostenute da partiti o movimenti politici nelle campagne elettorali nazionali, regionali, europee nonché dai comitati promotori di referendum. L’articolo 3 prescrive che una quota dei rimborsi venga destinata alla promozione della partecipazione politica delle donne.

[3] In base a stime recenti gli organi costituzionali costano in Italia circa 2000 miliardi l’anno, dagli 800 ai 1000 miliardi ciascuna elezione politica o referendum (35000 lire a cittadino più 15000 per ogni elezione). All’inizio degli anni Novanta i costi dei partiti oscillavano tra i 1000 e i 1500 miliardi l’anno (Teodori, 1999). In Usa le elezioni presidenziali del 1996, le più costose della storia della democrazia, avrebbero ?ingoiato? 2,7 miliardi di dollari.

[4] Una parte dei sostenitori della polemica anti-partitocratica ritiene che intervenendo sul primo fronte (i partiti) si normalizzi anche il secondo (le spese elettorali) e propone rimedi istituzionali (di cui l’attuale referendum è un vettore) che dovrebbero ridimensionare il ruolo dei partiti alleggerendoli o riducendoli a pure nomeclature elettorali (Teodori, 1999).

[5] In Italia la lievitazione dei costi per gli spazi televisivi data dall’inizio degli anni Ottanta, in concomitanza con il diffondersi delle prime emittenti private, cambia la struttura della comunicazione politica riorientandosi dal partito al candidato (Mazzoleni, 1990).

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