La biotecnologia utilizza organismi viventi (batteri, lieviti, cellule animali di organismi semplici o complessi) o loro componenti purificati (organelli ed enzimi) al fine di ottenere quantità commerciali di prodotti utili, oppure per migliorare le caratteristiche di piante e animali, oppure ? ancora ? per sviluppare microrganismi utili per spe­cifici usi.

La biotecnologia «tradizionale» altro non è che l’insieme delle tecniche produttive utilizzate da millenni ? quali ibridazione delle piante, zootecnia, sfruttamento delle attività fermentative dei microrganismi per la produ­zione di cibi e bevande. Si tratta insomma dell’uso di una parola nuova per definire una disciplina antica, risalente ai tempi preistorici, usata per la preparazione di bevande e cibi fermentati (pane, birra, vino, yogurth, formaggio). La differenza rispetto all’attuale disciplina è che allora non si conoscevano i meccanismi alla base delle trasfor­mazioni della sostanza vivente. È Louis Pasteur nel 1857 che dimostra che sono i microrganismi gli agenti respon­sabili della fermentazione.

La biotecnologia «più innovativa» o avanzata è invece rappresentata dalla moderna biotecnologia, che è l’uso industriale, agrario o zootecnico della tecnica del DNA ricombinante, che è la vera discriminante fra il «vec­chio» e il «nuovo», insieme ai processi di fusione cellulare e di biotrasformazione. Tutto questo si deve ai pro­gressi della biologia molecolare, iniziati nel secondo dopoguerra e affermatisi con autorevolezza a partire dagli anni settanta del XX secolo.

L’intervento dell’uomo sulla selezione genetica è iniziato molte migliaia di anni fa, quando gli uomini hanno cercato di controllare l’ambiente influenzando le caratteristiche genetiche delle altre specie attraverso formule naturali. Tuttavia, in natura esistono barriere che non permettono alle specie di mescolarsi tra loro e di generare un mondo biologico continuo.

Con l’uso della tecnica del DNA ricombinante, chiamata anche in modo suggestivo «ingegneria genetica», il corredo genetico delle singole specie può invece essere alterato artificialmente attraverso l’inserimento di un gene estraneo. L’inserimento per avere successo deve essere fatto correttamente, senza cioè alterare i segnali genetici che precedono e seguono il gene. Le fasi del processo sono: 1) isolamento di DNA (gene); 2) trasferi­mento del DNA prescelto in cellule di origine diverse (ricombinazione del DNA); 3) selezione dei cloni capaci di sintetizzare il prodotto codificato dal gene inserito.

Gli strumenti utilizzati per questi processi sono : gli acidi nucleici (DNA, RNA), gli enzimi di restrizione e di modificazione che permettono di «tagliare e ricucire» il DNA, i vettori molecolari, usati per trasportare il DNA da una cellula all’altra e organismi «ospiti», che sono quelli che ricevono il DNA estraneo.

La storia dei progressi della biologia molecolare che ha portato a questi risultati inizia, quando Griffith nel 1928 e successivamente Avery, McLeod e McCarty nel 1944 dimostrarono che alcune specie batteriche pos­sono acquisire DNA esogeno, che induce cambiamenti ereditari nel ceppo ricevente. Per questo ancora oggi si usa il termine di «trasformazione batterica». In seguito, si è osservato che i ceppi trasformabili non sono in grado di discriminare l’acquisizione del DNA dei batteri da quello di organismi completamente differenti. Infatti, la struttura del DNA è uguale in tutti gli organismi, quello che varia (anche fra gli individui) è la sua se­quenza, cioè il messaggio genetico in esso contenuto.

Nel 1953 James Watson e Francis Crick scoprirono, insieme a Maurice Wilkins e Rosalyn Franklin, la struttura a doppia elica del DNA, mettendo le basi all’interpretazione del funzionamento del DNA e a tutta la biologia moderna. Nel 1973 Doy introduce la tecnica e il relativo termine di transgenosi per il trasferi­mento artificiale di informazioni genetiche (DNA) da cellule batteriche a cellule di mammifero. Ciò ha con­sentito l’applicazione dell’ingegneria genetica in campo medico-farmacologico e nella produzione di vegetali e animali transgenici. In questo modo, è anche nato il termine di «organismo geneticamente modificato (OGM)».

La scoperta negli anni Ottanta della reazione a catena della polimerasi o PCR (Polymerase Chain Reaction) da parte di Cary Mullis, ha «democratizzato» il DNA rendendo possibile a qualunque laboratorio di riprodurne qualsiasi sequenza.

La biotecnologia ha grandi potenzialità di sviluppo e offre un gran numero di applicazioni, che hanno consen­tito fin dall’antichità di migliorare i processi produttivi e i prodotti. Le maggiori applicazioni sono in:

 

?          farmacologia e medicina (produzione di farmaci e vaccini, realizzazione di strumenti diagnostici);

?          agricoltura, veterinaria e zootecnia (produzione di animali e vegetali transgenici, più produttivi e resi­stenti);

?          bioindustria (produzione industriale di vitamine, amminoacidi, enzimi, prodotti alimentari);

?          ambiente (smaltimento dei rifiuti, depurazione delle acque, biorisanamento o bioremediation di habitat con­taminati).

 

Seguono alcuni esempi di queste applicazioni.

 

Vaccini      

La vaccinazione prevede l’inoculo per via parenterale o orale di una preparazione antigenica (per esempio di un microrganismo) che induca una reazione immunitaria specifica che lo proteggerà in futuro. Le tecniche convenzionali presentano diversi inconvenienti, fra i quali la possibile presenza di virus contaminanti nelle colture impiegate per coltivare il patogeno, con il rischio di avere nel prodotto finale del virus virulento resi­duo. Si possono produrre vaccini esenti da questi inconvenienti, facendo produrre a batteri le proteine che ca­ratterizzano il patogeno e usare queste come immunogeni. Così sono stati ottenuti per esempio il vaccino per HBV (epatite B) nel 1986, e quello contro la pertosse nel 1993.

 

Farmaci    

Prima della tecnologia del DNA ricombinante la maggior parte dei farmaci umani di natura proteica era dispo­nibile solo in quantità molto limitate, a causa degli elevati costi di produzione e del fatto che non si conosceva a fondo il loro meccanismo d’azione. Inoltre, per i prodotti ottenuti per estrazione dal sangue o da tessuti e or­gani umani o animali c’era il potenziale rischio di trasmissione di malattie infettive da parte di eventuali pato­geni presenti nel donatore. Attualmente ben 300 diverse proteine con potenziale o certificata attività terapeu­tica vengono prodotte da organismi geneticamente modificati, nei quali è stato clonato lo specifico gene codi­ficante. Il primo di questi prodotti è stato il farmaco salvavita insulina, quindi sono seguiti diversi ormoni quali quello della crescita applicato in pediatria o l’eritropoietina, ben nota agli sportivi. Inoltre, vengono pro­dotte proteine del sangue coinvolte nel controllo dei processi di coagulazione (anticoagulanti e antitrombitici), oppure immunomodulatori e antitumorali, quali l’interferone, le interleuchine, i fattori di crescita e gli antibio­tici.

Un capitolo a parte è poi quello della terapia genica, che offre la possibilità di curare le malattie genetiche, mediante il trapianto di geni buoni che possano funzionare nelle cellule difettose, in modo da correggere il di­fetto ereditario dell’organismo in toto. Il primo esperimento autorizzato sull’uomo, nel 1990 negli USA per la cura di una forma di immunodeficienza congenita (SCID). Tutte le malattie genetiche causate da un singolo gene danneggiato sono candidate alla terapia genica, come per esempio emofilia, fenilchetonuria, fibrosi cistica e ipercolesterolemia familiare.

 

Agricoltura

Una delle prime applicazioni dell’ingegneria genetica è stato il trasferimento di geni tra specie vegetali non in­crociabili. I traguardi di queste tecniche sono la protezione delle piante e l’aumento della loro produttività. I ri­sultati sinora raggiunti sono stati: a) piante transgeniche che resistono all’attacco di insetti; b) piante transgeni­che resistenti alle malattie infettive (virali, batteriche, fungine). [Per esempio piante di pomodoro, melone, pa­tata, riso e tabacco che resistono all’infezione di specifici virus, eliminando la necessità di ricorrere all’uso di prodotti chimici inquinanti]; c) piante transgeniche resistenti a diversi stress ambientali (siccità, salinità delle acque, basse temperature); d) piante transgeniche resistenti agli erbicidi, in particolare quelli a ridotto impatto ambientale; e) piante transgeniche per aumentare la conservabilità dei prodotti, come nel caso del pomodoro transgenico preparato per evitare la rapida maturazione dell’ortaggio; f) modifiche al fine di migliorare quali­tativamente gli alimenti di origine vegetale; g) piante transgeniche in grado di produrre fitofarmaci e vaccini; h) nuove varietà di fiori e piante autofertilizzanti. [Un esempio fra tutti è quello del riso transgenico ricco in ferro, messo a punto dall’Istituto di biotecnologie di Hiroshima, in Giappone. È stato inserito il gene della fer­ritina di soia nel riso sotto il controllo del promotore della glutelina di riso. In questo modo, le piante transge­niche contengono la ferritina, che rappresenta lo 0.01% delle proteine totali del chicco, ma accumula ferro in misura di tre volte superiore alle piante normali. Un pasto con questo riso transgenico fornisce il 50% del fabbisogno giornaliero di ferro per un adulto].

 

Biotecnologie alimentari

Le applicazioni sono molteplici e i settori d’impiego più importanti sono quelli enologico, lattiero-caseario e oleario. Alcuni esempi dei prodotti ottenuti o dei nuovi processi messi a punto sono: a) additivi biologici e non chimici, che migliorano le qualità organolettiche, durata nel tempo, proprietà nutritive; b) ottenimento di nuovi ceppi microbici ingegnerizzati da usare nei processi di produzione alimentare, per la produzione di enzimi da usare nelle fermentazioni casearie, quali la chimosina ricombinante, invece della rennina ottenuta da stomaco di vitello; c) bioingegneria di proteine alimentari; d) aromi, attraverso enzimi ricombinanti o batteri interi che portino a prodotti che sostituiscano quelli di sintesi chimica, che a sua volta avevano sostituito quelli estratti dalle piante; e) addensanti e stabilizzanti per la consistenza dei cibi; f) dolcificanti prodotti in laboratorio da batteri o lieviti ingegnerizzate; g) nuovi metodi diagnostici per il controllo della contaminazione chimica o biologica degli alimenti. [Un esempio, di particolare interesse è quello delle fragole biotecnologiche. Durante un programma di miglioramento genetico della fragola da parte della Horticulture Research International (UK), sono stati individuati numerosi geni che determinano il gusto, l’aroma e la dolcezza del frutto. Sono stati isolati infatti il gene che codifica una proteina che regola l’accesso di zucchero dal floema alle cellule del frutto, de­positandolo nei vacuoli, i geni che eliminano il gusto acidulo delle fragole acerbe, i geni implicati nella produ­zione delle sostanze volatili (alcoli e acidi) e dell’eugenolo che compongono il caratteristico aroma delle fra­gole. L’introduzione di varie combinazioni di questi geni nel corredo genetico delle varietà di fragole coltivate dovrebbe portare alla produzione di frutti migliori. In seguito alle proteste delle organizzazioni ambientaliste, la HRI ha deciso di non utilizzare i metodi del DNA ricombinante e di introdurre i geni usando i metodi clas­sici dell’incrocio e della selezione, ottenendo probabilmente risultati simili, ma in tempi incredibilmente più lunghi].

 

Zootecnia

Le biotecnologie zootecniche consentono oggi di ottenere diversi risultati importanti quali: a) la diagnostica molecolare; b) la produzione di vaccini innovativi; c) il miglioramento della riproduzione e alimentazione ani­male; d) la produzione di linee genetiche resistenti alle malattie e più produttive.

La tecnica del DNA fingerprinting («impronte digitali del DNA») consente di operare una selezione zootecnica molto più accurata che in passato. Con l’uso di microrganismi ricombinanti si ottengono miscele di enzimi uti­lizzabili nei mangimi, per aumentare le capacità digestive degli animali, migliorandone così le prestazioni pro­duttive. Inoltre, è possibile ottenere animali transgenici. Infatti, la tecnica di inserimento di uno o più geni estranei in cellule uovo fecondate consente di produrre animali con caratteristiche nuove, impossibili a ottenere con tecniche naturali. Gli impieghi di questi organismi sono molteplici. Animali con lesioni genetiche identi­che a quelle di malattie ereditarie nell’uomo permettono di studiare a fondo gli eventi biochimici, legati alla svilupparsi di una particolare patologia (per esempio il cancro) ed eventualmente di saggiare agenti terapeutici specifici. Inoltre, gli animali transgenici possono servire alla produzione di proteine di interesse farmacologico, per esempio nel latte. Seguendo questi studi è stata ottenuta la famosa pecora Dolly, clonata da una cellula di animale adulto. Si può ricavare emoglobina umana dal plasma di maiali transgenici e si sta studiando la produ­zione di tessuti e organi ?umanizzati?, da impiegare nei trapianti, che possono ovviare ai problemi del rigetto causato dalla sofferenza dei vasi dell’organo trapiantato a causa della reazione degli anticorpi dell’organismo ricevente.

 

Ambiente

Le biotecnologie ambientali possono essere usate per il trattamento dei rifiuti e nella decontaminazione dei re­sidui tossici, potenziando così i processi naturali di biodegradazione delle sostanze inquinanti. Questo viene realizzato usando i microrganismi che già naturalmente sono capaci di degradare diverse sostanze naturali. Se ingegnerizzati, nel senso di potenziati, questi batteri possono acquisire maggiori o nuove capacità degradative, nei confronti dei composti sintetici preesistenti. Il biorisanamento o (bioremediation) è un metodo poco co­stoso per detossificare terreni e acque da tossici chimici e biologici. In particolare, la possibilità di generare batteri ricombinanti consente di demolire sostanze di sintesi (estranee alla biosfera e perciò dette xenobioti­che), altrimenti non degradabili.

Il problema della brevettazione di tutti questi prodotti e processi è oggetto di vivace dibattito. Infatti, la bre­vettazione di organismi é guardata con sospetto, perché la realizzazione di un prodotto consistente in materiale biologico pare costituire una mera scoperta e non un’invenzione.

Nel 1961 si è firmato la Convenzione internazionale per la protezione dei ritrovati vegetali, che sancisce la brevettabilità di nuove varietà vegetali. È seguita la Convenzione sul brevetto europeo del 1973 che permette la brevettazione dei microrganismi. Nel 1998 l’Unione Europea ha adottato una direttiva che prevede che un materiale biologico («materiale contenente informazioni genetiche, autoriproducibile o ca­pace di riprodursi in un sistema biologico»), isolato dal suo ambiente naturale o prodotto tramite un pro­cedimento tecnico, può essere considerato invenzione. È quindi brevettabile, anche se preesisteva allo stato naturale, purché suscettibile di applicazione industriale.

La direttiva stabilisce che elementi isolati dal corpo umano non sono esclusi dalla brevettazione per il solo fatto di avere origine umana. Non sono brevettabili i ritrovati il cui sfruttamento commerciale sia contrario ai principi fondamentali dell’ordinamento giuridico nazionale («ordine pubblico») o alla mo­rale. La direttiva dichiara non brevettabili i procedimenti di clonazione di esseri umani e di modifica­zione dell’identità genetica germinale dell’essere umano: l’uso di embrioni umani a fini industriali o com­merciali; e i procedimenti di transgenesi negli animali che causino loro sofferenze senza utilità medica sostan­ziale per l’uomo, nonché gli animali risultanti da tali procedimenti.

Sequenze complete o parziali di un gene, incluse quelle umane, saranno brevettabili purché siano collegate con un’applicazione industriale definita (per esempio: sì alla brevettazione di un gene-malattia, no alla brevetta­zione di sequenze di cDNA anonime). La clonazione e la transgenesi su esseri umani sono escluse e così i de­rivati dell’embrione umano. Dal principio di non brevettabilità di metodi diagnostici, terapeutici e chirurgici deriverebbe l’esclusione anche dei derivati dell’embrione umano suscettibili di applicazione terapeutica me­dica o veterinaria (per esempio tecniche di trapianto di cellule embrionali per la cura di malattie del sistema nervoso), come pure della terapia genica somatica.

 

 

La biotecnologia è un settore innovativo e in rapida crescita in tutta Europa, destinato ad avere un impatto sempre più rilevante sulla salute, l’alimentazione, l’ambiente, la società e sull’intero sistema economico.

Dato che il 20% del PIL proviene da attività incentrate sulla trasformazione delle materie prime organiche e biologiche, l’Italia si trova in una posizione favorevole per lo sviluppo di alcune tecnologie innovative. Per esem­pio, l’utilizzo confinato di microrganismi ed enzimi potrebbe essere applicato vantaggiosamente nei settori tradi­zionali del made in Italy. Pertanto, lo sviluppo di prodotti biotecnologici ad alto valore aggiunto e alto contenuto di innovazione tecnologica appare un’evoluzione naturale per il nostro paese, in vista di un rilancio dell’impren-ditorialità e dell’occupazione e della promozione della competitività italiana in Europa e nel mondo.

La biotecnologia offre anche la possibilità di salvaguardare la biodiversità (il patrimonio costituito dalla varia­bilità genetica), mediante la creazione di banche genetiche dove specie e varietà vengono conservate.

Per chi vede nella biologia moderna uno strumento insostituibile di progresso in campo medico-farmaceutico e agro-alimentare, una riflessione importante può venire dal referendum svizzero sulla biotecnologia, svoltosi due anni fa. Promosso dall’organizzazione «Iniziativa di protezione dei geni», il referendum aveva lo scopo di vietare la produzione, l’acquisto, l’immissione nell’ambiente e la brevettazione di ogm, come pure la produzione indu­striale di sostanze da esse ottenute. I sondaggi all’inizio della campagna referendaria indicavano che il 62% degli svizzeri era contrario all’ingegneria genetica, ma il risultato finale ha ridotto al 33% la percentuale degli abolizio­nisti.

Entrambe le parti avevano presentato i loro argomenti in modo appassionato, i media avevano dato ampio spa­zio al dibattito, molti ricercatori e tutti i premi Nobel svizzeri avevano partecipato al dibattito, portando argomen­tazioni basate su dati sperimentali e presupposti scientifici. Tuttavia, non sono state queste le motivazioni che hanno convinto gli elettori, bensì le considerazioni socio-economiche sulla presenza in Svizzera di colossi indu­striali in campo farmaceutico e agro-alimentare dipendenti dalle biotecnologie e che danno lavoro a centinaia di migliaia di persone.

L’appoggio del mondo industriale, in termini di interventi diretti di suoi rappresentanti, di lavoro organizzativo e di supporto finanziario è stato probabilmente determinante per il risultato finale.

Probabilmente non succederebbe la stessa cosa in Italia. La biotecnologia italiana è povera di mezzi, di pro­spettive e di appoggi politici. Non esiste nel nostro paese una lobby di biotecnologi in grado di inserirsi efficace­mente nei canali dell’informazione. Inoltre, il ruolo dell’innovazione biotecnologia nella produzione industriale italiana è ancora assai modesto e il confronto tra le due opposte fazioni, non potendo riferirsi a realtà produttive concrete, rischia di rimanere confinato al mondo dei principi, delle estrapolazioni (più o meno gratuite e delle iperboli). In queste condizioni è molto più facile per un uomo politico o per un giornalista far colpo sull’opinione pubblica, con l’arma del disastro ecologico piuttosto che con un documentato, ma noioso approccio scientifico. Il rischio è chiaro, impossibilità di cogliere un importante momento di sviluppo e condanna alla dipendenza in fu­turo dalla tecnologia sviluppata dagli altri paesi.

 

 

 




 

PRINCIPALI APPROFONDIMENTI DEL DIBATTITO

 

 

 

 

Il dibattito si è articolato su diversi punti tra i quali possono essere richiamati in particolare i seguenti.

 

a)      Il ruolo delle cellule staminali per curare gravi malattie (in particolare, quelle del sistema nervoso) pone que­stioni di carattere non solo medico-scientifico ma anche etico. Infatti, queste cellule hanno la caratteri­stica di assumere le peculiarità di una qualsiasi cellula del nostro organismo (assumendone, cioè, il fenotipo) e quindi possono «rimpiazzare» ottimamente le cellule malate. Tuttavia, la «fonte» di tali cellule è in primis l’embrione umano (nelle sue primissime fasi, quando assume il nome di merula) e ci si domanda se e quanto possano essere utilizzati embrioni per curare le persone affette da gravi malattie attraverso l’impianto appunto di (altrui) cellule staminali. Alternativamente, ma con risultati assolutamente meno certi, possono essere uti­lizzate cellule staminali presenti (seppure in numero assai limitato) negli stessi organismi adulti (anche ma­lati) ? e a questo riguardo in Italia si stanno portando avanti ricerche molto significative soprattutto presso il centro San Raffaele di Milano.

b)      Altra questione molto importante è quella riguardante il rapporto tra sviluppo delle nuove tecnologie biologi­che e mantenimento dell’ecosistema (generalmente inteso). Gli esempi di casi per i quali l’introduzione di modificazioni genetiche per migliorare la conservazione di certi cibi di origine vegetale ha comportato seri danni (in alcuni casi l’estinzione) di specie animali induce a riflettere sul ruolo necessario dei controlli: atti­vità di monitoraggio costante e, quando è il caso, di denuncia da parte dei consumatori (che, auspicabil­mente, dovranno sempre più e meglio attivarsi a fronte della sfida biotecnologia). Ma controlli anche da parte delle istituzioni pubbliche (doverosamente serie e qualificate, quali ad esempio l’Istituto Superiore di Sanità italiano) a cui si affianchino anche le stesse industrie biotecnologiche, chiamate ad investire di più sia nelle procedure di etichettatura dei prodotti, sia nelle attività di sperimentazione preliminare, all’interno di una maggiore enfatizzazione ? da parte delle industrie ? della corretta informazione e comu­nicazione circa i vantaggi (non dannosi per l’ecosistema e per l’uomo) derivanti dall’utilizzo «responsabile» dei prodotti geneticamente modificati.

c)      Interessanti paiono gli sviluppi della terapia genica. Tuttavia, si è sottolineato come la riuscita di tale tecnica terapeutica sia connessa all’individuazione precisa del «vettore» di trasferimento dei materiali con DNA mo­dificato (e pertanto «curativo») all’interno del soggetto malato. Si tenga peraltro conto che oggi uno dei vet­tori più usati deriva dai virus e in particolare dal virus dell’aids, dimostrandosi (anche in questo caso) quali grandi prospettive apre l’ingegneria genetica, in grado di «curare» attraverso l’uso di agenti assolutamente patogeni.

d)      Infine, molti dei convenuti hanno espresso preoccupazione riguardo al rapporto tra biotecnologia e biodiver­sità e, in particolare, riguardo al rischio che l’introduzione dei prodotti alimentari geneticamente modificati possa portare, nel giro di pochi anni, alla selezione di veri e propri «ideal-tipi» di prodotti, tanto da indurre la produzione agroalimentare ad abbandonare definitivamente la coltivazione e l’allevamento della maggior parte delle specie (imperfette) dei vegetali e degli animali. Il relatore, condividendo tale rischio, ha tuttavia ricordato come la biotecnologia serva innanzitutto per potenziare le caratteristiche di «tutte» le specie viventi e pertanto non può essere additata a priori come foriera della distruzione della biodiversità naturale.

 

 

P.S. Per approfondire i temi trattati, il relatore consiglia i seguenti testi di riferimento:

 

Per un approfonidimento generale:

E. Boncinelli, I nostri geni, Einaudi, Torino.

 

Per un approfondimento più specialistico:

E. Boncinelli, Ingegneria genetica, Edison, Napoli.

F. Parisi, C. Spalla, La rivoluzione biotecnologica, EST Mondadori, Milano

G. Poli, Biotecnologie, UTET Periodi Scientifico Milano

Scarica File