Sembra che nel prossimo futuro la sfida della sostenibilità non si vincerà attraverso il rifiuto della tecnologia e il ritorno alla terra. Al contrario gli epicentri della sostenibilità, precisa subito all’inizio del suo intervento Andrea Poggio, saranno proprio i centri urbani. È successo infatti qualcosa di significativo nel 2007: per la prima volta nella storia dell’uomo la maggior parte degli essere umani è urbanizzata. Una svolta epocale che, tuttavia, la politica sembra non considerare abbastanza.

Contemporaneamente sta nascendo un nuovo modo di pensare alle nostre città e a come costruirle. Due anni fa in Europa è stato deciso che entro il 2020 tutti i nuovi edifici che saranno costruiti, pubblici e privati, dovranno diventare ad immissioni “quasi zero”. Molti sono  nel Vecchio Continente gli esempi virtuosi. Fra questi la città di Linz, secondo centro dell’Austria. Qui, su proposta dell’architetto Herzog e con la collaborazione di un team di colleghi (fra i quali Renzo Piano), si è dato vita a un nuovo quartiere in cui le case possono fare a meno di impianti di riscaldamento e climatizzazione, grazie ai materiali utilizzati e allo studio del posizionamento degli edifici per sfruttare al meglio la luce solare e favorire i ricambi d’aria, e dove gli spostamenti sono semplici ed ecologici (puntando sulla bici e i mezzi pubblici). Già nei padiglioni dell’Expo del 2000 di Hannover, Herzog si era distinto per l’uso di materiali come il legno e l’uso di particolari sistemi costruttivi che permettevano di sfruttare al massimo la luce naturale e governare il clima all’interno degli edifici.

L’ambiente urbano è inoltre collegato alla grave questione dell’inquinamento. Il giornalista mostra un’immagine satellitare della Terra che evidenzia le zone maggiormente coinvolte da questo fenomeno: fra esse la Pianura Padana, paragonabile su questo piano alle aree dell’industria nascente cinese. Il problema che dunque più allarma gli scienziati è come continuare a garantire lo sviluppo, eliminando tutti quei fattori che creano inquinamento ed alterano gli equilibri dell’ecosistema terrestre. Una delle soluzioni è pensare a un futuro che fa a meno delle fonti di energia non pulite, nello specifico i combustibili fossili, e in cui si riesca a raggiungere un livello ottimale di efficienza energetica senza rinunciare alla produzione. Questa è ormai anche la linea della Commissione Europea e di tutte le correnti politiche del continente, di qualsiasi colore ed estrazione. Non è solo la sfida tra fonti rinnovabili e non rinnovabili, ma una rivoluzione degli stili di vita, che eviti gli sprechi e permetta di fare di più con meno.

L’arco alpino, compreso quindi un pezzo di Italia (si veda il quartiere Casanova a Bolzano), è stato vera e propria fucina dei nuovi sistemi di costruzione delle case, attenti al rispetto di alti standard di efficienza energetica. In Germania Friburgo è stata pioniera nel settore del solare, in seguito a una lotta (vinta) per la chiusura di una vicina centrale nucleare. Il quartiere Vabaun si è contraddistinto per il riutilizzo degli edifici e degli spazi, dando forma ad un’esperienza urbana vicina alle esigenze dei giovani: efficienza energetica, economicità, aree verdi, mezzi pubblici (qui il 40% delle famiglie non possiede un’automobile).

Anche a Stoccolma, Green Capital nel 2010, si è deciso di sfruttare lo spazio dei cortili interni dei condomini per creare delle aree verdi a disposizione di tutta la cittadinanza e si è incentivato fino al 60% l’utilizzo di bici e trasporto pubblico.

L’Italia, nel suo piccolo, non si è tirata indietro: ad esempio la politica della detrazione fiscale del 55% su investimenti di efficienza energetica (2010) ha funzionato bene, con ben 600.000 interventi e 11 miliardi di investimenti. La Francia di Sarkozy ha avviato un piano nazionale di costruzione di eco quartieri.

La Svizzera ha invece un suo percorso interessante, che parte dal basso, seppur favorito dal governo federale, in cui ogni città decide le sue modalità di riduzione del consumo di energia, ma a parità di benessere. Una soluzione analoga a quella compiuta dalla Commissione Europea attraverso il patto con i sindaci.

Promuovere stili di vita sostenibili vuol dire anche favorire la socialità e le relazioni interpersonali. Diversi studi di psicologia del paesaggio hanno dimostrato come i livelli di traffico di un’area incidono sulla qualità delle relazioni sociali possibili in essa. Per questo è necessario pensare anche a modelli innovativi di mobilità sul territorio, che rendano gli spostamenti più agevoli e veloci, oltre che efficienti. Tutto ciò può essere favorito limitando la dispersione edilizia e il consumo di suolo, andando verso lo sviluppo di centri abitati densi e ben collegati tra loro attraverso una fitta rete di macro e micro mobilità (ovvero da un lato treni e metropolitane, dall’altro biciclette e mezzi elettrici da poter utilizzare ad uso individuale per poter coprire il cosiddetto ultimo miglio).

Insomma, c’è una nuova eco densità da costruire. Abbiamo bisogno di centri urbani densi, che favoriscano la socialità e i rapporti di vicinato, in mancanza di quelle che erano fino a cinquant’anni fa le relazioni familiari e parentali. La politica deve abbracciare questi nuovi punti di vista e guidare il cambiamento, in maniera oculata e lungimirante.

“La conversione ecologica – conclude Poggio citando l’ambientalista Alex Langer – potrà affermarsi solo se apparirà socialmente desiderabile”. Conversione, al contrario di rivoluzione, rende perfettamente l’idea di una svolta che si compie nelle nostre scelte e i nostri comportamenti individuali e quotidiani, affermandosi gradualmente e non imponendosi. La desiderabilità di questo fenomeno è elemento ancor più di interesse. È il desiderio che muove il mondo, non la paura. La crisi ci fa arretrare e arroccare impauriti sulle nostre certezze. È invece dal desiderio di ottenere qualcosa di migliore che può scaturire il cambiamento.

 A cura di G. Guglielmi