L’intervento della professoressa Mapelli si situa all’interno di un ciclo di conferenze, promosse in collaborazione con l’ICS (Istituto per la Cooperazione allo Sviluppo), che hanno lo scopo di porre l’accento sul valore della diversità e sull’importanza dell’incontro con l’altro nella costruzione dell’identità. In particolare, la relatrice si è soffermata sul tema delle differenze di genere (uomo-donna) e di generazioni (giovani-adulti), sottolineandone l’importanza nel contesto educativo e formativo. È opportuno evidenziare che la modalità attraverso cui la relatrice ha scelto di presentare il suo intervento è strettamente intrecciata alle tematiche da lei affrontate. Il legame tra il contenuto della relazione (generi, generazioni e contesto educativo) e il contenitore (raccontare storie di vita autobiografiche) diventa inscindibile nell’intervento di Barbara Mapelli, che ha scelto di presentare i  temi della relazione proprio attingendo alle sue esperienze personali di vita. Solo attraverso il racconto autobiografico, inteso come testimonianza della ricchezza e della unicità del singolo, ci si può aprire ad una comprensione dell’alterità realmente autentica.

 

La riflessione della Mapelli si è articolata in due  momenti principali:

·        Il ruolo del femminismo e delle femministe, dagli anni ’70 ad oggi, nel rapporto tra nuove e vecchie generazioni (femminili e maschili)

·        Le ?nuove? virtù pedagogiche

 

Barbara Mapelli esordisce utilizzando un’efficace metafora[1]: quella dell’aula universitaria. Quando entriamo in un aula e osserviamo allievi e docenti non teniamo conto del sesso di appartenenza dell’insegnante o di quella degli allievi, non teniamo conto dell’età delle persone, delle relazioni tra generazioni. Ciò che emerge è unicamente il rapporto gerarchico tra docente e discente: in questa relazione non c’è posto per l’aspetto personale, autobiografico. La produzione di sapere diventa neutra, si svincola da chi ha fatto nascere questo stesso sapere. Per Mapelli è invece importante sottolineare che queste persone  hanno un’età e un sesso, e che questi aspetti sono inscindibili dal sapere prodotto: solo in quest’ottica è possibile ridare un senso alle relazioni educative e sociali. Per comprendere meglio questi aspetti è quindi opportuno cercare di capire come si sono evolute le relazioni tra i generi negli ultimi anni e che influenza hanno avuto sulle generazioni passate e presenti.

 

Il femminismo tra nuove e vecchie generazioni

 

Le posizioni teoriche prospettate dalla relatrice sono maturate in seno al femminismo degli anni ’70, frequentando i gruppi di autocoscienza. Questi gruppi avevano lo scopo di far emergere, dalle narrazioni delle donne, le trame di una ?evidenza invisibile? del rapporto fra uomini e donne, cioè cercare di rendere consapevoli, di raccontare, quelle differenze invisibili, date per scontate e quindi non discutibili e non discusse. 

Il merito, secondo la Mapelli, che le femministe storiche hanno avuto è stato proprio quello di aver dato forma agli attuali mutamenti di identità e relazioni tra i sessi e le generazioni. Il raccontarsi in gruppi, non solo permetteva un recupero della propria identità di donna tra le donne, ma legittimava un percorso di apertura a dimensioni più collettive, sociali. Motto emblematico di quegli anni era: ?Il personale è politico?.

Polemicamente, la Mapelli sostiene che l’eredità storica del femminismo non è stata raccolta dalle giovani donne di oggi, le quali vivono la parità tra i sessi come se fosse qualcosa di scontato, vissuto a pelle. E’ la prima volta che si verifica una differenza così netta tra generazioni di donne (si può forse intendere come rifiuto delle origini?). Le giovani ?nuove? donne si trovano a vivere il proprio essere e divenire donna in situazioni molto differenti da quelle stesse donne degli anni ’70. Ciò che manca è un riconoscimento, che in effetti non è finora avvenuto. 

Almeno in parte, si scoprono depositari della visione mondana delle femministe passate i giovani trentenni maschi, i ?nuovi? uomini. La rottura con il principio normativo della virilità, che aveva dato regole a ciò che doveva essere uomo e ciò che doveva essere donna, consente nuovi spazi di libertà e nuove modalità espressive (per esempio, il desiderio di paternità o la ricerca di nuovi spazi professionali). Sono pochi per il momento, almeno nel nostro paese, ma si stanno rendendo lentamente visibili. Essi si riconoscono e rendono centrale, nella loro riflessione, la necessità del continuo riferirsi all’esperienza personale, alla propria parzialità di genere e soggetto maschile. Evidentemente, i percorsi delle donne del femminismo hanno creato alcune necessità anche per una parte del genere maschile. Si rompe così il principio di un pensiero universale, che ha voluto identificarsi con il maschile, per fare spazio ad una presa di consapevolezza che questo principio è solo uno dei possibili modi di essere e leggere il mondo.

 

Nuove virtù pedagogiche

 

Il senso delle nuove relazioni tra i sessi e le generazioni rende necessarie anche nuove qualità relazionali, soprattutto nei contesti educativi. Queste rinnovate qualità dell’educare, Barbara Mapelli le chiama virtù, proprio perché non fanno parte unicamente dell’ambito educativo ma rappresentano modi di essere, in cui ciascuno e ciascuna possa riconoscersi come soggetto, con la coscienza della propria appartenenza ad un genere, con una propria storia, testimonianza della propria unicità, ma allo stesso tempo collocata all’interno di storie collettive, che testimoniano invece il mutamento. Attraverso questa consapevolezza, che diviene necessariamente fedeltà alla propria esperienza, si può sviluppare una nuova intenzionalità educativa che può fare da sfondo al discorso sulle virtù.

Coraggio e umiltà. E’ la prima condizione essenziale per lo sviluppo di tutte le altre virtù. Il coraggio (inteso in senso arendtiano[2]) è quello di esporsi  per quello che si è nella scena del mondo E’ la forza di presentarsi nella parzialità del proprio essere. E’ qui che entra in gioco l’umiltà: bisogna riconoscere e dirsi che, poiché si è una delle possibilità di essere (donna o uomo), si è limitati nella propria esperienza. Il coraggio di essere umili può aiutare a prendere posto nel mondo, disposti e disposte ad accogliere altre parzialità, ad aiutarle nella loro ricerca, pur se differente dalla nostra. 

Ironia. Ci consente con molta leggerezza  di muoverci tra le differenze, di accettare e sottolineare le distanze, proponendo possibili terreni di incontro.

Cura[3].  E’ da sempre cultura e pratica femminile. E’ una virtù di attenzione e di ascolto che permette il dirsi delle differenze. Può essere condivisa con gli uomini e certi lo desiderano, nonostante  il mondo della cura  sia ancora di predominio femminile.

Pietà.  E’ la virtù che consente di entrare in comunicazione con tutte le forme attraverso le quali si manifesta l’alterità dell’essere. Per definire questa virtù la Mapelli si rifà al pensiero della filosofa Maria Zambrano[4], in particolare quando ella sottolinea che pietà è saper trattare con il diverso, con quello che è radicalmente altro da noi. Il sentimento della pietà supera una serie di concezioni. E’ più della tolleranza, supera il senso di negoziazione e contrattazione, non è solo giustizia. E’ per definizione il sentimento dell’alterità, che ci aiuta, forse, a riconoscere il territorio immenso dell’interiorità. 

 

Ragionare su questi nuovi modi di intendere le relazioni tra i generi e le generazioni, propone anche riflessioni su una necessaria responsabilità per chi educa: la ricerca e lo scambio dei valori. Le virtù ci aiutano in questo percorso di comprensione delle differenze poiché se noi stessi apprendiamo a viverci nella nostra parzialità, saremo in grado di sospendere i giudizi. Il valore dei giudizi morali non sta tanto nella loro astrazione o universalità, quanto nell’attenzione alle particolarità e alle concretezze, tra loro diversificate, che nascono da vite differenti.

Il discorso sulle virtù pedagogiche porta alla riflessione sulla necessità di costruire un’etica della parzialità, un’etica che sia rigorosamente rispettosa delle differenze, e che non si collochi troppo ?sopra?, nelle vette di una neutralità impossibile o di un universalismo soltanto apparente.       

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