Per esaminare il tema proposto si ritiene doveroso procedere attraverso un’analisi che consenta di focalizzare l’attenzione preliminarmente sulla storia delle teorie filosofiche che hanno determinato, a partire dalla fine del secolo scorso, lo sfondo su cui si è sviluppata l’attuale riflessione morale, per poi delineare le caratteristiche fondamentali dell’etica contemporanea e le modalità con cui interagisce con le altre discipline culturali.

Ciò detto, la prima considerazione che merita di essere richiamata concerne la crisi delle certezze delle élite europee collocabile temporalmente tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento: una situazione che ha indotto ogni ambito della cultura (dalla filosofia, alla letteratura, alla scienza) a riflettere sui fattori a cui attribuire la responsabilità del crollo delle certezze su cui gli uomini avevano fatto affidamento fino a quel momento. Particolarmente significative di tale status sono le opere aforistiche e poetiche con cui all’inizio del Novecento Friedrich Nietzsche individua la causa della crisi delle certezze nella fine del sistema di valori capaci di orientare la vita di ciascun uomo: sistema che aveva caratterizzato fino a quel momento la civiltà europea.

La reazione è stata diversa secondo il grado di democratizzazione e modernizzazione delle società; in questo senso lo spartiacque fondamentale corre fra il mondo anglosassone e il mondo continentale le cui peculiarità possono essere così sintetizzate:

 

·        nel mondo continentale la crisi dei valori è sfociata in una sostanziale eclisse del pensiero morale, essenzialmente assorbito da ideologie di tipo totalizzante fino a cadere in alcuni casi nel mito rivoluzionario (evidente per esempio nella volontà di Sartre di aderire allo stalinismo).

·        nelle società democratiche del mondo anglosassone la nascita della consapevolezza delle due differenti funzioni svolte dalla filosofia morale ? l’una di «filosofia morale» nel senso di proposta di una morale, l’altra di «filosofia della morale» nel senso di riflessione sulla morale ? ha costituito il presupposto della distinzione fra etica e metaetica (analisi del discorso etico). Per una ragione intrinseca allo sviluppo della riflessione morale tale differenziazione è stata intesa come strettamente riconducibile alla distinzione esistente fra linguaggio e metalinguaggio.

 

È inoltre importante rilevare come, a fronte della crisi di valori a cui si è fatto cenno, la filosofia novecentesca abbia compiuto una radicale svolta consistente nella sostituzione della storica tendenza a enunciare verità e valori assoluti con una visione elastica e tollerante del vero, fondata sullo sforzo di liberare l’uomo dai suoi più radicali e tradizionali pregiudizi per aprirsi al dialogo e alla comunicazione tra differenti settori della cultura, consapevole dell’estrema complessità del reale che solo la paziente e specialistica ricerca analitica delle scienze particolari può indagare con successo.

Sulla scia della grande svolta della filosofia novecentesca, anche la riflessione morale europea, sia in campo etico che in quello metaetico, si apre al rapporto con gli altri ambiti culturali e si concentra sull’analisi del linguaggio seppur per ragioni differenti:

 

·        nell’un caso, vi era la fiducia nei risultati oggettivi della scienza;

·        nell’altro, la totale confusione determina la necessità di una «ritirata» nel linguaggio per trovare un campo neutro che fissi dei paletti per poi ritornare al discorso sostanziale.

Entrando nel vivo del discorso, è opportuno porre l’accento sul fatto che dall’esame dei tratti salienti delle tre teorie metaetiche che si sono susseguite fino agli anni Sessanta ? l’intuizionismo, l’emotivismo e il prescrizionismo, è possibile ricavare il senso dell’evoluzione degli approcci filosofico-culturali che hanno condotto alle diverse modalità di influenza dell’etica nella vita associata.

Famoso esponente della prima forma di metaetica, l’intuizionismo, fu George Edward Moore, filosofo britannico di stampo cognitivista (ossia convinto dell’esistenza di una conoscenza morale), per il quale la funzione essenziale dell’etica era quella di chiarire la nozione di «buono» inteso come una qualità non naturale intuitivamente coglibile.

Con la sua open question diceva che qualsiasi definizione di bene fosse destinata a cadere in una fallacia naturalistica cioè descrittivistica perché qualsiasi domanda concernente il bene (es: il bene è piacere?) era reiterabile (ma tutto ciò è vero?) e partendo dal presupposto che la domanda avesse senso, giungeva alla conclusione che ogni definizione (di bene) fosse errata.

Poiché l’intuizionismo si presentava privo di criteri che suffragassero le proprie tesi, si è cominciato a formulare secondo altri approcci metodologici i problemi etici, cercando di capire sia se un impegno di tal tipo potesse condurre a un utile risultato, sia se fosse suscettibile di valide argomentazioni.

Procedendo in tal senso nel 1936 A. J. Ayer  nel libro «Linguaggio, verità e logica» ha introdotto i temi fondamentali della teoria emotivista, fra i quali riveste particolare importanza il principio di verificazione secondo cui si può attribuire significato soltanto a ciò che può essere ricondotto ad una verifica empirica, escludendo dal dominio del sensato l’etica e le emozioni perché il loro riscontro concreto è di fatto impossibile.

Nel secondo dopoguerra al principio di verificazione subentrava la teoria dei «giochi linguistici» fondata sul convincimento che ogni linguaggio si fondasse su convenzioni che trovavano giustificazione nell’uso e a sostengo della quale si avanzava l’esempio che equiparava i vari giochi ? quali gli scacchi, le carte, ecc. ? ai giochi linguistici: come nessuno dei giochi comunemente conosciuti si poteva definire come il gioco ideale, ma tutti trovavano giustificazione nelle loro regole d’uso, parimenti accadeva con i giochi linguistici, nessuno dei quali più vero di un altro ma tutti variamente accordati con le esigenze della vita. Dunque per comprendere quale fosse il senso del discorso etico e fornire valide argomentazioni logiche, si riteneva necessario procedere ad un’analisi descrittiva delle regole e degli usi comunemente diretti ad orientare il comportamento umano.

Gli anni Cinquanta e Sessanta vedono nascere la corrente della metaetica prescrittivistica che si fondava sulla convinzione dell’impossibilità di concepire una conoscenza di fatti morali a causa della loro effettiva inesistenza, ma si potesse in ogni caso raggiungere un’oggettività etica tenendo conto della sua funzione di direzione dell’agire umano; ne consegue quindi la grande divisione fra funzione descrittiva e prescrittiva del linguaggio e la possibilità di concentrare la riflessione sulla logica dell’imperativo.

Tale orientamento è infatti presente nelle teorie di uno dei maggiori esponenti della metaetica prescrittivistica, Richard Hare il quale partiva dal presupposto che l’etica fosse la logica del linguaggio morale ? per sua natura prescrittivo ? e ammetteva la possibilità di elaborare una riflessione etica dotata di argomentazioni riconducibili ad una logica degli imperativi universalizzabili essenzialmente carica di un significato pratico.

 

Negli anni Settanta il panorama cambia repentinamente; infatti si assiste all’irruzione dei problemi normativi che hanno determinato la nascita dell’etica normativa nel cui ambito distinguiamo fra etiche deontologiche e etiche consequenzialiste: le prime insistono su vincoli preliminari all’azione dell’uomo, le seconde, invece, considerano rilevante ai fini dell’elaborazione di un giudizio di moralità le conseguenze di tale azione.

Le posizioni differenti hanno da sempre comportato discordanze di opinioni in ordine all’applicazione pratica dei propri orientamenti, in particolare i deontologi hanno accusato gli utilitaristi di mostruosità morali a causa della tendenza ad insistere sull’importanza di essere persone separate, ossia ciascuno con la propria autonomia, e in nome di questo essere pronti a sacrificare il volere di una minoranza se sussista la possibilità di trarre da tale sacrificio un forte vantaggio per la maggioranza della società.

A fronte dei notevoli disaccordi sul piano pratico, si rileva come le teorie delle due «divisioni» dell’etica normativa siano comunque accomunate dall’elaborazione di costruzioni ambiziose, raffinate ad altissimi livelli di astrazione, fra le quali si possono prendere ad esempio i modelli di comunità ideale di Harsany, la cui caratteristica fondamentale è la capacità di superare i disaccordi e giungere quindi alla formulazione di norme morali oggettive e universali, attraverso una costante e proficua comunicazione fra i cittadini e le istituzioni.

Decisamente più attinente alla realtà concreta, è l’orientamento di pensiero dell’etica delle virtù di tipo neo-aristotelico elaborata attorno alla problematica della «vita buona» fondata sulle virtù di cui un importante esponente è il filosofo scozzese MacIntyre il quale nelle sue opere riconduce l’incapacità degli uomini contemporanei di compiere consapevolmente un ragionamento morale allo smarrimento del senso di un’effettiva moralità pratica che ritiene possa maturare all’interno delle attività che si tramandano di generazione in generazione e fanno nascere il gusto di virtù ? attività che tuttavia la modernità ha distrutto.

Infine, occorre far riferimento alle etiche pratiche, quali la bioetica, l’etica degli affari, l’etica dell’ambiente che consistono nello studio dei problemi morali legati a un particolare ambito della realtà concreta, considerata un elemento di estrema rilevanza perché verifica la reale validità delle teorie etiche e quando i risultati di tale riscontro non sono soddisfacenti conduce alle modifiche necessarie a un’effettiva applicazione pratica della riflessione.

 

Di fronte ai risultati dell’etica razionale, della bioetica dei comitati di bioetica molti si domandano se rappresentino il trionfo dell’etica razionale o un insieme di pianificazioni e tecnicizzazioni in una società burocratizzata, tenendo presente che i problemi morali intanto diventano cruciali presso ciascuno di noi in quanto non esistono degli algoritmi che li risolvano ma è l’interessato che deve trovare la soluzione idonea a risolvere il proprio problema.

A tal proposito, occorre rilevare la tendenza di molti a non credere nell’esistenza di decisori morali preformati; al contrario ritengono che decisori e decisione siano contestuali e nel cuore di tale contestualità, che pur facendo parte di noi non siamo in grado di determinare arbitrariamente cosa sia, si possa intravedere il senso della vita.

 

 




 

 

PRINCIPALI APPROFONDIMENTI DEL DIBATTITO

 

 

v     Si domanda se gli apporti di natura etica di cui ha beneficiato l’uomo lo abbiano reso più buono o soltanto consapevole circa la complessità della riflessione morale (prof.ssa S. Serra).

v     Si osserva come i filosofi si siano perduti in analisi astratte per cercare di capire in che cosa consista l’eticità, come si articoli e come si sviluppi l’etica, ma non hanno considerato forse adeguatamente  che non si può parlare di etica se non si rivolge l’attenzione prioritariamente al singolo individuo che sceglie un preciso e particolare comportamento, analizzando pertanto la natura morale di quel comportamento in relazione al vissuto dell’individuo agente  (prof. G. Piana).

v     Si osserva come alcuni metri di misura per orientare il comportamento umano si possano trovare riflettendo sul contenuto del primo dei Dieci comandamenti: «Amerai il Signore Dio tuo e il prossimo tuo come te stesso». Tale affermazione è significativa della considerazione per cui la regola che vale nei confronti di sé stesso è sufficiente per stabilire la regola di comportamento anche nei confronti degli altri. Indubbiamente, se fosse così semplice non avremmo visto da qualche millennio prima di Cristo a oggi tutte le perversioni umane; però è importante sottolineare che esistono gli strumenti per trovare il modo di definire e praticare concretamente il proprio comportamento in termini etici (dr. R. Lenti).

 

Ø               Il progresso compiuto dalla riflessione morale, fa si che l’uomo diventi sempre più capace di apprezzare certe sfumature morali, ma ciò  non significa che diventi (o sia diventato)  più buono.

Ø               I non-cognitivisti considerano fondamentali e interconnessi i valori della ragione e della libertà. Bergson parla della «scintilla di vita» facendo riferimento alla libertà che comporta «l’accendersi» di una possibilità morale. Quindi l’ontologia del valore sta proprio nella libertà di scelta dell’uomo, a meno che non si intendano i valori come delle entità divine.

Ø               Denominatore comune delle teorie etiche, anche negli aspetti più freddi propri dell’utilitarismo è la regola aurea che afferma: «Tratta il prossimo tuo come te stesso» e in questo senso si può ammettere che tali riflessioni sono ancora figlie di una concezione ebraico-cristiana. Molto importante, a tal proposito, è il pensiero di Emmanuel Lévinas, filosofo francesizzato ma di origine ebreo-lituana secondo cui l’elemento fondante dell’etica sia da ricercarsi nel volto dell’altro che comanda «Non uccidere» rimandando così a Dio, che per la religione ebraica non deve avere immagini ma che in qualche modo si presenta attraverso il rapporto diretto con il volto dell’altro e mette di fronte alla responsabilità del rispetto dell’esistenza. Il punto centrale del pensiero di Lévinas è proprio questa triangolazione in cui l’Altro rimanda all’Altro supremo che non si presenta in forme antropomorfizzate. Lévinas è contrario a tutti coloro che hanno fatto una lettura ontologica dell’«io sono colui che sono» riconducibile ad una lettura dell’essere di provenienza greca; non a caso scrive «Altrimenti essere» in cui rompe qualsiasi tentativo totalizzante di tutto ciò che è ontologico e sostiene che il rapporto tra persone non possa immaginarsi come una totalizzazione, in cui gli interlocutori siano considerati parti di un tutto, ma sia necessario che nel rapporto ciascun uomo sia confermato nella sua individualità.

 

 

v     Si ritiene che nella complessità dell’etica contemporanea trovi posto anche la riflessione sul rapporto tra etica individuale e etica di gruppo, perché oggi i gruppi si pongano sempre più sul piano dell’azione sociale come delle entità autonome. Si chiede dunque a chi risalga la responsabilità nel caso dell’etica di gruppo (pensando ad esempio al caso dei gruppi politici). Si domanda inoltre se l’etica sia una dimensione operante in tutti i settori del vivere e, se così è, i motivi per cui in alcuni settori (quali ad esempio quello politico) appaia così poco chiara. (dr.ssa Robotti)

v     Si chiede di fare un’analisi del mondo di oggi tenendo conto della considerazione, piuttosto diffusa, che la strategia economica sembri aver preso il posto di una filosofia.

v     Pare importante approfondire il rapporto fra etica individuale e etica dello Stato. Si domanda in proposito se sia vero che la moralità pubblica possa essere una conquista culturale che si sviluppa assieme uno sviluppo sociale elevato ovvero la moralità pubblica sia una caratteristica di una società avanzata (prof.ssa M. Caldirola)

 

Ø               La nascita dell’etica normativa ha coinciso con l’affermazione delle grandi filosofie di etica pubblica che ruotano attorno alla problematica concernente la ricerca dei criteri per compiere le scelte pubbliche collettive. È  importante sottolineare che tali filosofie ? già presenti nel secolo scorso (si pensi ad Adam Smith) ? sono esplose con John Rawls che si pone proprio il problema del rapporto fra etica e politica nel corso dell’elaborazione di un modello ideale di società, fortemente normativa, e giusta nel senso che sia in grado di soddisfare le esigenze morali.

Ø               L’etica di gruppo intesa come qualcosa che si impone a tutto il gruppo in maniera tradizionale, è presente nelle tesi forti dei comunitaristi ossia coloro che difendono l’idea che una società funzioni e abbia delle regole morali solo se il gruppo è coeso e non fondato sull’individualismo moderno. Si tratta dunque di posizioni che non hanno alcun corrispettivo nella situazione politica europea perché sfuggono alla grande distinzione «destra e sinistra» che è entrata a far parte del senso comune.

Ø               Nella società attuale si può riscontrare un rapporto di contaminazione reciproca tra le teorie economiche e quelle etiche che è possibile individuare, da un lato, nel fatto che le teorie economiche dirette allo studio dei metodi per ottimizzare il benessere economico abbiano contribuito allo sviluppo del pensiero morale delle scelte pubbliche, dall’altro, nella tendenza dell’economista a considerare la riflessione morale un punto d’appoggio per l’affinamento delle proprie visioni morali.

 

 

v     Si chiede se vi sia ancora bisogno oggi dell’apporto della metaetica. Si domanda inoltre se la metaetica debba cogliere lo spunto dato dal multiculturalismo e interrogarsi su un linguaggio etico metacontestuale (dr. A. Pirni).

v     Si osserva come i filosofi che, nelle loro trattazioni sull’evoluzione della riflessione morale, rischiano di eccedere nell’astrazione perché dimenticano la considerazione fondamentale per cui la consapevolezza di compiere delle scelte etiche nasce dai bisogni, per loro natura legati al mondo pratico, che vengono soddisfatti inseguendo un’eticità che è dentro di noi e impone già gli elementi di un corretto sviluppo psicologico. Si ritiene che l’etica debba ibridarsi con questa datità di ordine sociologico, psicologico e antropologico, ma non soltanto a livello umano: anche sul piano antropologico, tenendo presente che esistono tendenze diffusamente accolte che sono già dentro al costume (dr. M. Fornaro).

v     Si osserva che alle soglie del xxi sussista ancora una visione della coscienza etica molto debole che ruota attorno alla interiorizzazione delle norme sociali, e si aggiunge che l’etica dovrebbe invece tentare di allontanarsi dalla rigida forma del codice morale e avvicinarsi progressivamente in misura maggiore alla capacità di guardare al mondo senza chiusure ma con la volontà di creare delle relazioni forti con il contesto circostante. È necessario dare un senso a una vita che non ci appartiene perché non abbiamo scelto di nascere in un determinato momento, in cui non abbiamo certezze né sugli eventi passati né su quelli futuri e che alla luce di tutto ciò appare assolutamente casuale. Occorre peraltro rilevare che intanto si opera correttamente in tale direzione in quanto partendo dal presupposto che la nostra storia si sia sviluppata sulla base di tante altre storie si arrivi a guardare il mondo, non come un qualcosa da dominare, ma come qualcosa con cui davvero creiamo delle relazioni (dr.ssa L. Martinetti).

 

Ø               Si è convinti che il compito della metaetica non sia finito; essenzialmente la metaetica si articola in due fasi: l’una costruttiva, l’altra critica le quali pur essendo distinte sono fondamentalmente interconnesse. È utile sottolineare come fin dal passato la riflessione metaetica si sia soffermata sulla problematica dei diritti umani se si considera che John Rawls (grande teorico dell’etica normativa e forte sostenitore dei sistemi liberali) parla proprio in termini di diritti umani fondamentali senza preoccuparsi di dare una giustificazione metafisica. Si pensa tuttavia che sia possibile un’interpretazione problematica e non dogmatica delle antiche istanze fondamentaliste, individuabile nell’aspirazione a rendere sempre più duraturi i valori che noi condividiamo perché si ritiene naturale il desiderio che si diffonda ciò che per noi è un valore.

Ø               È condivisibile l’opinione secondo cui la fine del dogma della filosofia morale intesa come logica del linguaggio morale senza alcun aggancio con il mondo pratico, abbia aperto le porte all’ibridazione con le teorie scientifiche accogliendo l’apporto della psicologia, dell’antropologia, ecc.

Ø               Si ritiene fondata l’opinione secondo cui l’uomo possa attribuire un significato agli eventi dell’esistenza in quanto ponga i propri comportamenti in relazione al contesto in cui vive; in caso contrario, scardinando tale contesto, risulta estremamente difficile attribuire un qualsiasi significato alle nostre azioni che risulterebbero sostanzialmente casuali e incomprensibili.

 

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