Sintesi della relazione a cura del prof. paolo de sandre (Professore ordinario di Demografia all’Università di Padova, coordinatore del progetto di ricerca sulla fecondità in Italia condotto nell’ambito del progetto dell’UN-Economic Commission for Europe «Fertility and Family Survey», coordinatore della Commis-sione consultiva dell’ISTAT sugli aspetti sociali delle famiglie)

 

 

Un’annotazione preliminare merita di essere fatta: oltre alla oggettiva complessità dei dati da analizzare riguardo a un tema come la natalità/denatalità e oltre al rischio di cadere in facili «luoghi comuni», in particolare in Italia il reperimento delle informazioni di base è stato significativamente compromesso, dal 1997, a causa di un’interpretazione restrittiva delle Leggi Bassanini da parte dell’Autorità sulla privacy: inter-pretazione in base alle quale non è più consentito il trasferimento diretto dei certificati di assistenza al parto dalla struttura ospedaliera al Comune. Ciò ha comportato l’oggettiva difficoltà per i demografi di raccogliere dati sulle caratteristiche «sociali» di madri e padri, sulle loro età, sulla presenza o meno di fratelli dei nuovi nati, sulla quantità dei primogeniti per anno, sull’età media delle partorienti ecc.

Per altro verso, «è pur vero che l’istat ha promosso recentemente un’accurata indagine sulle famiglie ita-liane su base campionaria, ma resta molto alta la necessità di avere dati tratti da indagini di tipo retrospettivo, anche per valorizzare meglio l’intreccio delle variabili connesse alle vicende delle famiglie nel lungo periodo.

In effetti, le uniche due ricognizioni approfondite avvenute in Italia sui processi riproduttivi e sul loro con-trollo, condotte attraverso indagini campionarie rappresentative nazionali, sono state propiziate a metà 1979 dal progetto internazionale Wfs/World Fertility Survey e, a cavallo tra il 1995 e il 1996, dal progetto Ffs/Fertility and Family Surveys. I sedici anni trascorsi tra le due osservazioni sono certo lunghissimi e densi di avvenimenti, ma l’evoluzione dei processi si mostra lenta e complessa da decifrare, mentre le novità conoscitive provengono soprattutto dall’allargamento della base campionaria studiata e dal miglioramento nella ricostruzione delle bio-grafie personali e dei quesiti di opinione.

Sullo sfondo si stagliano fenomeni noti di grande portata, di cui qui richiamiamo qualche tratto peculiare. Nella seconda metà degli anni Settanta le nascite  accelerano la loro caduta, iniziata nel decennio precedente, con un crollo del 30% in sette anni a ridosso del 1981. La prima indagine cade nel bel mezzo di questo processo e coglie aspetti salienti del declino delle nascite;  ma le aspettative di fecondità rilevate, che pure prefigurano una dinamica sotto il livello di sostituzione, non sembrano orientate ad una prosecuzione della fecondità a bassissimi livelli. Invece si annida proprio qui la grande, e tuttora permanente,  contraddizione tra desiderio di figli (anche la seconda indagine, infatti, segnala aspettative plebiscitariamente quantificate intorno al livello di sostituzione delle generazioni) e pratica riproduttiva (molto al di sotto di tale livello).

La fecondità totale per anno si trascina infatti su livelli intorno a 1,2-1,3 e il numero medio di figli per le generazioni di donne a fecondità quasi ultimata si attesta su 1,5. Protagoniste di questi risultati sono certamente le coorti nate nel dopoguerra (1946-55) che sperimentano una riduzione della fecondità a tutte le età. Ma vi con-tribuiscono anche le generazioni del 1956-60, che ? potendo essere studiate per durate più lunghe dalla seconda indagine ? registrano il più netto abbassamento della fecondità a tutte le età.

Più in generale, si può affermare che a partire dall’inizio degli anni Trenta del xx secolo le donne italiane sono passate dall’avere un numero medio di 3 figli a testa a una quota appunto di 1,5 di questi ultimi anni e, nel complesso, si è registrata ? soprattutto dal 1974 ? una progressiva riduzione del 25-30% della popolazione tale per cui (secondo un’indagine delle Nazioni Unite) fra cinquant’anni gli italiani sono stimati essere (solo) 41 milioni.

Si noti, inoltre, che le ultime generazioni di donne italiane rappresentano uno spartiacque, nel senso che le coorti che vengono dopo di loro, mostrano vistosamente la nuova strategia in atto ? ora al centro delle analisi e delle congetture dei ricercatori ? :  rinvio della fecondità, con rialzo dei tassi in età dai venticinque anni d’età e soprattutto dai trenta ai quaranta (si veda il grafico nella pagina seguente).

Si tratta di un robusto cambiamento della struttura per età del fenomeno; interessa scrutare tutti gli indizi che possono far pensare o ad una modifica della struttura per età (e nel ciclo di vita) a parità di risultato ri-produttivo finale oppure a un rinvio che complichi le possibilità di recupero, facilitando quindi una ridu-zione anche del numero medio finale di figli.

 

Fig.1. Tassi specifici di fecondità per classi di età nelle generazioni 1946-75. Italia, Ffs/Fertility and Family Surveys (Un-Ece, 1992, per l’Italia: De Sandre et al., 1997)

 

 

Collegando  l’andamento della nuzialità e della fecondità, la descrizione della dinamica in atto appare grosso modo la seguente, almeno se ci si sofferma alla superficie dei fenomeni. Il modello di fecondità italiano, in progressivo calo nella seconda metà del Novecento, nella misura in cui resta prevalentemente ancorato al matri-monio, appare dagli anni Settanta subordinato al rinvio in età più matura dei matrimoni stessi; un recupero in età più avanzata dovrà fronteggiare non solo l’insorgere progressivo della sterilità femminile e di coppia, ma anche  molti fattori competitivi con le scelte sia di stabilità coniugale sia prolifiche. Questa dinamica può dunque essere compatibile con un desiderio di fecondità che sopravanza le concrete realizzazioni, in qualche modo dovendosi i primi rassegnare ad esse.

Tuttavia, l’intreccio matrimoni-nascite va esso stesso studiato più a fondo, perché proprio negli ultimi tre-quattro decenni del Novecento sono emersi cambiamenti di natura sia dei patti matrimoniali sia dello ?statuto? del figlio (considerato al momento del concepimento e dopo la nascita), con importanti riflessi economici, cultu-rali, normativi. Tali cambiamenti di natura si sono via via manifestati all’interno di una riconsiderazione:

 

(a)             del ruolo di ciascun attore nel processo coniugale e riproduttivo (come uomo e donna, marito e moglie, padre e madre, figlio come frutto di un’unione di coppia e per la sua distinta identità di ruolo);

(b)             di ciascuna area di comportamenti in cui il processo si articola (espressioni sessuali; comportamenti contraccettivi, abortivi, prolifici; rapporti di genere; patti di coppia; relazioni intergenerazionali e di parentela/affinità).

 

Nei Paesi occidentali non mediterranei, la caduta delle nascite degli anni Sessanta  ha messo in evidenza una gestione sempre più autonoma, rispetto alle nascite, dei comportamenti sessuali, con ampio ricorso a contrac-cezione e aborto indotto, entro le unioni coniugali e fuori da esse. Ma la segmentazione del processo riproduttivo non si è fermata qui; ha anche investito in modo sostanziale sia le unioni coniugali sia la stessa rappresentazione culturale del figlio. Così il patto matrimoniale è diventato ampiamente reversibile (con proporzioni di sciogli-menti dei matrimoni anche dell’ordine del 50%) e le forme di unione si sono moltiplicate (diffusione di unioni consensuali, sia prima di un matrimonio sia in luogo di un matrimonio, e di unioni ricostituite dopo una prece-dente esperienza coniugale di almeno uno dei partners). Inoltre, la relativa autonomia nella gestione delle espe-rienze sessuali, da un lato, e delle forme coniugali, da un altro, ha generato combinazioni nuove di unioni più o meno stabili, sia tra giovani che tra persone mature, di scarsa visibilità sociale, potendo mancare il connotato tradizionale fondamentale della convivenza sotto lo stesso tetto.

Il cambiamento di statuto del figlio è certamente alla base del massiccio ricorso all’aborto indotto (diffuso anche in Italia), che, nella maggior parte dei casi, subordina e relativizza il concepimento e il soggetto concepito all’accettazione da parte della coppia o della madre. Questo cambiamento è altresì sotteso al fenomeno delle nascite naturali, spesso legate a unioni consensuali, e al coinvolgimento dei figli anche piccoli nelle ricostituzioni familiari dopo un precedente divorzio: in entrambi i casi si ritiene compatibile il rispetto del figlio con la sua subalternità ai variabili progetti di vita del genitore o dei genitori.

Questa progressiva profonda segmentazione delle dinamiche sessuali, coniugali, riproduttive, che sembra propagarsi dai paesi scandinavi all’Europa occidentale e centrale, e infine meridionale, non si diffonde in modo rapido e  uniforme, e sembra addirittura scontrarsi con peculiarità locali molto forti, specie nei paesi mediterranei (ma anche in altri paesi dell’ex orbita sovietica).

Accanto a modelli tipici di una nuova transizione demografica, in cui nuovi percorsi individuali prevalgono sulle regole istituzionali esistenti, sembrano emergere modelli diversi, frutto sì di una progressiva autonomia delle componenti del processo sessuale, coniugale, riproduttivo, ma in cui le combinazioni risultanti risentono singolarmente di costumi e culture locali. Da notare, poi, che il riferimento locale assume nel nostro Paese rilevanza particolarmente profonda, non essendo possibile trascurare sistematiche distinzioni almeno, in termini di comodo ma sintomatici, tra il Meridione e il resto del Paese. In particolare, i diversi e assai squilibrati livelli di partenza delle differenze di genere (dall’istruzione all’occupazione ai ruoli coniugali, genitoriali, filiali); la diver-sa importanza economica e sociale del sistema familiare e dei legami tra le generazioni di genitori-figli; la diver-sa interiorizzazione di valori e norme culturali e religiose; le pratiche sessuali e di controllo dei concepimenti e delle nascite: questi fattori e altre radicate componenti della vita delle persone possono interagire in modo spe-cifico con la crisi dei modelli coniugali-riproduttivi tradizionali, ricomponendone di tipici».

Merita comunque di essere sottolineato come nel modello mediterraneo (e italiano in particolare) permanga una centralità della vicenda matrimoniale e, a fronte di un significativo controllo delle nascite rispetto al passato, vi sia un mantenimento sostanziale delle unioni legali e del ruolo della famiglia parentale (sovente, vera e propria famiglia «ceppo») che, seppure rinegoziata internamente, perdura senza che i singoli riescano (o vogliano) reinventare compiutamente un modello di famiglia coniugale sostitutivo. E, in questo senso, si può spiegare ad esempio una delle principali cause del fenomeno, soprattutto «italiano», della perma-nenza prolungata dei figli adulti in famiglia: un fenomeno che, peraltro, è strettamente  in rapporto anche con le possibilità di occupazione lavorativa, sebbene paradossalmente si verifichi che è proprio nel Nord-Est del nostro Paese (dove maggiori sono al momento le opportunità di inserimento professionale per i giovani) che i giovani ? per quanto già stabilmente occupati ? preferiscono stare più in casa presso la famiglia di ori-gine.

Per quanto riguarda, a questo proposito, una panoramica sulle cifre, si tenga presente che le coppie con due o più figli (in riferimento alla generazione degli anni Cinquanta) sono mediamente il 55% nel Centro-Nord mentre ben l’83% nel Sud dell’Italia. Si sta peraltro assistendo ultimamente a un parziale processo di «conver-genza» tale per cui al Sud stanno diminuendo i terzogeniti, mentre al Nord vi è un recupero della distanza in anni tra la nascita dei secondogeniti e quella dei primogeniti, a fronte di nascite di terzi figli generati tenden-zialmente più da coppie con un livello di istruzione medio-alto (le cui professioni prevalenti sono quelle del-l’insegnamento e dell’impiego pubblico).

Infine, merita di essere sottolineato il fatto che, se è vero che la tendenziale permanenza dei giovani adulti «mediterranei» in famiglia, di cui prima si è detto, finisce per rallentare la molteplicità delle forme familiari (oltre che la fecondità), permanenze più brevi in famiglia si verificano al contrario nei Paesi o dove la tran-sizione della fecondità è più «antica» (si pensi alla Francia o al Regno Unito), o dove vi è una maggiore cultura valoriale della responsabilità individuale (si pensi in generale ai Paesi protestanti), o infine dove vigono sistemi di welfare significativi poggiati sulla dimensione collettiva e su sistemi politici «forti» e non delegati, per il loro mantenimento, prevalentemente alla famiglia (quest’ultima, invece, tipica situazione italiana).

 

 




 

PRINCIPALI APPROFONDIMENTI DEL DIBATTITO

 

 

Il dibattito si è articolato su diversi punti tra i quali possono essere richiamati in particolare i seguenti: a) la presenza di un graduale processo di assimilazione dei comportamenti procreativi occidentali da parte delle cop-pie di immigrati extracomunitari nei nostri Paesi; b) la differenza culturale dell’Italia con la Francia almeno per quanto riguarda l’orientamento matrimoniale e riproduttivo e la distanza tra i comportamenti sessuali dei catto-lici italiani e le indicazioni di morale sessuale della Chiesa cattolica; c) la stretta relazione tra la rivendicazio-ne della centralità dei figli nelle coppie occidentali (disposte per questo a ritardarne la nascita o, addirittura, a impedirla) e quella della donna, impegnata in un complesso percorso di «rimessa a fuoco» della propria auto-realizzazione.

                                                                                                                                                   

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