Nel corso dell’ultimo incontro dedicato al tema della riforma della Pubblica Amministrazione è stata esaminata la figura del city manager ed è stato illustrato il caso di Bologna, città in cui l’amministrazione comunale si serve, ormai da anni, di profili professionali nuovi.

Il relatore, dopo aver premesso di aver avuto un’esperienza quasi decennale nel settore privato (dove ha lavorato per il gruppo Zanussi, nell’ambito del quale si occupava di componentistica), ha illustrato ciò che è stato fatto (e che ancora si sta facendo) nel Comune di Bologna, all’interno del quale ricopre il ruolo di direttore operativo.

Va detto, prima di tutto, che Bologna conta 390.000 abitanti e si presenta come una città ricca e dotta, politicamente caratterizzata da una forte componente di sinistra (comunista prima e pidiessina, anticipatrice dell’Ulivo, poi) e da una particolare stabilità amministrativa, dal momento che dal dopoguerra ad oggi non ha cambiato più di cinque sindaci (con una durata media di circa dieci anni per ogni sindaco in carica).

Merita di essere ricordato, inoltre, che Bologna, rispetto alle altre realtà metropolitane, offre circa il 50% in più di attività comunali, sotto forma di servizi, amministrati mediante gestione propria in economia o gestione propria attraverso l’acquisto. Nella parte che segue verranno illustrate, rispettivamente, la dimensione del Comune, inteso come realtà imprenditoriale e la storia del cambiamento organizzativo che è stato attuato.

 

 

ALCUNI DATI RELATIVI AL COMUNE COME IMPRESA

 

Il Comune di Bologna possiede una struttura di gruppo di impresa (comprendente numerose attività gestite in economia), nell’ambito della quale lo stesso Comune ricopre il ruolo di capogruppo, che controlla diverse imprese, ormai quasi tutte trasformate in Società per Azioni (fatta eccezione per l’ATC, ossia l’azienda trasporti), tra le quali spiccano la SEABO (che gestisce l’acqua, l’energia, il gas ed i rifiuti) e l’azienda farmaceutica S.p.A. (che gestisce 25 farmacie ed un magazzino per la distribuzione automatica dei farmaci alle farmacie).

Occorre rilevare, inoltre, che il Comune, non solo detiene il 66% dell’ATC ed il 73% della SEABO, ma, insieme alle imprese controllate (nelle quali possiede una partecipazione di maggioranza), ha chiuso l’esercizio 1997 con un fatturato di 1.800 miliardi, un utile di 17 miliardi e 280 miliardi di investimenti. Se si considera che le attività gestite in economia costituiscono circa la metà del totale, si pùò dedurre che il Comune di Bologna rappresenta, non solo la più grande impresa dell’Emilia-Romagna, ma anche una vera e propria impresa produttiva, poiché controlla molteplici attività produttive, con il vantaggio di avere un rapporto diretto con il cittadino-cliente.

Per quanto riguarda lo stato patrimoniale di questa particolare realtà imprenditoriale, va detto che essa possiede un capitale netto stimato intorno ai 2.400 miliardi: anche questo dato, insieme a quelli sopra presentati, contribuisce a rendere l’idea della complessità di questa struttura produttiva che, per essere gestita, necessita di un adeguato sistema di management.

A questo proposito, a Bologna, sono stati creati due livelli di top-management: 1) la direzione generale, nell’ambito della quale un direttore generale (a cui rispondono, ad esempio, la ragioneria, la segreteria generale, l’ufficio legale ed il controllo qualità) si occupa di funzioni tipicamente istituzionali; 2) il direttore operativo, a cui rispondono alcune funzioni operative e tutte le divisioni (ossia le aree strategiche) e che risponde, a sua volta, al direttore generale. Da quanto detto, quindi, si può dedurre che il direttore generale sta all’amministratore delegato come il direttore operativo sta al direttore generale.

Occorre ricordare, peraltro, che, non solo sotto la struttura di holding ora descritta si collocano le società controllate, ma anche l’esistenza di una terza figura importante, ossia il segretario generale, che si pone in rapporto diretto con il sindaco e con la Giunta.

Il sistema sopra descritto, quindi, assume la forma di una struttura divisionale, nell’ambito della quale il controllo viene gestito dalla direzione generale.

 

 

CENNI SULLA STORIA DEL CAMBIAMENTO ORGANIZZATIVO

 

E’ stato evidenziato il fatto che la storia si concretizzi grazie all’operato degli uomini: la legge n. 142 del 1990, ad esempio, ha provocato un lungo travaglio che ha generato una serie di atti, quali la creazione di uno Statuto e di un apposito regolamento che disciplini i ruoli del direttore generale e di quello operativo.

Merita di essere ricordato che, in seguito al fenomeno ?tangentopoli?, tutte le formazioni politiche iniziano ad introdurre, all’interno dei programmi elettorali, la figura del city manager, che viene trattata anche nell’ambito della legge Bassanini. Tuttavia parrebbe opportuno sottolineare come non spetti ad una legge dello Stato definire questo tipo di innovazione e come sembrerebbe inutile inserire questa problematica nei programmi elettorali, dal momento che i cittadini non si interessano di come venga strutturata l’amministrazione comunale, ma piuttosto si preoccupano di ricevere servizi di qualità e risposte alle proprie domande sociali. Anche la stampa, peraltro, non rappresenta un adeguato strumento di comunicazione per il manager che, al contrario, deve comunicare con i cittadini.

Va detto, quindi, che l’esigenza di introdurre questa nuova figura deriva dalla percezione di un problema, che si desidera affrontare assumendo il rischio che un tale processo di delega inevitabilmente comporta: a quanto detto, tuttavia, occorre aggiungere che, per conseguire risultati positivi, si rende necessaria una stretta collaborazione tra le persone che ricoprono i diversi ruoli.

Per quanto riguarda i passaggi propriamente organizzativi seguiti dal Comune di Bologna, parrebbe utile ricordare che la complessità della situazione ha reso indispensabile l’attuazione di scelte: per questo motivo, nel corso dei primi anni (ossia a partire dal 1991), è stato adottato un approccio di tipo ?rivoluzionario?, basato sulla riduzione dei costi (e, di conseguenza, del personale), nel tentativo di risollevare una situazione divenuta inaccettabile.

In seguito è stata realizzata una fase di reingegnerizzazione, durante la quale sono stati studiati progetti ed attuati processi, diretti a fornire al cittadino prodotti e servizi in un tempo minore.

Si è passati, infine, ad una logica di marketing strategico (sia di acquisto che di vendita), che ha consentito di parlare al cittadino in modo paritetico. Per fare questo, sono stati avviati progetti di sviluppo, tra i quali spicca il cosiddetto PDS (progetto distribuzione servizi), tramite il quale si cerca di consegnare i servizi direttamente al domicilio del cittadino.

Parrebbe opportuno ricordare, tuttavia, che i periodi di transizione da una fase all’altra risultano particolarmente difficili da gestire, anche per un buon manager: per questo motivo occorre individuare le persone dotate di sufficiente volontà innovativa, come il Sindaco di Bologna Walter Vitali che, in 17 anni di esperienza in Comune, si è sempre distinto come ?head hunter? (ossia cacciatore di teste), deciso ad intraprendere percorsi nuovi.

La strategia utilizzata da Vitali (riconfermato sindaco nel 1995, con il nuovo sistema elettorale ad elezione diretta) ha permesso di conseguire alcuni importanti risultati:

·       una contenuta imposizione fiscale, che ha consentito a Bologna (ora allineata con i grandi Comuni metropolitani) di fissare, negli anni scorsi, un’aliquota ICI inferiore dell’1-1,5 per mille rispetto a quella stabilita dalle altre città;

·       una maggior efficienza, dovuta alla riduzione del personale e dei costi da esso derivanti;

·       un persistente investimento nei servizi erogati, nonostante Bologna ne offrisse già il 50% in più per abitante rispetto ad altri Comuni;

·       un aumento del prezzo dei servizi, reso possibile dal raggiungimento di una qualità migliore e dalla riduzione dei tempi necessari per recapitare gli stessi sevizi. Così facendo, si è verificata una crescita delle entrate che, comunque, ha continuato a tutelare le fasce più deboli.

Da quanto detto emerge in modo evidente come il lavoro svolto negli ultimi sette anni abbia apportato notevoli benefici alla città.

 

 

I SUCCESSI E GLI INSUCCESSI RIPORTATI

 

I principali risultati conseguiti nel 1997 riguardano rispettivamente:

1) la valorizzazione dell’impresa, mediante la vendita di partecipazioni, ritenute poco strategiche, in piccole imprese;

2) la trasformazione in Società per Azioni di tutte le municipalizzate, divenute ormai troppo costose, anche perché incapaci di diversificarsi (diversificare, infatti, significa conquistare nuovi mercati e sottrarre prodotti ai concorrenti);

3) la ricontrattazione dei mutui, resasi necessaria per correggere le politiche di indebitamento adottate precedentemente ed in modo erroneo dai Comuni;

4) la richiesta ed il successivo conseguimento della certificazione di qualità (attraverso ISO 9.002) sul servizio produzione pasti. In questo modo 3.500 persone sono state coinvolte nei gruppi di miglioramento della qualità e 110 dipendenti producono 2,5 milioni di pasti l’anno;

5) l’introduzione di servizi nuovi, tra i quali spiccano il cosiddetto ?dimmi?, ossia un bancomat che consente di pagare (presso 40 sportelli abilitati), non solo le eventuali multe ricevute, ma anche le tasse come l’ICI e l’imposta sui rifiuti (presentando la carta di credito e, per ricevere informazioni, il tesserino fiscale) ed il ?call center?, servizio che garantisce un’informazione compiuta al cittadino;

6) la realizzazione del cosiddetto ?progetto iperbole?, diretto a favorire la diffusione di Internet sul territorio, finanziando quasi 14.000 abbonamenti. Così facendo, a Bologna, non solo sono presenti 30.000 abbonati su un totale di poco più di 100.000 famiglie, ma è stato attuato anche un programma di investimenti sui sistemi informativi, che ha permesso di vendere soluzioni informatiche ad altri Comuni;

7) lo sviluppo, in materia di lavori pubblici, di una politica di manutenzione, stipulando contratti di servizio continuativo ed incrementando la spesa in questo settore da 15 a 45 miliardi l’anno;

8) la terziarizzazione di alcuni impianti sportivi, come lo stadio, ed il rilancio della cultura, attraverso l’apertura al pubblico di numerosi musei;

9) la realizzazione del Piano Regolatore per il 60% (mentre la parte rimanente verrà attuata entro l’anno) e la creazione di piani integrati, basati sulla contrattazione tra le diverse parti;

10) la riduzione dei tempi necessari per l’attribuzione delle concessioni edilizie (da un anno a 1-2 mesi).

Ai risultati sopra citati occorre aggiungere che, in termini qualitativi, il processo di riorganizzazione del Comune ha raggiunto il 75%, il personale è stato ridotto del 14%, è stato introdotto un sistema di incentivi di produttività, è stata raddoppiata la formazione, sono diminuite del 23% le ore di straordinario (nonostante la riduzione del personale), si sono verificati 1.400 passaggi di livello, sono stati ridefiniti i criteri di retribuzione per i dirigenti, le postazioni dotate di personal computer sono aumentate (passando da 350 a 1.600) e le entrate relative ai servizi sono passate da 90 a 160 miliardi.

Dai dati presentati il Sindaco risulta essere il vero city chairman, mentre il city manager sembrerebbe costituire una figura anomala, dal momento che esiste una vera e propria scala gerarchica alle dipendenze del Sindaco stesso, composta dal segretario generale, dal direttore generale, dal direttore operativo e dai direttori di settore (responsabili delle diverse aree strategiche).

Va detto, peraltro, che il direttore operativo, dovendo gestire sistemi produttivi complessi, necessita di una direzione unitaria; tuttavia sembrerebbe opportuno, al contrario, un decentramento di responsabilità per divisione (ricordando, comunque, che un vero decentramento è realizzabile solo in presenza di un vertice).

Parrebbe utile sottolineare, inoltre, come il lavoro svolto a Bologna, negli ultimi sette anni, sia stato finalizzato al ricupero della produttività e si sia basato fondamentalmente sul gioco di squadra, sulla valorizzazione del rapporto costo/qualità, sull’introduzione di managerialità e di imprenditorialità, sull’importanza del tempo inteso come valore (ossia della rapidità) e sulla credibilità dell’amministrazione.

Merita di essere ricordato, tuttavia, che accanto ai successi ottenuti e sopra elencati, sono stati registrati anche alcuni insuccessi quali, ad esempio: il fatto che i lavori per la realizzazione di nuovi parcheggi siano iniziati tardi, la ricontrattazione dei mutui sia stata poco coraggiosa ed una maggior efficienza potesse essere raggiunta riducendo ulteriormente i tempi necessari per l’attribuzione delle concessioni edilizie e delle autorizzazioni al commercio.

Da quanto detto, quindi, si può concludere che le singole persone rappresentano l’elemento determinante per l’attuazione di un processo di riforma amministrativa e che, in particolare, spetta ai sindaci stabilire un rapporto diretto e coerente con i cittadini, mirato a realizzare obiettivi comuni: questo cambiamento, tuttavia, può verificarsi solo in seguito ad un lavoro costante, protratto negli anni.

 

 

 

PRINCIPALI  APPROFONDIMENTI  DEL  DIBATTITO

 

 

 

Sono stati forniti alcuni dati relativi alla città di Alessandria (92.000 abitanti, 700 persone in Comune di cui 35 dirigenti, 1.050 persone previste in pianta organica, ICI al 4 per mille per la prima casa ed al 5 per mille per la seconda, prossima apertura di asili nido e scuole materne 12 mesi l’anno per 10 ore al giorno) ed è stato espresso accordo rispetto all’ottimizzazione dei servizi in perdita. Al contrario, sono stati espressi alcuni dubbi sull’effettiva utilità della figura del city manager, sia per i costi che essa comporterebbe, sia per il rischio di sovrapposizione di ruoli, che si verrebbe a creare, tra il sindaco ed il direttore generale: inserire questa figura nell’ambito dell’amministrazione comunale, infatti, potrebbe rappresentare un’importante innovazione, ma potrebbe anche costituire un elemento di rottura e di rigetto (dr.ssa Calvo).

 

Þ      Pur non potendo rispondere, dal momento che non è stata verificata l’esportabilità del modello sopra presentato, sembrerebbe doveroso ribadire l’utilità di questa figura che, all’interno del Comune, potrebbe essere utilizzata in modo diverso (ad esempio, a Bologna, 18 dirigenti su 100 hanno un contratto di tipo privatistico, ossia a tempo determinato). Inoltre parrebbe non sussistere il pericolo di un conflitto tra ruoli differenti, poiché occorre essere disponibili al confronto e solo in caso di palese dissenso sulla maggior parte delle proposte avanzate si configurerebbe il rischio di una frattura: queste professionalità, del resto, risultano fondamentali per la risoluzione di determinati problemi e, per questo motivo, si rende indispensabile una stima reciproca. Per quanto riguarda, infine, il loro costo, esso è comunque minore rispetto a quello che i dirigenti necessari a svolgere le stesse funzioni richiederebbero (ing. Fermi).

 

E’ stato evidenziato come sia lieve la differenza tra l’esperienza maturata alla Zanussi, quella in atto presso il Comune di Bologna e quella che potrebbe eventualmente essere intrapresa come imprenditore. Si è osservato, inoltre, che mentre per i Comuni di grande dimensione, dotati di una struttura ramificata, la presenza di un city manager diventa indispensabile, per quelli piccoli essa sembrerebbe inutile: nei Comuni di media dimensione, invece, parrebbe auspicabile individuare e distinguere i ruoli che competono al sindaco ed all’amministrazione, da quellli che competono a persone estranee all’amministrazione stessa (in questo modo si separerebbero le scelte politiche, che spettano a politici di professione, dall’esigenza di far funzionare una struttura, che può essere affidata anche ad un privato). A questo proposito è stato chiesto se il sindaco debba occuparsi anche del settore operativo o se, piuttosto, debba dedicarsi esclusivamente all’ambito politico, lasciando l’operatività a tecnici esterni. Questo tipo di divisione, se attuata in modo opportuno, libererebbe l’amministrazione alessandrina dagli incarichi pressanti legati alle decisioni da intraprendere quotidianamente (dr. Guala).

 

Þ      Fatta eccezione per il fatto che l’esperienza nel settore privato comporti un minor capitale di rischio, non esistono considerevoli differenze nel tipo di lavoro svolto nelle due differenti circostanze. Nel settore pubblico, tuttavia, è presente una diversa complessità dovuta alla differenziazione delle attività, che rende necessaria una grande correlazione tra le divisioni strategiche: la risoluzione dei principali problemi della città, infatti, dipende dalla capacità di collaborazione tra le diverse persone. Il problema del rigetto è normale e, proprio per tale motivo,questa nuova figura professionale deve saper cogliere i segnali di debolezza e saper individuare le persone di fiducia. Va detto, infine, che, non solo le grandi città necessitano di un riferimento di questo tipo, ma anche i piccoli Comuni, dal momento che devono ugualmente gestire un discreto numero di servizi ed il sindaco non può occuparsi di ogni cosa (ing. Fermi).

 

*  E’ stato sottolineato come l’esperienza di Bologna abbia rappresentato un esempio negativo, poiché i city manager vengono generalmente reclutati in settori molto diversi tra loro (quali, ad esempio, l’Università, il Gabinetto del sindaco, ecc.), ma nessuno proviene, come è accaduto nel caso dell’ing. Fermi, da un’azienda. Inoltre, il sindaco di Bologna è espressione di un modo unico di sentire la politica ed il governo della città: quanto detto rende Bologna un caso non replicabile altrove. I sindaci, infine, spesso temono di cedere potere perché non possiedono la cultura necessaria che consentirebbe loro di scegliere le persone giuste (dr. Melideo).

 

Þ   Merita di essere ricordato che non esiste una distinzione netta tra le scelte operative e quelle puramente politiche: infatti le grandi decisioni amministrative (come, ad esempio, la ristrutturazione delle municipalizzate) vengono delegate a tecnici di fiducia (ed il sindaco si riserva la supervisione). Tuttavia si preferisce non delegare altre scelte e, per questo motivo, non è ancora stato assunto un direttore generale, anche se ciò potrebbe avvenire in futuro. Per concludere, è stato rilevato come il caso di Bologna non sia destinato a rimanere unico poiché, tramite l’elezione diretta del sindaco, che pone quest’ultimo dinanzi ai cittadini, l’esperienza di Bologna diventa visibile in tutta Italia (dr.ssa Calvo).

Þ    Il caso di Bologna non ha rappresentato un esempio negativo perché, anche se in quella città esistevano condizioni particolarmente favorevoli, in tutti i Comuni si possono individuare le persone adatte, che rendano possibile un processo di riforma. L’elezione diretta del sindaco, al contrario, costituisce un elemento negativo in termini organizzativi, poiché rischia di provocare, nei sindaci così eletti, un ?delirio di onnipotenza?, senza peraltro che essi siano in grado di soddisfare le aspettative dei cittadini, cresciute in modo esponenziale (ing. Fermi).

 

Sono state sottolineate sia l’importanza della figura del direttore generale, che coordina l’attività dei dirigenti, sia la necessità di sviluppare una cultura di gestionalità all’interno dell’ente, diretta, ad esempio, ad aumentare le tariffe e ad indirizzare la spesa sulla base dei progetti. E’ stato chiesto, inoltre, come siano stati superati gli ostacoli di tipo burocratico, ossia come sia stato possibile promuovere ad un livello superiore 1.400 persone senza fare concorsi e ridurre del 14% il personale senza ricevere le proteste dei dirigenti che, non disponendo dell’organico al completo, non riescono ad ottenere risultati. Parrebbe utile, a questo proposito, introdurre un premio di valutazione per coloro che riescono ad ottenere gli stessi risultati, pur disponendo di minor personale. Si è chiesto, infine, quale percentuale del successo finale dipenda dall’azione del direttore operativo e quale dalla Giunta che lo ha sostenuto (dr. Lenti).

E’ stato chiesto se i tagli operati sul personale abbiano creato problemi fra i dirigenti (dr. Berrone).

 

Þ      Occorre precisare che un buon sindaco deve intraprendere un processo di riforma, pur sapendo che un solo mandato non è sufficiente per modificare le condizioni di una città. Va detto, inoltre, che i dipendenti sono stati promossi tramite concorsi interni, realizzati mediante preselezione e che il premio di valutazione dei dirigenti è stato introdotto, a Bologna nel 1990, sotto forma di indennità di produzione, assegnata in modo tale da premiare maggiormente coloro che ricoprivano ruoli più impegnativi. Il riferimento alla pianta organica, infine, non sembrerebbe necessario e la riduzione del personale, provocata dal pensionamento anticipato di coloro che temevano tagli alle pensioni, ha creato solidarietà tra i dirigenti, che hanno saputo compensare le carenze presenti in alcuni settori. Per concludere, il merito dei successi ottenuti spetta alla Giunta, per il 51% ed al manager, per il rimanente 49% (ing. Fermi).

Þ      Occorre ricordare che la volontà di perseguire un obiettivo consente di trovare i mezzi necessari per raggiungere lo scopo, anche superando responsabilità di natura giuridica (dr.ssa Calvo).

 

 

 

 

 

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