Introduzione a cura del prof. Valter coralluzzo

 

Ricondurre ad una sintesi gli interventi degli oratori non è un’operazione semplice, quindi mi limiterò a ritagliare un percorso che vuole essere una ricapitolazione per sommi capi degli argomenti da loro affrontati all’interno della ?cornice complessiva? della dialettica fra globalizzazione e frammentazione.

La dinamica evolutiva del sistema delle relazioni internazionali alle soglie del xxi vede due tendenze contrapposte:

 

·         l’una verso l’espansione continua dei vincoli di interdipendenza tra gli Stati;

·         l’altra ? non meno forte ? diretta alla frammentazione degli aggregati esistenti, causa della rinascita di nazionalismi aggressivi (come quelli nei Balcani) che hanno riportato in attualità un allucinante Medioevo di violenza, di odi etnici e religiosi che da tempo, almeno in Europa, non si vedevano più.

 

Entrando nel vivo del discorso, la prima considerazione che merita di essere esaminata riguarda il significato di globalizzazione emerso nell’intervento dell’On. Cacciari, il quale è partito da un punto di vista filosofico-generale stabilendo l’equazione ?globalizzazione = dominio dell’ideologia tecnologica? che esprime chiaramente l’idea secondo cui ai problemi fondamentali dell’uomo di possa dare una risposta in termini tecnico-pratici.

A questo riguardo si potrebbe parlare di ?apoteosi generale della scienza e della tecnica?, cioè di una concezione tecnico-scientifica di tipo utilitaristico che per definizione è antropocentrica, umanistica perché tutto è visto in funzione e per l’utilità dell’uomo. Inoltre, è importante rilevare come, così concepito, il progresso della società tecnico-utilitarista non possa conoscere limiti ma soltanto temporanei contenimenti. In questa prospettiva la funzione della politica assume caratteri propriamente amministrativi, di creazione delle condizioni ottimali per lo sviluppo economico, fermo restando che la globalizzazione così delineata abbia la tendenza a produrre crescente disuguaglianza piuttosto che uguaglianza di opportunità.

Ciò premesso, è stato messo in luce come si possa guardare alla globalizzazione in due modi sostanzialmente diversi:

 

·         la globalità come ?massa uniforme indifferenziata?  che ha come immagine di riferimento il deserto;

·         viceversa la globalità come ?rete di individualità universali originarie?, a cui metaforicamente fa riferimento l’arcipelago.

 

Si può, dunque, affermare che le immagini del deserto e dell’arcipelago siano indicative della riflessione secondo cui la globalizzazione possa significare sia ?annullamento delle differenze? (il deserto) e quindi tradursi in una sorta di omologazione – culturale- economica – tecnologica planetaria, sia ?valorizzazione delle differenze? (l’arcipelago) e dar vita così ad un contesto comunicativo dialogico che si manifesta attraverso una rete di soggetti, nessuno dei quali dipendente dagli altri, che dialogano su un piede di parità reciproca. L’On. Cacciari ha orientato la sua scelta verso questa seconda modalità di interpretazione della globalizzazione, come rispettosa di tutte le individualità, i linguaggi e le altre culture esistenti nel mondo.

Delineando i tratti salienti della visione policentrica ? autenticamente federalista ? della globalizzazione, si è riflettuto circa l’importanza, che rivestirebbe per il futuro dei rapporti internazionali, l’impegno dell’Europa di promuovere tale concezione, non tanto su un piano polemico, quanto piuttosto su una base di diversità rispetto agli Stati Uniti d’America, i quali sembrerebbero più orientati verso un’idea della globalizzazione come annullamento delle differenze. Nell’ipotesi in cui l’Europa non riuscisse a far valere tale versione l’esito sarebbe un ordine monocratico, unipolare fondato sulla strapotenza politica e militare degli Stati Uniti che sarebbero praticamente costretti a svolgere una funzione di polizia internazionale.

È importante notare come la tendenza verso un ordine monocratico e uniformante sia essenzialmente coerente con l’atteggiamento didattico-imperialistico dell’Occidente, che ha sempre manifestato una volontà di unificare e omologare culture e genti, pur riconoscendone il valore e in alcuni casi persino la superiorità.

Parimenti interessante è la considerazione secondo cui un ordine uniformante sarebbe maggiormente instabile e tendenzialmente più conflittuale rispetto ad uno policentrico, a rete. È opportuno osservare come a livello teorico non vi sia un’approvazione unanime; per esempio il filone che fa capo alla teoria della stabilità egemonica ritiene più proficua a livello internazionale, la presenza di un attore egemone economicamente e politicamente che garantisca la produzione dei beni pubblici collettivi, quali la sicurezza, la salute e i problemi ecologici.

 

La storia insegna che ogni qualvolta si prospetti all’orizzonte l’eventualità che si affermi una cultura planetaria, un’ideologia omologante, ?il nazionalismo?, risorge con estremo furore opponendo a questa sorta di universalismo (nel caso specifico di tipo tecnologico) la sacralità ? presunta tale ? della terra, della lingua, della religione, e della nazione. Tale considerazione offre un utile spunto per riflettere in ordine al valore che si attribuisce alla nazione.

Autorevoli persone ritengono necessari per un corretto funzionamento della democrazia il lealismo e il solidalismo sociale che, tuttavia, non possono nascere da un’idea astratta di cittadinanza, bensì hanno bisogno di un sentimento di appartenenza ad una comunità concreta cui tradizionalmente si dà il nome di nazione.

È interessante a tal proposito vedere a quali conclusioni siano giunti illustri personaggi del passato come Tocqeville e Montesquieu; il primo riteneva si servissero meglio gli interessi della specie umana dando da amare a ciascun uomo una patria; Montesquieu affermava, viceversa, che i doveri dell’uomo avessero sempre il sopravvento su quelli del cittadino e poneva l’accento sul fatto che non si potesse pensare al bene della patria quando in discussione fosse quello del genere umano.

Detto ciò, è possibile notare come da un lato sembri che per il funzionamento della democrazia ? sia sul piano interno che su quello internazionale ? sia fondamentale il senso di appartenenza ad una comunità-nazione, dall’altro lato come tale comunitarismo, facendo capo ad un concetto monadico, possa determinare un aumento della frammentazione piuttosto che della democrazia.

 

Un ulteriore, importante punto di riflessione concerne nuovamente la frammentazione, ma non delle nazioni, bensì delle civiltà, in ordine al quale ?il richiamo d’obbligo? è alla tesi di Samuel Huntington circa il conflitto fra le civiltà, con particolare attenzione a quello in atto fra Occidente e Islam. Presupposto fondamentale per la comprensione dell’interessante teoria di Huntington è la conoscenza di ciò che comunemente si intenda con le espressioni ?cultura islamica? e ?cultura occidentale?.

Nel corso del suo intervento il prof. Guasco ha sottolineato come vi siano due contrapposte concezioni dell’Islam:

 

·         da un lato quella di un Islam tollerante per cui i conflitti che si verificherebbero con l’Occidente sarebbero da giudicarsi provvisori e quindi superabili in una prospettiva di dialogo;

·         dall’altro, una visione dell’Islam  come intrinsecamente intollerante che sembra rispecchiare la situazione di questi ultimi anni – per cui la conflittualità sarebbe permanente e, conseguentemente, il dialogo non potrebbe che ?fra sordi?.

 

Analizzando lo sviluppo storico dei rapporti fra Islam e Occidente è stato messo in evidenza come si possano individuare tre fasi:

 

·         una prima di apertura di tipo utilitaristico – strumentale dell’Islam all’Occidente;

·         una seconda di presa d’atto dell’ambiguità del modello occidentale derivante dal fatto che la tecnologia occidentale e la cultura atea non sembrano essere scindibili;

·         infatti, la terza fase del rifiuto dell’Occidente  in cui si distingue la modernizzazione dall’occidentalizzazione e si opta per una reislamizzazione dal basso di quei Paesi, che riguarda anche le comunità di immigrati di cittadini islamici residenti all’estero.

 

Detto ciò, è importante focalizzare l’attenzione sulle problematiche connesse all’immigrazione ? che in questi ultimi anni sta crescendo in maniera esponenziale ? rispetto alla quale il prof. Ambrosini ha illustrato le cause, evidenziando che non sono i più poveri ad emigrare ma coloro che hanno percepito la possibilità di un miglioramento, poi i fattori di richiamo e le reti etniche inducendo a notare come coloro che giungono in un determinato Paese spesso abbiano un punto di riferimento costituito da parenti, amici o compaesani che li hanno preceduti.

È rilevante, a tal proposito, mettere in evidenza la considerazione ? condivisa dai classici dell’etologia ? secondo cui l’aumento dei flussi di comunicazione fra culture diverse lungi dall’essere un fattore che riduca lo stato di conflitto, contribuisca invece ad aumentarlo.

Alla luce dei rapporti conflittuali fra la cultura occidentale e quella islamica, appare problematico il futuro della Chiesa che si trova ad oscillare tra due posizioni inquietanti:

 

·         da un lato un atteggiamento conflittuale rispetto alle altre Chiese e alle altre civilizzazioni, riconducibile principalmente al modo di agire ?didattico?, con cui l’Occidente ha compiuto la missione civilizzatrice, che ha reso difficile instaurare un dialogo intereligioso;

·         dall’altro lato un atteggiamento di marginalità perché la Chiesa sembra essere disarmata di fronte del dominio planetario dell’ideologia essenzialmente atea e materialista, a tal punto che sembri assumere solo posizioni reazionarie per tentare di ritardare un processo di sviluppo che, per le sue caratteristiche intrinseche, non può conoscere limiti.

 

Autorevoli studiosi dei problemi della pace sono convinti che la speranza di dialogo interreligioso, e interculturale possa diventare reale solo a condizione che il mondo occidentale abbandoni sia quell’atteggiamento ?didattico-imperativo? che storicamente lo ha distinto, sia l’abitudine a far coincidere il concetto di civiltà orientale con l’Islam perché l’Oriente è soprattutto ?altro?.

A tal proposito, se si focalizza l’attenzione sul Buddismo o il Taoismo, è interessante notare come lo ?scontro fra le civiltà? assume aspetti diversi da quelli fino ad ora esposti; la spiegazione è in gran parte da ricercarsi nel fatto che la cultura occidentale si basi su principi ? quali quelli di non contraddizione, del terzo escluso ? che tendono ad aumentare, piuttosto che attenuare, incompatibilità manichee. Al contrario, il valore fondamentale che ispira il Buddismo e il Taoismo è un atteggiamento di totale apertura al dialogo per scoprire ?l’altro? nella convinzione che l’altro sia uguale a noi.

 

A fronte di un progressivo cammino verso un mondo multipolare, dove i poli sono le civiltà, appare opportuno rilevare che sono state individuate molteplici tipologie di multipolarismo, fra le quali meritano di essere citate:

 

·         il multipolarismo concertato – consensuale di cui si ha un esempio nel concerto delle grandi potenze europee del secolo scorso:

·         il multipolarismo bilanciato ? conflittuale in cui a vincere è il principio di non interferenza di una civilizzazione negli affari interni di una civilizzazione altra. L’affermazione di tale tipologia di multipolarismo comporterebbe la rinuncia da parte di una cultura ad esportare i propri valori e, conseguentemente, il rifiuto delle società multiculturali.

 

Quest’ultima considerazione sull’applicazione del principio di non interferenza induce ad un’analisi complessiva circa gli effetti prodotti dal fenomeno (opposto) di ingerenza umanitaria in Kosovo. È stato più volte messo in evidenza come gran parte degli interventi umanitari nell’area dei Balcani sembrino sortire l’effetto paradossale di produrre la situazione percui le guerre erano state condotte dagli attori, ossia gli stati etnici. La Bosnia, dal canto suo, costituisce un esempio evidente del suddetto paradosso: una metà è ormai gravitante attorno alla Serbia, l’altra, croato-mussulmana, gravitante attorno alla Croazia, altamente instabile è garantita dall’attuale presenza di truppe.

In conclusione, è condivisa da molti l’opinione che da un lato individua il totale fallimento dell’ONU e dall’altro ritiene indispensabile per la buona riuscita dei futuri interventi la creazione di un esercito comune europeo da affiancarsi ad una politica estera comune europea.

 

 




 

 

PRINCIPALI APPROFONDIMENTI DEL DIBATTITO

 

 

·         È sempre fonte di grande stupore riscontrare la diffidenza con cui i Paesi occidentali affrontano le problematiche di tipo umanitario; in particolare rivolgendo l’attenzione all’Italia, è interessante rilevare che sussiste una generalizzata propensione a misurare i Paesi del Terzo Mondo attraverso gli stessi parametri con cui si valutano i Paesi europei, non tenendo in considerazione il dato fondamentale che tali Paesi non hanno conosciuto alcuna delle tappe del processo di sviluppo, che in Europa ha avuto inizio nel xvi. Si osserva che mentre alcuni Paesi si stiano avvicinando ad una società tecnologica con apprezzabile successo (ved la Cina, l’India), per altre civiltà le abissali differenze culturali impediscano l’?importazione? di qualsiasi tipo di modernizzazione; anzi è opportuno aggiungere che laddove sia stata compiuta una simile operazione è conseguito un danno insormontabile per le economie locali (ved i Paesi islamici).

 

·         Si è convinti che alla soluzione dei problematici rapporti fra civiltà diverse possa contribuire la crescita del livello culturale, per la quale è essenziale la capacità di elaborare l’esperienza, ossia guardare dentro di noi alla luce delle cose che ci sono state conferite dall’ambiente esterno (sia esso l’ambiente scolastico, lavorativo, sociale, etc..) (sig.ra L. Martinetti)

 

·         Riflettendo sul ruolo svolto dalla componente economica nei rapporti fra civiltà diverse, è opportuno focalizzare l’attenzione sul fenomeno ?globalizzazione? che si concreta principalmente nello spostamento, da parte delle multinazionali, delle attività verso aree che consentano la diminuzione dei costi di produzione.  A fronte dei vantaggi riconducibili alla globalizzazione dei mercati e dei prodotti (quali ad esempio la crescita del commercio internazionale, la diffusione su scala mondiale di determinati prodotti ? si pensi alla Coca Cola, bevuta davvero ovunque), è doveroso sottolineare che le forti disuguaglianze esistenti fra i Paesi al vertice della piramide e quelli che si trovano alla base hanno determinato la nascita della contraddizione circa la natura del processo di globalizzazione. È, infatti, passato da strumento di equilibrio a fonte di diseguaglianza fra i Paesi opulenti e quelli poveri che non riescono ad entrare nel circuito economico globale, e quindi probabile causa di conflitti se nona breve, a lungo termine. (prof. V. Coralluzzo)

 

·         Tentando di prefigurare un ruolo dell’Occidente nei confronti del mondo, che non sia essenzialmente il tentativo di perpetuare una forma di dominio attraverso l’uso della tecnologia, sarebbe opportuno in primis individuare ?cosa? si voglia esportare, domandandosi se ?il buono? proprio della cultura occidentale sia limitato alle conquiste tecnologiche o si estenda ad altri fattori.

È stato, infatti, giustamente notato come non sia automatica la soddisfazione degli Occidentali nei confronti della società in cui vivono; al contrario è ritenuto decisamente lecito il quesito concernente la possibilità di compiere delle evoluzioni positive nei rapporti interculturali, portando in tal modo un valore aggiunto alla storia del mondo.

Si pensa che il primo impegno fondamentale per focalizzare che cosa di positivo l’Occidente possa esportare verso altri sistemi culturali consista nell’invitare la comunità occidentale a diventare maggiormente consapevole dei valori democratici frutta della propria storia.

Un secondo impegno potrebbe essere l’individuazione delle forme più opportune per far conoscere all’esterno la validità dei modelli organizzativi e delle peculiarità propriamente occidentali, che non necessariamente devono essere circoscritte all’ambito economico; si pensi ad esempio alle conquiste ottenute dalla cultura occidentale circa la tutela della concorrenza, il ruolo di garanzia svolto dallo Stato.

Infine, un terzo passaggio potrebbe essere l’impegno a rispettare le altrui diversità etniche e nazionali, perché si è convinti che soltanto procedendo in questo senso si possa contribuire a porre solide basi per instaurare un discorso di pace e non soltanto una trattativa economica.

In conclusione uno ?stile sobrio e discreto? per far conoscere alle altre civiltà le peculiarità occidentali e promuovere veramente condizioni di sviluppo economiche e sociali (sempre nel rispetto delle altrui diversità) e non condizioni di sviluppo istituzionali potrebbe probabilmente costituire la prerogativa per dare una saggia risposta al quesito ?I dilemmi della geopolitica e le nuove vie della pace? (dr G. Astori)

Scarica File