Per quanto il termine «mafia» richiami subito alla mente manifestazioni criminali tipiche del Mezzogiorno italiano, in realtà esso rimanda a una serie di fenomeni che, avendo origine in contesti sociali apparentemente molto diversi tra loro (anche Cina, Giappone, Russia), travalicano gli stessi limiti, peraltro assai vasti, della cri-minalità. Chiedendosi allora quale sia oggi il carattere principale delle mafie si può rispondere sottolineando innanzitutto la sua natura realmente internazionale, sebbene ciò non significhi che esista una vera e propria «cupola internazionale» bensì, più propriamente, un «network» ? concetto quest’ultimo che oltretutto ci pare descrivere adeguatamente sia l’insieme dei soggetti criminali legati «in rete», sia l’insieme, la natura e la qua-lità delle stesse «relazioni» che si sviluppano tra le diverse famiglie mafiose.

Se dunque la strategia più indicata per combattere questo fenomeno deve essere necessariamente di tipo globale e attuarsi a partire dall’analisi della natura della rete di relazioni esistente (oltre che dei suoi effetti criminali), può essere utile a questo punto richiamare brevemente come le diverse mafie si siano sviluppate negli ultimi decenni. Il consolidamento effettivo di queste organizzazioni criminali avviene infatti a partire da-gli anni Settanta del xx secolo e il modello che presentano appare in qualche modo di «successo» proprio per le modalità particolari (ed efficaci) di intendere e rapportarsi con il sistema sia economico che politico. Inoltre, meglio dell’istituzione statale, le organizzazioni mafiose paiono coniugare molto bene il controllo sia della dimensione «micro» (ossia locale) sia di quella «macro» (dei mercati globali).

Più precisamente, queste risultano essere le peculiarità principali delle mafie attualmente attive nel mondo:

 

·         capacità di controllare uno specifico territorio ben delimitato. È questa infatti l’attività volta fon-damentalmente all’accumulazione «primaria» di risorse da utilizzare successivamente per la rea-lizzazione dei grandi investimenti finanziari nei traffici mondiali della droga, delle armi, delle per-sone;

·         capacità di reinvestire, appunto, tali risorse a livello mondiale, secondo un modello che non pare troppo differente dalle stesse modalità con cui lo Stato moderno nel Settecento gestiva una buona parte dei traffici illegali a livello mondiale (si pensi, come esempio tra i tanti, ai traffici dell’oppio con la Cina e al ruolo del Regno Unito).

 

È vero però che una riflessione sulle mafie non può prescindere da un’analisi anche etimologica e semantica dei termini e, a questo riguardo, il lemma «mafia» riporta, come si è già detto, al Mezzogiorno italiano e ha radici storiche ben precise: l’area della Sicilia occidentale alla fine dell’Ottocento. Il termine «Cosa nostra» ? più propriamente «la Cosa nostra» nasce, al contrario, negli Stati Uniti d’America e viene usato dai siciliani immigrati per riferirsi a un tipo di gestione (familistico-criminale) che non deve riguardare nessun altro gruppo etnico ? una «cosa loro», appunto.

Tuttavia, nella letteratura specialistica di matrice anglosassone, fatta eccezione per la tipologia specifica di «Cosa nostra», invece del termine «mafia» si preferisce usare quello di «crimine organizzato», ponendo più l’accento sul carattere economico dell’attività di queste organizzazioni malavitose, in grado di produrre profitti in modo illegale. A questo riguardo ? a riprova anche dell’attuale maggiore influenza dell’orientamento definitorio anglosassone e, parallelamente, della difficoltà di riconoscere in documenti «ufficiali» il legame tra crimine organizzato e sistemi politico-sociali ? la recente Convenzione delle Nazioni Unite sottoscritta a Palermo alla fine dello scorso anno e dedicata all’analisi dei fenomeni della criminalità organizzata definisce all’art. 2 la natura e le peculiarità di questi gruppi «semplicemente» in questi termini: «gruppi di trenta o più persone che agiscono con lo scopo di compiere atti illeciti per ottenere un profitto economico», chiarendo peraltro che tali atti costituiscono gravi reati se risultano punibili con pene di almeno quattro anni di carcere.

La corretta definizione dei termini «mafia» e «criminalità organizzata» non può tuttavia esaurire la complessità dell’analisi del fenomeno mafioso nella sua generalità tanto più che, sebbene la Convenzione onu di Palermo non ne parli espressamente, i (probabili) legami non solo con i sistemi economico-finanziari ma anche con quelli politici da parte delle varie mafie operanti nel mondo paiono essere davvero il «cuore» del problema definitorio e legittimano, per altri versi, la domanda sulle ragioni che hanno favorito l’affermazione storica delle mafie in certi Stati (quali ad esempio l’Italia) invece che in altri (quali gli Stati Uniti).

La risposta a tale questione rimanda effettivamente alla ipotizzata connessione che legherebbe l’affermarsi di questi fenomeni criminali organizzati con la presenza di particolari caratteristiche dei sistemi politico-sta-tuali e, per altro verso, con la facilità con cui le mafie, agendo come «gruppi politici» elitari (weberianamente intesi), riuscirebbero a infiltrarsi nei mercati «legali» e a operare attraverso un controllo totalitario e ricattatorio della privacy di tutti i loro sottoposti.

Ciò risulterebbe possibile anche perché la struttura organizzativa di tutte le mafie è strettamente ge-rarchica e solo chi sta al vertice conosce davvero la natura e le potenzialità funzionali di tutte le «cellule» (formate dagli affiliati/soldati) che, all’interno della gerarchia, costituiscono il primo livello (quello visibile dalla società), a differenza del livello superiore (costituito appunto dai vari boss) che soli «sanno certe cose» e soli possono gestire personalmente i rapporti con le «persone (politiche) che contano» senza «sporcarsi le ma-ni». E se questo pare essere, per certi aspetti, il modello descrittivo della mafia siciliana, la storia e la natura ad esempio della mafia giapponese (detta «yakuza», dal nome di una combinazione sfortunata di numeri in un gioco d’azzardo con le carte) presenta numerose analogie (molte delle quali, fortunatamente per l’Italia, in senso ulteriormente negativo). Si pensi, tra l’altro, al fatto che (addirittura) fino agli anni Ottanta questa orga-nizzazione era considerata in qualche modo «legale» in Giappone, in virtù anche del sostegno economico che essa aveva dimostrato di garantire per un cinquantennio finanziando le campagne elettorali del principale par-tito di maggioranza. Più specificamente, il legame tra lo sviluppo storico delle mafie in certi Paesi e i contatti con il sistema politico di questi ultimi, se risulta particolarmente evidente a partire dalla fine della seconda guerra mondiale in Italia, Giappone e un po’ in tutto il mondo «occidentalizzato» (a seguito della vittoria delle forze alleate  e della conseguente legittimazione e definitiva liberalizzazione degli scambi internazionali), trova una spiegazione più di lungo periodo e più generalistica considerando come questo tipo di organizzazioni criminali non abbiano presentato mai (né tuttora presentino) caratteristiche tipiche di un «anti-Stato» ma sem-plicemente puntino a vivere «dentro» lo Stato colludendo con alcuni suoi settori e sfruttando al massimo i di-fetti di monopolizzazione/unificazione del potere statuale centrale.

Infatti, a questo ultimo riguardo, si può facilmente riscontrare che dove il passaggio dal sistema feudale a quello statuale è avvenuto in tempi sostanzialmente «rapidi» le mafie non hanno potuto svilupparsi age-volmente (impiantandosi semmai come fenomeni portati dall’immigrazione di gruppi etnici minoritari, come nella storia degli Stati Uniti del secolo scorso). Dove invece alcuni «potentati locali» si sono mantenuti e, in qualche modo, sono stati «legittimati» dal potere statuale, questi hanno mantenuto storicamente anche rilevanti poteri di tipo militare per controllare il territorio locale e sono divenuti le «fonti» strutturali, politiche e orga-nizzative delle diverse espressioni mafiose (si pensi, da un lato, alla difficoltà del «neonato» Stato italiano di essere «accettato» dalle popolazioni del Mezzogiorno e, dall’altro, all’accondiscendenza del potere centrale romano-piemontese verso le varie «baronie mafiose» della Sicilia e della Calabria, pur di poter «controllare il territorio» conquistato con l’unità d’Italia).

Oggi, per lo meno nel nostro Paese, la situazione non può più essere descritta generalmente in questi ter-mini, ma certamente si può notare un po’ in tutti gli Stati in cui si hanno consolidate tradizioni mafiose che tali tradizioni continuano ad operare attraverso e grazie alla progressiva «privatizzazione della politica» e all’aumentata presenza di sotto-sistemi di carattere clientelare dove ? paradossalmente ? il migliore partner dell’uomo politico risulterebbe essere proprio il boss mafioso (in grado di controllare capillarmente il territorio e la distribuzione del consenso elettorale, se non addirittura disponibile egli stesso a candidarsi all’assunzione di responsabilità di tipo civico quali il ruolo di sindaco o di assessore comunale).

In effetti, una riflessione sulla «specializzazione professionale» (non solo in ambito politico-amministra-tivo) degli operatori mafiosi di livello medio-alto pare, a questo riguardo, interessante soprattutto perché, rispetto alla tesi di alcuni studiosi che sostengono l’idea secondo la quale la conduzione mafiosa oggi sarebbe il risultato di una lenta evoluzione della gestione malavitosa dall’ambito agricolo arcaico a quello «impren-ditoriale», pare più corretto affermare che, in primo luogo, tale ipotesi risulterebbe troppo rigida e fuorviante (non spiegando adeguatamente l’omogeneità attuale dei «effetti criminali» nei diversi Paesi caratterizzati tuttavia da evoluzioni socio-economiche diversificate dalla civiltà agricola a quella industriale) e, in secondo luogo, i mafiosi più che essere imprenditori parrebbero essere dei «mercanti sulla lunga distanza» e dei provetti «riciclatori di denaro». Certamente però non sarebbero definibili come operatori né economicamente «spe-cializzati» nell’ambito del mercato né imprenditorialmente «innovatori», dal momento che sono soliti sfruttare in modo perverso situazioni e condizioni socio-geografiche di consolidata ricchezza (quali quelle pre-senti presso le città portuali e le vie dei commerci) comunque da altri sviluppate per impiantarvi surrettizia-mente le proprie attività di controllo dei traffici illeciti e di riciclaggio di denaro sporco.

La ricerca di occasioni utili e di condizioni favorevoli al crimine è la vera «specializzazione» dei mafiosi da sempre e, seguendo storicamente l’evoluzione delle attività mafiose ad esempio nella seconda metà del xx secolo, si può rilevare come, dopo un relativo «congelamento» dei traffici dovuto alla stagnazione delle guerra fredda e alla inevitabile limitazione delle vie del mercato (soprattutto) della droga, la crisi degli anni Settanta si conclude con la grande privatizzazione della finanza internazionale e con la nascita dei mercati «off-shore» ? una realtà tutt’ora presente nella quale al venir meno della sovranità degli Stati nazionali corrisponde l’interesse e il significativo coinvolgimento dei privati (mafiosi compresi) nella gestione molto «disinvolta» degli investimenti finanziari.

Da ultimo, la caduta dei regimi comunisti dell’Europa Orientale con il 1989 apre (anche) alla mafia la possibilità di intervenire incisivamente nella trasformazione di un enorme sistema economico costretto dagli eventi storico-politici a passare da una caratterizzazione di tipo «sovietico» ad una di «libero mercato» con tutti i rischi per l’inquinamento dei traffici economici derivanti da operazioni troppo frettolose come quella, in particolare, che si è verificata in Russia dove, secondo non pochi commentatori, le leve del potere economico (e non solo) sono ormai quasi tutte in mano alle organizzazioni della mafia russa. E, a fronte dell’attuale situazione nell’ex-Unione Sovietica, questa tendenza alla commistione sempre più pervasiva tra potere politico, potere economico-finanziario e criminalità organizzata di matrice mafiosa si può drammaticamente rilevare in particolare analizzando la condizione dei Paesi della ex-Jugoslavia in cui alcuni Stati, come la Serbia, possono essere facilmente definiti «Stati-mafia» dal momento che le famiglie al potere (in Serbia la famiglia Milosevic) sono in grado di controllare tutti gli apparati dello Stato avvalendosi anche di truppe criminali mercenarie e utilizzando copiosamente riferimenti ideologici di natura ultra-nazionalista per masche-rare una conduzione assolutamente «mafiosa» e «guerrafondaia».

 

 




 

PRINCIPALI APPROFONDIMENTI DEL DIBATTITO

 

 

Il dibattito si è articolato su diversi punti tra i quali possono essere richiamati in particolare i seguenti.

 

a)      Il meccanismo che conduce al proselitismo nella mafia si basa su diversi fattori. Di fronte all’ipotesi che l’appartenenza a questo genere di criminalità organizzata possa essere «suggestiva» soprattutto per le gio-vani generazioni (in particolare del Mezzogiorno italiano), è tuttavia opportuno considerare come l’affilia-zione alla mafia si basi in particolare su riferimenti di carattere ideologico-mitologico e sull’utilizzazione di riti di iniziazione attraverso i quali il giovane adepto abbandona formalmente la società civile ? e addi-rittura la propria famiglia di sangue, se è necessario ? per entrare a fare parte di una vera e propria élite. Sarebbe in ogni caso interessante analizzare la portata e la vastità di questo fenomeno studiando meglio non già cosa la mafia «è» quanto piuttosto cosa la mafia «dice di essere».

b)      Se la mafia non ha prevalso negli Stati Uniti ciò pare dovuto, da un lato, alla scelta e alla consistenza del mercato e della libera economia (salvaguardata dallo Stato) e, dall’altro lato, (soprattutto) alla presenza fin dalla costituzione «materiale» degli Stati Uniti di particolari valori condivisi di matrice cristiano-prote-stante improntati al rispetto della libertà e proprietà privata e fortemente contrari ad ogni sorta di preva-ricazione violenta imposta al singolo da gruppi o poteri organizzati.

c)      A fronte di un progresso tecnologico indiscutibile che oggi consentirebbe con facilità di controllare il terri-torio e di individuare i responsabili dei traffici di armi, droga, essere umani, pare che (quantomeno in Ita-lia) ci sia una certa negligenza del sistema politico a intraprendere un’incisiva azione di contrasto e di lotta alla mafia ? una scelta «politica» prima che operativa che si dovrebbe avvalere di quattro «vie»: una via «repressiva» (con strumenti quali il carcere duro per i mafiosi), una via «anti-proibizionista» (quantomeno per droga e prostituzione, piuttosto che per le sigarette), una via «culturale» (la più ardua ma anche la più importante) che però può conferire risultati significativi solo nel medio-lungo periodo e una «super-via» costituita dal reale sviluppo della democrazia in ogni Paese (una via sicuramente più efficace di ogni solu-zione legata all’intervento poliziesco di «task forces» internazionali create ad hoc per combattere i vari re-gimi politico-mafiosi sparsi purtroppo nel mondo).

Scarica File