La serata si apre con una riflessione circa l’importanza di essere liberali negli anni Sessanta e Settanta, periodo in cui un forte ostracismo ostacolava gli sforzi profusi per studiare le problematiche inerenti i sistemi dell’Est: essere liberali, in quegli anni, significava essere ?contro corrente?.

Nel 1969 comparve sulla scena italiana il cosiddetto ?gruppo dei giovani del Ceses?, capeggiato dal Prof. Monti Bragadin che, proprio in quell’anno, scrisse una relazione riguardante il liberalismo della scuola di Chicago, ricuperando autori, come Von Hayek, poco ?utilizzati? in quel momento. Questi studiosi seppero rivalutare il pensiero di Popper alla fine degli anni Sessanta, quando i concetti di società aperta e libera e di buon governo venivano palesemente criticati.

L’importanza, ormai nota, di pensatori come Hayek e Friedmann viene comprovata anche dal fatto che essi furono i creatori di una sorta di internazionale liberista, che costituì un elemento fondamentale nella definizione del ruolo che la spontaneità doveva assumere nell’ambito dei processi sociali.

Occorre sottolineare, inoltre, che come la spontaneità rappresenta uno dei punti fondamentali della visione del modo di essere liberi nella società del ?900, così questi autori costituiscono una vera e propria testimonianza di libertà. A conferma di quanto detto è utile ricordare che a Vienna, in una stanza della Camera di Commercio, giovani studiosi, accuratamente selezionati, si intrattenevano con grandi maestri, tra i quali spiccava Von Mises, padre delle teoria monetaria (1912) e della scuola austriaca di economia. L’esilio di quest’uomo, non apprezzato in patria, rese possibile la nascita della scuola di Chicago, grazie anche alla preziosa collaborazione di Hayek prima e di Friedmann poi.

Pur non esistendo una completa ?coincidenza di vedute? tra i membri di questa scuola, essa ricopre una posizione di rilievo, dal momento che ha saputo riscoprire l’importanza della spontaneità.

A questo proposito sembrerebbe doveroso ricordare che l’argomento di discussione è un particolare filone del liberalismo che presenta una spiccata connotazione liberistica, non solo intesa come possibile soluzione economica, ma anche come indicazione per un preciso riferimento alla spontaneità in campo sia economico che politico.

La scuola di Chicago, inoltre, non può essere ritenuta conservatrice, sia perché gli studiosi che ne facevano parte costituivano una minoranza che, attraverso la rivalutazione della categoria della spontaneità, rimetteva in discussione ogni cosa, sia perché non si accontentavano di un liberalismo generico.

Occorre ricordare, infatti, che, in questa circostanza, il ricorso al termine liberismo parrebbe improprio, dal momento che si riferisce alla polemica tra la filosofia della libertà di Benedetto Croce (secondo il quale ogni assetto istituzionale è secondario e, realizzandosi tramite il divenire della storia, fa sì che le istituzioni siano equifunzionali nel conseguimento della libertà) e la posizione di Luigi Einaudi.

In realtà i liberali a cui ci riferiamo perseguivano una libertà quotidiana, naturale e basata sulla semplicità dei rapporti.

Nell’ambito di questa teorizzazione, il prossimo viene considerato come colui con il quale si deve instaurare uno scambio, dal momento che ogni individuo possiede qualcosa da donare agli altri; per questo motivo è necessario scorgere, negli altri, degli amici, grazie ai quali ognuno di noi può raggiungere il proprio scopo.

Questo processo, che dà origine ad una sorta di altruismo egoistico e che Hayek definisce ?catallassi?, fa sì che i nemici si trasformino in amici e si pone alla base della tolleranza. Il termine catallassi, infatti, non significa solo scambiare, ma anche trasformare i nemici in amici, poiché risulta essere intimamente legato all’idea che il bisogno dell’altro renda necessaria questa trasformazione.

Grazie a questi scambi (che ormai interessano spazi molto vasti), che si fondano su questa convinzione d’animo, nata dalla volontà di schiacciare lo spirito di sopraffazione che caratterizza  in modo naturale ogni individuo, è possibile raggiungere situazioni di soddisfazione.

Da quanto detto si deduce che non esiste un bene generale oggettivo, ma che si determinano, situazioni di benessere costruite dai singoli soggetti secondo le proprie possibilità e conoscenze, che non sono né perfette, né definitive ma che rappresentano, pro tempore, quanto di meglio si possa realizzare. Il miglior percorso da seguire, quindi, è quello che si forma spontaneamente, indicando in quale direzione muoversi, anche se questa affermazione presuppone l’abbandono della tendenziale onnipotenza, tipica della natura umana.

Alla categoria della spontaneità si contrappone quella della intenzionalità: se il padre della prima può essere considerato Adam Smith, il creatore della seconda può essere individuato in Saint-Simon.

Quest’ultimo, infatti, esaltò le grandi opere pubbliche ed il capitalismo finanziario e monopolistico, anche se, in realtà, trionferà un altro tipo di capitalismo: quello competitivo, caratterizzato dal rapporto tra la dimensione strutturale dell’impresa e quella spaziale del mercato. Questo meccanismo, che oggi definiamo globalizzazione, condurrà alla creazione di un mercato de-confinato, all’interno del quale non esisteranno solo grandi imprese poiché, come sosteneva Smith, l’infinitamente piccolo convive con l’infinitamente grande, secondo legami che vengono definiti casuali solo perché non si è in grado, con la ragione, di padroneggiare ogni cosa.

Un’interpretazione corretta del concetto di spontaneità richiede, inoltre, che si verifichi una sorta di sublimazione dell’armonia, grazie alla quale alcune persone sapranno guidare gli altri, nell’ambito di un contesto in cui nulla è inutile.

Secondo Guglielmo Ferrero il grande problema del ?900 è rappresentato dal fatto che le autorità, istituzionali e non, abbiano perso, non solo il senso del limite, ma anche la legittimazione, che proviene dal basso e consente di coniugare il basso con l’alto. Si tratterebbe, quindi, di una questione di legittimazione tra chi vorrebbe impostare un discorso ?proveniente dal basso? e chi si basa sulla dicotomia tra coloro che sono in grado di dirigere e coloro che necessitano di essere diretti.

Nel corso del ?900 si sono diffusi diversi principi di pseudo-legittimazione, tra i quali spicca l’estetismo, riferito alla cerchia ristretta di coloro che possiedono la ?chiave? del divenire dell’umanità.

In realtà, il vero problema è costituito dal ruolo della ragione, poiché il liberalismo della spontaneità, contrapposto al collettivismo dell’intenzionalità, culturalmente pone le basi del razionalismo critico contrapposto, a sua volta, a quello dogmatico.

In campo scientifico, ad esempio, tra gli esponenti del razionalismo critico, occorre ricordare Vilfredo Pareto che, pur difendendo la libertà e la libera economia, si contrappose ai positivisti, sostenendo il principio della relatività della scienza. Egli, infatti, affermava che l’uso critico della ragione si fonda sul presupposto che gli individui abbiano a che fare con fatti relazionali, non siano in grado di padroneggiare il sistema degli scambi e, di conseguenza, le asserzioni da essi sostenute, in ordine ai fenomeni umani, abbiano una portata relativa.

In questo modo, sostenendo che l’uomo non possiede certezze ma, al contrario, procede per tentativi ed errori, viene introdotta la regola del dubbio sistematico e negato il positivismo.

In secondo luogo Pareto affermava che le azioni umane seguono il principio di razionalità, ossia gli uomini si servono di mezzi scarsi per perseguire fini che non lo sono.

In passato, già Niccolò Machiavelli spiegò il principio del ?minimo mezzo?, sostenendo che il mezzo doveva essere congruente al fine. L’idea della ragione ?senza limiti?, del resto, spinge ad inseguire un’utopia.

Ci si chiede, infine, come mai, attualmente, vengano riproposte alcune tematiche tipicamente settecentesche ed, in particolare, la teoria della mano invisibile: la risposta è legata al fatto che il capitalismo concorrenziale, grazie allo sviluppo della scienza e della tecnica, ha subito una notevole evoluzione.

L’economia di mercato, del resto, rappresenta la moltiplicazione infinita dell’idea del baratto e riproduce, su scala universale, il fenomeno della catallassi. Gli scambi, infatti, si intrecciano sulla base delle opportunità che vengono offerte e che gli individui stessi contribuiscono a creare: derivano dall’interazione sociale, quindi, le opportunità che si presentano ai singoli attori e la globalizzazione costituisce la manifestazione più evidente del suddetto processo.

La globalizzazione, ossia lo spirito di intraprendenza di coloro che escono dagli schemi tradizionali, comporta un de-confinamento degli Stati nazionali, fino al momento in cui non esisteranno più confini: anche la concezione del tempo e dello spazio, del resto, ha assunto un significato diverso, dal momento che questi elementi sono stati acquisiti universalmente.

Tuttavia il liberalismo della spontaneità ed il capitalismo competitivo non devono essere confusi con l’eterodirezione, dietro la quale è sempre presente l’idea di una direzione cosciente.

Il fenomeno del superamento degli Stati nazionali, inoltre, fa sì che si risvegli la dimensione sub-nazionale che, secondo alcuni, rappresenterebbe una dimensione intermedia tra quella regionale classica e quella nazionale, dando origine a comunità di rilevanza ?regionale?, non necessariamente appartenenti ad una stessa nazione.

 

 

 

Riflessione a cura del prof. Pietro TERNA

(Segretario Federpiemonte)

 

E’ doveroso ricordare che, nel tentativo di individuare le regole che determinino il funzionamento della società, affiorano radici diverse dalle scienze sociali: gli economisti, ad esempio, praticano una scienza ?dell’artificiale?, dal momento che si occupano del comportamento delle persone all’interno di una società che è stata costruita artificialmente. Tuttavia le grandi illusioni che hanno rischiato di travolgere le idee liberali nascono dalle scienze ?del naturale?.

Nel ?700 Simon de Laplace affermò che ?un’intelligenza che fosse in grado di conoscere in ogni istante le forze che governano la natura e la situazione di tutti i soggetti, saprebbe calcolare il futuro in ogni dettaglio e ricostruire il passato?. Da questa affermazione derivarono l’illusione della programmazione e l’idea, peraltro sbagliata, che esistesse una mente superiore onnisciente.

In realtà la natura, attraverso meccanismi selettivi, ha sviluppato sistemi di coordinamento e regole non troppo rigide; tuttavia il costo previsto per un pianificatore sembrerebbe troppo alto rispetto al disordine ordinato che spontaneamente si crea all’interno della società.

Nell’ambito di questa situazione di disordine creativo, la cultura occidentale ha favorito lo sviluppo dell’impresa che, essendo composta da uomini coordinati da un sistema di regole rigide e senza prezzi, effettua scambi sulla base di obiettivi economici e garantisce efficienza al risultato.

Nei mesi scorsi, infine, si è persa un’occasione per riformare la pubblica amministrazione ed, in particolare, l’art. 56 della Costituzione, che disciplina la possibilità di scelta tra pubblico e privato: la parola ?impresa? avrebbe potuto utilmente sostituire la parola ?privato? ma, in realtà, la nuova formulazione proposta ha eliminato persino il termine ?privato?, affermando che ?nel rispetto delle attività che possono essere adeguatamente svolte dall’autonoma iniziativa dei cittadini, anche attraverso le formazioni sociali, le funzioni pubbliche sono attribuite a Comuni, Province, Regioni e Stato?.

 

 

Riflessione a cura dell’avv. Piero VERNETTI

(già Segretario prov.le del P.L.I., capogruppo al Consiglio comunale di Novi Ligure per Forza Italia)

 

Vengono proposte alcune riflessioni e si sottolinea come vincoli costituzionali e chiare regole generali non siano necessariamente tra loro alternativi, ma possano risultare complementari nel momento in cui i primi diventino regole.

La società composita in cui viviamo esige che vi siano principi che regolino il vivere quotidiano sulla base di una Carta costituzionale; tuttavia i principi costituzionali devono sempre essere principi di libertà e la Costituzione non deve rappresentare un vincolo ma, piuttosto, uno stimolo affinché il cittadino possa esprimere il proprio pensiero.

L’Italia è caratterizzata da una situazione unica tra le democrazie occidentali, dovuta alla congerie di leggi che si richiamano e si contraddicono: del resto, la cattiva abitudine di legiferare in termini di rimando alla legislazione precedente o di sostituzione della norma, favorisce la creazione di veri e propri vincoli che rendono ormai inammissibile il principio secondo il quale l’ignoranza della legge non è scusabile. In questo modo si pone un problema di libertà per il cittadino, che conduce alla questione della delegificazione: delegificare non significa sostituire le leggi con regolamenti poiché, così facendo, non si risolverebbe il problema; sembrerebbe più utile, al contrario, ridare al cittadino fiducia nel proprio vivere sociale ed economico.

Quanto detto non si è verificato forse perché la ricchezza nazionale viene assorbita, per il 51%, dal settore pubblico e coloro che in esso lavorano non sono fautori di delegificazione. Questa situazione rischia di provocare un dualismo tra due modi di intendere i rapporti del vivere sociale: coloro che privilegiano l’individuo, inteso come motore ed animatore del vivere sociale e coloro che antepongono le regole alla capacità dell’individuo di costruire rapporti e sviluppare un valore aggiunto che viene definito ?progresso?.

Per concludere, si chiede se esistano strumenti che consentano di invertire questa tendenza e viene proposta, come possibile ipotesi risolutiva, una trasformazione della politica che, attraverso un salto di qualità, dovrebbe tornare al proprio significato originario di ?governo della città? ed elevarsi a ruolo di dettatura di regole generali.

 

 

 

 

PRINCIPALI  APPROFONDIMENTI  DEL  DIBATTITO

 

 

 

*  Sono stati proposti due esempi di situazioni che si stanno evolvendo da sistemi politici dirigistici, ossia la Russia e la Cina: nel primo caso sono state eliminate le regole, senza che ad esse si sostituisse un meccanismo spontaneo di aggiustamento; nel secondo caso si è tentato di liberalizzare il mercato, lasciando invariato il sistema politico. A questo proposito, è stato chiesto come si possa parlare di scambio e di incontro spontaneo, in un mondo in cui esistono aree culturalmente differenziate, caratterizzate da valori così diversi e naturalmente portate allo scontro (dr. R. Guala).

*  Sono state presentate alcune provocazioni: in primo luogo è stato chiesto se determinate scelte operate dall’uomo siano veramente frutto di spontaneismo; in secondo luogo, dal momento che in tutti gli Stati è presente una componente di economia gestita dagli organismi statali e che questa percentuale figura anche all’interno dell’economia liberale, è stato chiesto come la gestione di questo settore pubblico possa avvenire senza programmazione. Se si considera, inoltre, che anche l’impresa costituisce un esempio di autoritarismo ed è pianificata al suo interno (poiché programma sul lungo periodo e realizza sul breve), è stato chiesto come si possa trovare un punto di mediazione e come si possa affrontare il problema delle regole che gestiscono il consenso. La globalizzazione, del resto, richiede che vengano cambiate, in pochi anni, situazioni che in passato si sono modificate nel corso di secoli (dr. R. Lenti).

 

Þ     In materia di consenso occorre ricordare che la democrazia diretta non è praticabile nei casi di democrazia ?dei grandi numeri? nei quali, invece, si ricorre a meccanismi di rappresentanza. Tuttavia il potere dei rappresentanti può essere corretto tramite strumenti referendari, anche se è necessario stabilire i rapporti tra l’espressione diretta della volontà popolare attraverso il referendum e l’esercizio indiretto della stessa attraverso la rappresentanza (in Italia, purtroppo, si verifica una ?sistematica demolizione? di quanto stabilito dai cittadini). Il fatto che esista una percentuale dell’economia gestita dal settore pubblico, significa che in Italia sono particolarmente rilevanti, sia la presenza delle burocrazie, che la tendenza dei governanti a produrre disposizioni particolari: per questo motivo parrebbe utile ristudiare l’assetto dello Stato, ispirandosi al principio di sussidiarietà, che consente di definire ciò che è rimesso all’autonomia relativa, nell’ambito della società civile, e ciò che spetta alla sfera politica ed istituzionale. Per definire questa ?soglia?, che costituisce la prima delle garanzie costituzionali, è possibile fare riferimento al sistema politico, ossia alla sede in cui si provvede alle assegnazioni autoritative dei valori, stabilendo ciò che si può risolvere tramite transazioni private e ciò che deve essere rimesso all’autorità. Per fare questo occorrono anche un apparato amministrativo che sia in grado di assicurare condizioni di imparzialità ed una legge elettorale che sappia potenziare il ruolo dell’elettore marginale. A proposito dell’economia pubblica, è doveroso ricordare che il mondo occidentale sta costruendo il proprio avvenire sulle rovine dell’istituzionalizzazione delle tecniche keynesiane e che la caduta di questo sistema richiede una revisione del principio dell’economia mista, che non comporta necessariamente l’abbandono della programmazione. Per ?organizzare? bene occorre possedere le maggiori informazioni possibili, che un sistema autonomo e dotato di numerosi meccanismi automatici è in grado di fornire in modo migliore rispetto ad un sistema fortemente controllato. Attuare questa ?rivoluzione? e saper organizzare sulla base del principio di sussidiarietà consentirebbe di risolvere anche i problemi relativi alle leggi, che diventerebbero generali in rapporto a qualsiasi comunità. Per quanto riguarda, infine, i casi citati della Russia e della Cina, è doveroso dire che la cultura occidentale ci impedisce di ?guardare? un mondo in cui il senso della cittadinanza e delle garanzie dell’individuo non sono mai esistite (prof. Monti Bragadin).

Þ     Sono state proposte due considerazioni: la prima riguarda l’impresa che, pur essendo autoritaria e pianificata, pianifica su sé stessa e non sugli altri; la seconda si riferisce alla Russia ed alla Cina e sottolinea quanto risulti difficile comparare sistemi così diversi tra loro (prof. Terna).

 

E’ stato chiesto se le relazioni che hanno caratterizzato finora lo Stato democratico italiano non fossero incentrate, in realtà, sulla irresponsabilità personale, contrapposta alla cultura della responsabilità tipica del pensiero liberale; come sia possibile condurre i sistemi di educazione nella direzione auspicata e fino a che punto i singoli individui siano in grado, volendo, di boicottare il cambiamento (dr. L. Rainero).

La storia delle idee ha richiesto tempi lunghi, nel corso dei quali si sono avute molte vittime. Sembrerebbe opportuno rivalutare, nell’ambito dei programmi scolastici, lo spirito di avventura e di rischio che, in passato, ha guidato l’umanità e che consentirebbe di acquisire responsabilità. L’iniziazione scolastica, infatti, non deve riguardare solo lo studio delle nuove tecnologie, ma deve permettere anche di conseguire coraggio e speranza (dr.ssa L. Martinetti).

 

Þ     Nell’ambito del capitalismo concorrenziale è possibile individuare un elemento tipicamente liberale, rappresentato dal fatto che i beni, invece di essere destinati al consumo, venivano destinati alla produzione, al fine di trasformare ed incrementare ciò che già si possedeva: tuttavia questa situazione ha comportato aspetti di sfruttamento fortemente illiberali. L’equilibrio, che costituisce l’essenza del liberalismo, fa sì che si possa individuare il contrappeso che consente di far fronte allo sbilanciamento, che rischia di determinarsi in seguito agli aggiustamenti automatici. Un esempio di contrappeso è stato fornito dall’inquadramento collettivo sindacale: il liberalismo, infatti, insegna che il sindacalismo costituisce una forza di libertà, poiché ha permesso agli individui di associarsi liberamente e ha trasformato il ?numero? in una disponibilità, convertibile in una modalità di azione. Per quanto riguarda lo Stato, la natura degli interventi che esso deve attuare deve rispondere alla logica del principio di sussidiarietà. Il mercato, ad esempio, rappresenta la massima aspirazione di libertà e giustizia, dal momento che è un meccanismo impersonale che impedisce i privilegi e necessita di essere mantenuto libero, tramite una legislazione generale. La globalizzazione, introducendo un contesto multiculturale, richiede che si investa maggiormente sul sistema formativo ed educativo e che venga aumentata la capacità di dialogo, nel tentativo di sconfiggere l’egoismo e di evitare conflitti tra civiltà diverse. Parrebbe opportuno, quindi, creare un ?governo del mondo? ed una struttura federativa, in cui l’autorità venisse graduata secondo il principio di sussidiarietà. In questo modo si realizzerebbero gli Stati-regione, ossia unità economiche, non politiche, che costituirebbero potenti propulsori di sviluppo: si tratterebbe, in sintesi, di entità sub-nazionali, dotate di dimensioni geografiche e demografiche ben definite e contenenti al proprio interno diversi Stati-nazione. La riforma, di conseguenza, deve avvenire in senso federale perché, solo così facendo, gli Stati-nazione potrebbero ancora svolgere un ruolo vitale (prof. Monti Bragadin).   

 

 

 

 

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