Per esaminare il tema proposto si ritiene doveroso procedere attraverso un’analisi che permetta di focalizzare l’attenzione preliminarmente sulla storia del mondo islamico nei suoi diversi aspetti (in particolare, a partire dal secondo dopoguerra), per poi delineare i tratti salienti del rapporto conflittuale fra Islam ed Occidente e le sue eventuali soluzioni. Ciò detto, la prima considerazione che merita di essere richiamata riguarda il cambiamento degli atteggiamenti riscontrabile tra gli islamici dagli anni Settanta a oggi: un’evoluzione del pensiero religioso e dei suoi risvolti politico-sociali che sicuramente ha contribuito a rendere questa fine del xx secolo complessa e problematica, così come ha indotto un famoso studioso statunitense, Samuel Huntington, ad approfondire la que­stione della prefigurazione degli scenari futuri dell’ordine mondiale post-bipolare ponendo particolare attenzione al tema del rapporto fra le diverse forme di civiltà.

Più precisamente, nel 1993 Huntington pubblicava un articolo dal titolo «Scontro fra le civilizzazioni?» che co­stituiva il punto di partenza nella redazione del celebre libro intitolato «Lo scontro delle civiltà», pubblicato nel 1996 (e in italiano, per i tipi della Garzanti), in cui rispetto all’articolo veniva eliminato il punto interrogativo, en­fatizzando in questo modo come la questione delle ipotesi di convivenza fra le diverse civiltà non poteva non tenere nella giusta considerazione il fatto della significativa crescita, nei sistemi politico-religiosi, del fenomeno del fon­damentalismo.

 

Entrando nel vivo delle questioni e focalizzandoci sul tema della serata ? il rapporto Occidente/Islam a prescin­dere dal riferimento alle altre civiltà oggi presenti nell’ambito mondiale ? si può notare come progressivamente siano emerse due letture assai diverse dell’Islam. Da un lato, negli anni Sessanta e Settanta, la ricca bibliografia franco-inglese, opera di autori mussulmani, sosteneva abbastanza diffusamente che l’Islam fosse tollerante e che i momenti di difficoltà con l’Occidente (in cui emergevano valutazioni e comportamenti di carattere più accentua­tamente fondamentalista) fossero il risultato di una situazione temporanea; dall’altro lato, in questi ultimi anni un numero sempre crescente di autori sostiene che l’Islam stia svelando il suo vero volto e che siano improprie tutte le varie ipotesi di pacifica possibilità di confronto e addirittura di integrazione.

In effetti, offrono molti spunti di riflessione ? e di conferma dei timori che prevalga questa seconda linea inter­pretativa ? le considerazioni del Vescovo mons. Giuseppe Bernardini durante un recente Sinodo dei vescovi a Roma. Ha raccontato infatti che, nel corso di un incontro ufficiale sul dialogo islamo-cristiano, un autorevole per­sonaggio mussulmano, rivolgendosi ai partecipanti cristiani, ha detto «Grazie alle vostre leggi democratiche vi in­vaderemo, grazie alle nostre leggi religiose vi domineremo». Di fronte a tale dichiarazione, mons. Bernardini si è posto il quesito, sicuramente di estremo interesse e attualità, se il confronto islamo-cristiano sia un «dialogo fra sordi» oppure sia in grado di mostrare qualità positive. Nonostante gli incontri tra il Vaticano e i rappresentanti del mondo islamico siano stati di fatto sospesi per incompatibilità di linguaggi, egli è giunto alla conclusione che possa in teoria prospettarsi ancora un dialogo aperto, in cui le parti non si dimostrino indifferenti bensì sensibili al problema della convivenza fra i rispettivi mondi di appartenenza, sebbene sia evidente che termini come «dialogo», «reciprocità», «diritti dell’uomo» e «democrazia» abbiano per i mussulmani un significato differente da quello ha per noi occidentali.

La ratio delle considerazioni di mons. Bernardini è molto probabilmente quella di indurre il mondo cristiano a riflettere seriamente in ordine al problema della differenza delle culture; in particolare, evidenziare l’errore nel quale incorrerebbero i cristiani qualora concedessero le proprie chiese per la preghiera islamica: un errore che po­trebbe compromettere considerevolmente la proficuità del dialogo islamo-cristiano e un errore particolarmente grave, se solo si considera come nella cultura islamica la cessione, da parte dei fedeli di una qualsiasi religione, del proprio luogo di culto ? luogo della presenza del divino ? ai fedeli di un’altra religione è segno definitivo di totale apostasia da parte dei primi.

 

Un secondo elemento da considerare riguarda l’esame del panorama degli eventi che hanno caratterizzato la storia del mondo islamico dal secondo dopoguerra ad oggi. Nell’analizzare la situazione internazionale è possibile riscontrare un elemento che conferma quanto detto da mons. Bernardini: da un lato, attualmente, in Germania e in Gran Bretagna vi sono circa un migliaio di moschee mentre vent’anni fa non superavano le venti unità; dall’altro lato, nei Paesi islamici sussiste un clima alquanto intollerante nei confronti delle religioni diverse da quella mus­sulmana. Rappresentano esempi evidenti di tale situazione:

 

·       l’Arabia Saudita, in cui è severamente proibito qualsiasi culto che non sia quello mussulmano ed è prevista la condanna a morte per apostasia;

·       il Sudan, in cui il massacro delle popolazioni cristiane del Sud dura ormai da vent’anni;

·       l’Egitto, in cui i copti rischiano sempre più frequentemente di essere assassinati;

·       il Pakistan, in cui i cristiani possono essere condannati a morte per una presunta bestemmia contro il Co­rano;

·       l’Indonesia e le Filippine, in cui i cattolici ? anche laddove costituiscono la maggioranza ? devono difendersi sempre più frequentemente dalle violenze della minoranza islamica.

 

Direttamente connesso a ciò, è la fuga ininterrotta, da trent’anni a questa parte, di cristiani ed ebrei da quasi tutti i Paesi arabi: si pensi, a mo’ di esempio, ad alcune città della Siria in cui fino a cinquanta anni fa i cristiani costituivano la metà della popolazione mentre oggi ne rappresentano solamente un decimo.

 

Tuttavia, questa situazione sopravviene a un tempo in cui non era assolutamente così; infatti, fino al secondo dopoguerra, nella gran parte dei Paesi arabi una cospicua presenza di ebrei e cristiani conviveva (quasi) serena­mente con arabi e mussulmani (si pensi alla situazione del Marocco, della Tunisia, dell’Algeria), mentre solamente con le guerre che seguirono la nascita dello Stato di Israele si è scatenata la lotta contro gli ebrei e le altre mino­ranze non mussulmane. Per altro verso, dopo una breve ripresa del dialogo islamo-cristiano a seguito del Concilio Vaticano II, nel 1976 il Vaticano e i rappresentanti del mondo islamico hanno deciso di sospendere la promozione di incontri periodici poiché, a causa dei «linguaggi differenti», si stava procedendo verso un «dialogo fra sordi» tra cristiani e islamici.

Alla luce di un tale rapporto conflittuale ? caratterizzato dall’alternanza di periodi di apertura al dialogo a quelli di totale indifferenza ? se, da un lato, alcuni hanno ipotizzato che l’unica possibile soluzione alla questione potesse essere individuata nella ricerca di una forma di «coabitazione non-violenta», altri avevano ben presente che in passato (a cavallo degli anni Sessanta e Settanta) uno come Mohamed Arkoun ? uno dei maggiori studiosi dell’Islam, che viveva in Francia, ma era di origine egiziana ? in una serie di scritti di grande interesse aveva ana­lizzato la possibilità di avviare addirittura una laicizzazione dell’Islam, intendendo per «laicizzazione» il feno­meno prodotto dalla modernità occidentale, il cui tratto saliente era proprio la distinzione fra religione e politica (e, di conseguenza, l’accettazione di determinati presupposti politici senza incorrere nel rischio di infrangere il mo­dello religioso) al fine di instaurare con l’Occidente forme di convivenza più durature e soprattutto più profonde .

 

Continuando l’analisi degli eventi rilevanti nella storia del pensiero politico-religioso del mondo islamico negli ultimi cinquant’anni, è inoltre possibile riscontrare come i rapporti con le altre culture e civiltà, per quanto ab­biano iniziato a incrinarsi già nel corso degli anni Settanta, soltanto nel decennio successivo si siano significativa­mente deteriorati tanto da indurre autorevoli commentatori, fino allora ottimisti, a sospettare che il problema dei rapporti tra Occidente cristiano e Islam potesse drasticamente divenire irrisolvibile.

Per una migliore focalizzazione di queste considerazioni ? e per comprendere come in ogni caso la questione rimanga non solo delicata da un punto di vista politico-sociale ma anche assai complessa e differenziata nelle po­sizioni da un punto di vista filosofico-religioso ? può essere utile riflettere a questo punto sul discorso tenuto da Mohamed Talbì in occasione del conferimento del premio della Fondazione Agnelli per aver contribuito al pro­gresso del pensiero politologico e filosofico. Il discorso, intitolato «Il dialogo, la tolleranza e la bioetica», muove invero dal presupposto che il pensiero arabo-mussulmano non sia privo di risorse per fecondare, su scala univer­sale, i valori della libertà e della dignità umana e per ricordare a ognuno il dovere di farsi carico di sé pienamente e di assumere se stesso interamente davanti alla propria coscienza.

Dopo un’attenta analisi, Talbì giunge peraltro alla conclusione che oggi per l’intellettuale arabo-mussulmano ? sempre più terrorizzato a causa dell’aumento delle posizioni fondamentaliste anche a livello di governo del proprio Paese islamico ? sia particolarmente difficile svolgere il proprio ruolo di ricerca scientifica della verità e di inter­azione con le altre culture non-islamiche. Inoltre, rivolgendosi al mondo occidentale, Talbì arriva ad affermare come «nel dialogo fra gli universi culturali e l’Occidente forte e libero, al di là dei piccoli interessi materiali che spesso orientano la sua politica giorno per giorno, l’Occidente deve porre attenzione al fatto che ogni attentato contro lo spirito di uno specifico universo culturale è anche un attentato contro lo spirito in tutti gli universi cultu­rali».

Nel delineare, seppur sommariamente, questo scenario di difficoltà/rifiuto del riconoscimento da parte della cultura islamica rispetto a quella occidentale, è chiaro quanto sia oltremodo importante focalizzare adeguatamente le motivazioni sottese a questa situazione, delineando almeno tre approcci emblematici della storia fra Islam e Oc­cidente, ossia:

 

·         l’iniziale sguardo interessato all’Occidente;

·         la successiva percezione dell’ambiguità del modello rappresentato dall’Occidente;

·         l’attuale rifiuto dell’Occidente.

 

Per quanto riguarda il primo approccio (storicamente collocabile nella prima metà del xix secolo), a fronte delle conquiste territoriali e delle evidenti vittorie degli Occidentali contro le popolazioni islamiche, queste ultime non faticarono a spiegare il merito dei continui successi bellici come risultato dell’uso di strumenti tecnologici di cui esse, al contrario, erano sprovviste. Conseguentemente, il mondo islamico cominciò dunque a ritenere che l’unico metodo per potersi opporre efficacemente al dominio occidentale consistesse nell’utilizzare proprio i suoi stessi strumenti, imparandone la tecnologia e acquisendo la cultura ad essa sottesa, in una logica di apertura convinta sebbene orientata in termini strumentali e utilitaristico-egemonici.

Tuttavia, a questa prima fase storica ? che ha come conseguenza i viaggi, lo studio e l’importazione di tecnolo­gie e modelli occidentali da parte delle élite islamiche ? è via via subentrato un secondo approccio valutativo, maggiormente sensibile all’individuazione dei rischi insiti nella contaminazione con la modernità occidentale e, in generale, più incline a enfatizzare l’ambiguità e la «non-purezza» del riferimento al paradigma socio-econo­mico-culturale dell’Occidente. È questa in fondo la tesi sostenuta ad esempio da Al Afghani, secondo cui gli stru­menti tecnologici e la cultura occidentale sarebbero due elementi intrinsecamente non separabili: di conseguenza, acquisendo gli uni verrebbe inevitabilmente assunta anche la seconda la quale, peraltro, diventa progressiva­mente «atea» a causa dell’abbandono dei criteri religiosi nella lettura della storia dell’umanità.

Infine, è possibile individuare un terzo approccio (che storicamente corrisponde a una terza fase nei rapporti tra Islam e Occidente, di cui attualmente stiamo vedendo chiaramente le peculiarità e gli effetti). Si tratta di un atteg­giamento che può essere sintetizzato nell’affermazione di un Islam radicalmente «contro l’Occidente» e che si specifica nel momento in cui gli intellettuali e le élite al potere nei Paesi musulmani prendono coscienza del fatto che la «natura» della modernità (verso cui si stava in qualche modo progressivamente tendendo ? modernità che non viene rifiutata come obiettivo politico-sociale da raggiungere), avrebbe dovuto necessariamente essere carat­terizzata non già dal riferimento a modelli culturali e a costumi occidentali, bensì tipicamente islamici, se si mi­rava a evitare la trasformazione della comunità islamica in una comunità intrinsecamente atea quale quella occi­dentale in cui l’affermazione di credenza (cristiana) non era altro che «pura parola».

In perfetta sintonia con questa linea di pensiero, uno studioso egiziano, Al Bannà, fonda già nel 1928 una delle più importanti associazioni del mondo islamico, cui assegna anche un nome che negli anni successivi diviene as­solutamente paradigmatico: «La Confraternita dei Fratelli Mussulmani». Nella premessa (particolarmente signi­ficativa) al testo fondativo di questa associazione, l’autore analizza come l’attenzione dei popoli islamici al mondo occidentale e alla sua tecnologia abbia portato quale conseguenza l’ingresso del materialismo nelle terre dell’Islam. Si riportano alcune frasi di tale testo poiché sintetizzano chiaramente queste valutazioni:

 

«Sono venuti da noi, ci hanno ingannato, hanno coinvolto i nostri leader, hanno importato in queste regioni le loro donne seminude e poi i loro liquori, i loro teatri, le loro sale da ballo, i loro divertimenti, le loro sto­rie, i loro giornali, i loro romanzi, i loro capricci e i loro stupidi giochi.

Hanno consentito (nelle nostre terre) crimini che nei loro paesi non erano tollerabili e hanno fatto bella mo­stra di questo mondo frivolo, trasudante peccato, agli occhi delusi e ingenui dei mussulmani ricchi e presti­giosi, di quelli nobili e potenti. Come se tutto ciò non bastasse, hanno fondato scuole e istituzioni culturali e scientifiche nel cuore stesso del territorio dell’Islam, seminando il dubbio e l’eresia dell’animo dei suoi figli e insegnando ad umiliarsi, a disprezzare la propria religione, la propria patria ecc.».

«Credo che ogni cosa appartiene a Dio, che il nostro maestro Maometto, che la benedizione sia con Lui, è l’ultimo profeta inviato a tutti gli uomini, che il Corano è il libro di Allah e che l’Islam è una legge generale dell’ordine di questo mondo e dell’aldilà».

«Credo che il Mussulmano ha il dovere di far rivivere la gloria dell’Islam attraverso la rinascita dei suoi popoli e la restaurazione della sua legislazione».

«Credo che la bandiera dell’Islam debba dominare l’umanità e che il dovere di ogni mussulmano consiste nell’educare il mondo secondo le regole dell’Islam. Io mi impegno a lottare finché vivo per realizzare questa missione, adesso sacrificando tutto ciò che possiedo».

«Credo che il segreto del ritardo dei Mussulmani sta nel loro allontanamento dalla religione, che la base della riforma consisterà nel ritornare agli insegnamenti dell’Islam e ai suoi giudizi e che questo è possibile se i Mussulmani operano in questo senso».

 

Con il trascorrere del tempo, dalla Confraternita sono nate due linee di pensiero: l’una tollerante-moderata ? che credeva alla guerra santa di carattere spirituale, in cui si riconosceva lo stesso Al Banà ? l’altra facente capo a Said Qutb (insegnante elementare, nato nel 1906, che ha compiuto i suoi studi negli Stati Uniti) il quale con le sue idee ha contribuito a far compiere al pensiero islamico un salto qualitativo, decisivo nei futuri rapporti con le reli­gioni non mussulmane. Infatti, Said Qutb riteneva che il vero pericolo per l’Islam non fossero gli infedeli bensì gli eretici, poiché mentre ai primi Allah non ha dato la sua luce (e di tale scelta non è possibile attribuire loro alcuna colpa), al contrario gli eretici erano a tutti gli effetti mussulmani, che dunque avevano ricevuto la luce di Allah, ma che l’avevano abbandonata. Alla luce di queste considerazioni Qutb giungeva alla conclusione (ed è questo il salto di qualità) che si dovesse ricorrere alla «guerra santa» contro i musulmani che avessero tradito, non con­tro i cristiani e gli ebrei.

 

Autorevoli esperti di queste problematiche sostengono che negli anni Ottanta, nel mondo islamico, siano avve­nuti effettivamente profondi cambiamenti; più specificamente, pare indubbio che si sia iniziato a prendere co­scienza del fatto che i governi fossero in qualche modo così succubi della modernizzazione occidentale a tal punto da utilizzare strumenti e modelli politici del tutto analoghi a quelli occidentali. Di conseguenza, si è cominciato a pensare il processo di «re-islamizzazione dal basso» come una possibile soluzione al problema della contami­nazione da parte della modernità occidentale. Sul piano pratico tale processo si è tradotto in alcune sostanziali modifiche di strategia individuabili, da un lato, nella nascita di molte organizzazioni, sia a livello ultra-ortodosso sia a livello terroristico; dall’altro, nel tentativo di rioccupare islamicamente la vita politica. Si pensi, ad esempio, alla presentazione alle elezioni, per la prima volta, della lista dei Fratelli Mussulmani in Egitto e alla crescita della linea fondamentalistica islamica (fino alla vincita delle elezioni) in Algeria.

La ragione di tale fervore e lo scopo politico-pratico sotteso a tale processo di re-islamizzazione dal basso è in­dividuabile nella creazione di quartieri totalmente islamizzati, ossia che prevedano il rispetto di tutti gli elementi fondamentali del culto islamico ? come l’obbligo del velo per le donne, l’abolizione delle scuole miste, il divieto di ascoltare musica occidentale, di bere alcolici e di giocare d’azzardo ecc.

Infine, si rileva che tentativi analoghi sono stati compiuti non solo nei Paesi arabi, ma anche in Europa (per esempio in Francia, in alcune periferie delle grandi città). Un modesto ma significativo esempio della portata di tali questioni è la controversia, in corso proprio in questi giorni, tra la comunità islamica e la Questura di Torino circa la possibilità/dovere per le donne musulmane di indossare lo chador (il foulard che copre i capelli, chiuso sotto il mento) anche nelle foto per i documenti di riconoscimento. In realtà, il problema vero non è tanto il foulard quanto, stando alle autorevoli dichiarazioni del responsabile della comunità islamica del capoluogo piemontese, il fatto che nessuna legge italiana potrà mai costringerli a non rispettare la loro religione e che nessun islamico sarà mai disposto ad accettare leggi italiane contrarie ai principi del loro credo.

 

Ciò detto, molti invero sostengono che per comprendere appieno la svolta verso un progressivo «rifiuto dell’Occidente», accentuatasi in particolare nel corso degli anni Ottanta, sia necessario considerare come per l’Islam la nozione dei diritti universali dell’uomo e i concetti di tolleranza e integrazione pacifica fra civiltà diverse paiano essere tutt’altra cosa da come essi vengono concepiti dalla cultura giuridica e teologica occidentale.

Pertanto, volendo comunque prefigurare una prospettiva di recupero dei rapporti tra Occidente e Islam im­prontata ai valori della pace (o quantomeno della coabitazione non-conflittuale nel medesimo «villaggio globale») si è convinti dell’assoluta necessità, rebus sic stantibus, di ricercare preliminarmente ogni forma e occasione di conoscenza e di confronto su ciò che distingue e su ciò che accomuna le due forme di civiltà, all’interno di una lo­gica di profondo rispetto dell’altrui diversità e, solo successivamente, adoperarsi per rendere possibile (oltre che drammaticamente necessario) l’individuazione consensuale delle formulazioni di principi e diritti minimi fonda­mentali che siano accettati, almeno orientativamente, da tutti. In fondo, è questo il nodo fondamentale su cui me­rita soffermarsi analizzando le prospettive del confronto fra Islam e Occidente: un nodo che si esplicita nella que­stione del grado di riconoscimento del principio di reciprocità sancito e applicato fra le due forme di civiltà e nella connessa questione relativa al «fino a quando» le società occidentali accetteranno che i propri governi concedano privilegi (economici) agli Stati teocratici islamici senza richiedere loro l’adeguato riconoscimento della clausola di reciprocità nei confronti dei cittadini e dei religiosi occidentali.

 

A conclusione di questa analisi, pare opportuno introdurre ancora alcune illuminanti considerazioni di Samuel Huntington, tratte dal libro «Lo scontro delle civiltà» precedentemente citato:

 

«La possibilità di scongiurare una guerra globale tra opposte civiltà dipende dalla disponibilità dei gover­nanti del mondo ad accettare la natura ?a più civiltà? del quadro politico mondiale e a cooperare alla sua preservazione».

 

«Il vero problema per l’Occidente non è il fondamentalismo islamico, ma l’Islam in quanto tale, una civiltà diversa, le cui popolazioni sono convinte della superiorità della propria cultura e ossessionate dallo scarso potere di cui dispongono. Il vero problema dell’Islam non è la Cia o il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, ma l’Occidente, una civiltà diversa le cui popolazioni sono convinte del carattere universale della propria cultura e credono che il maggiore ? seppure decrescente ? potere detenuto imponga l’obbligo di di­fendere quella cultura in tutto il mondo. Sono questi gli ingredienti di base che aumentano la conflittualità fra Islam e Occidente».

 

 

 




 

 

PRINCIPALI APPROFONDIMENTI DEL DIBATTITO

 

 

 

v        Si domanda se, nell’elenco delle motivazioni che inducono a un afflusso «di massa» verso i fondamentali­smi, vi siano anche motivazioni di carattere eminentemente economico (dr. G. Manzone)

v        Si osserva che nei Paesi nucleari avanzati la popolazione cresce ad un tasso medio dello 0,2%, mentre nei Paesi islamici il tasso di crescita è del 3%; ciò significa che nei prossimi 35 anni la popolazione mondiale potrebbe raggiungere la soglia dei 12 miliardi. Si rileva inoltre che fino ad ora potrebbero essere ipotizzati tre tipi di contaminazioni virali positive, ossia tre modalità di interagire con fattori che potrebbero in­fluenzare positivamente la cultura islamica più retrograda e anti-occidentale. Più specificamente, essi par­rebbero legati al:

 

Ÿ         ruolo della donna, il quale secondo le posizioni islamiche più integraliste è sostanzialmente equipara­bile a quello degli schiavi. Potrebbe costituire un felice infezione virale dell’Occidente entrare in con­tatto con le donne islamiche e mostrare loro i grandissimi passi compiuti dalle donne occidentali negli ultimi cinquant’anni e quali conseguenze abbiano avuto sul loro stile di vita;

Ÿ         la tecnologia: a esempio considerando come le antenne paraboliche trasmettano regolarmente le im­magini relative alla vita e alle consuetudini proprie delle culture diverse, in primis occidentale e poco occorre per installare anche negli angoli più remoti una parabolica collegata ad un televisore: oltre a questi due mezzi tecnologici serve solo l’allacciamento alla rete elettrica che comunque si sta sempre più diffondendo in tutto il mondo musulmano e rende difficile ai governi controllarne l’uso da parte dei singoli utenti privati;

Ÿ         internet: strumento che, valendo quanto appena esposto a proposito dell’inevitabile aumento di dota­zione tecnologica anche nei Paesi islamici, consente di comunicare da individuo ad individuo in asso­luta assenza di controllo in ordine all’oggetto dello scambio.

 

Si chiede pertanto in quale misura i suddetti agenti virali siano in grado di influenzare efficacemente la cultura islamica attuale (prof. B. Soro).

 

Ø                  Non è così immediata l’identificazione fra classe diseredata (dunque con forti problemi economici) e fondamentalismo, ne è prova il fatto che lo stesso Al Bannà venisse dalla classe dirigente. È certa­mente una forma di identificazione, un modo per sentirsi uniti e compensare certe mancanze. Tuttavia, non va dimenticata la riflessione in ordine al «bagaglio culturale» portato nelle terre dell’Islam dalla classe dirigente formatasi in Europa nel corso del secondo dopoguerra.

Ø                  Il vincitore del premio della Fondazione Agnelli, nel suo discorso esortava gli occidentali ad aiutare i musulmani a superare determinati momenti di crisi individuando punti rilevanti, grazie ai quali po­tesse verificarsi un progresso. Due circostanze, attualmente riscontrabili, sono indicative dell’indifferenza a ogni cambiamento nel mondo islamico: da un lato, il ruolo della donna che, dopo un periodo di affermazione e di riconoscimento della propria funzione sociale, sta progressivamente tornando a posizioni di inferiorità; dall’altro il divieto, in alcuni quartieri algerini, di usare le an­tenne paraboliche.

 

v        Si chiede se nella contrapposizione fra civiltà islamica e occidentale siano coinvolte anche le problemati­che economiche. In secondo luogo, si osserva che il mondo islamico non è uniforme; geograficamente l’Islam è diffuso in regioni molto diverse e al suo interno sono individuabili forme diverse. Nello stesso Corano, accanto ai testi sulla guerra santa, ve ne sono altri che parlano dell’accoglienza verso lo straniero. Si domanda, dunque, se esistano delle alternative anche nel mondo islamico (prof. M. Arnoldi).

v        Si chiede di precisare il significato che, nella cultura islamica, assume il termine democrazia (prof.ssa M.G. Caldirola)

 

Ø                  Una civiltà ha fra i suoi elementi essenziali gli aspetti economici, dunque è inevitabile che in un con­flitto fra culture siano coinvolti anche tali elementi. Si sottolinea come nel mondo occidentale vi sia una forte distinzione fra modelli economici e culturali mentre in quello islamico esista una forte com­penetrazione fra i vari sistemi (culturale, religioso, economico, ecc.) nonostante le naturali differenze fra loro esistenti. Alla luce delle considerazioni appena compiute, risulta rilevante il fatto che recen­temente, a Torino, si sia discusso circa l’apertura di uno sportello bancario islamico, in quanto con­segue al tentativo di trovare un metodo per permettere ai musulmani di seguire i propri orientamenti religiosi senza escluderli da un rapporto commerciale con un altro Paese.

Ø                  Nel mondo islamico il termine democrazia assume un significato molto diverso da quello attribuitogli in Occidente, sebbene non sia del tutto assente il problema della ratifica del capo, ossia la garanzia della legittimità (del capo) rappresenta, anche per la cultura islamica, l’assenso della comunità. In­fatti, Nasser che si era dimesso perché sconfitto da Israele, ha sentito nuovamente la legittimazione del suo potere nel momento in cui la comunità islamica (composta da due milioni di Egiziani) gli ha chiesto di restare al potere.

 

v      Si chiede in quale posizione si trovi il fondamentalismo islamico di fronte all’Occidente; in particolare se sia un prodotto autoctono della civiltà islamica che sta crescendo autonomamente oppure sia stato proprio l’Occidente a favorire la nascita dell’integralismo islamico. Inoltre, a fronte della situazione (molto preoc­cupante) delineata nel corso della relazione, si domanda se, in tempi brevi, l’Occidente possa attuare una politica diversa da quella del contenimento (prof. G. Rinaldi).

v      Si chiede quale giudizio possano aver maturato gli Occidentali del loro modello di secolarizzazione e, qua­lora sia positivo, per quale motivo non abbiano ancora tratto determinate conseguenze (dr. G. Guala).

 

Ø                  L’Occidente ha sicuramente favorito la nascita dell’integralismo islamico. Per fronteggiare la preoc­cupante situazione, che si sta progressivamente delineando, i governi, nei tempi brevi, saranno co­stretti a scegliere la politica di contenimento se, al più presto, non si cercherà di creare una cultura differente. Sui tempi lunghi il discorso storico conferisce maggiore ottimismo; si spera, infatti, che ritornino i periodi in cui i rapporti fra mondo islamico e Occidente erano certamente più pacifici.

Ø                  Negli ultimi tempi stanno diventando di senso comune due interrogativi che sono collegabili fra di loro: da un lato, ci si domanda se essere contenti della cultura secolarizzante, che il mondo occiden­tale ha creato, significa essere felici di aver prodotto degli spazi religiosi che non sono «determinanti» rispetto agli spazi laici, oppure essere soddisfatti di aver portato una quasi definitiva cancellazione della religione. Dall’altro lato, ci si interroga sulla natura di un rapporto con un sog­getto (la comunità islamica presente stabilmente nell’Occidente) che non sarà mai secolarizzabile perché ritiene che l’Islam non perderebbe di senso se divenisse vittima del processo di modernizza­zione-secolarizzazione. È, a questo proposito, in effetti molto significativo del recupero di una forte identità islamica il fatto che, nei quartieri francesi in cui vi è una forte presenza di musulmani, alcuni credenti cristiani, da parte loro, si riorganizzino per creare occasioni idonee a «risentire» orgoglio­samente la propria identità di fede e si è convinti che eventi come quello appena descritto possano ef­fettivamente indurre a ripensare in termini nuovi (ma reali) al significato e alla portata politico-so­ciale dell’applicazione del principio dell’accoglienza del diverso.

 

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