Nell’ambito delle materie cosiddette ?sociali? la Corte Costituzionale è stata chiamata a valutare l’ammissibilità di dodici quesiti referendari ? aventi rispettivamente ad oggetto l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, le ritenute d’acconto sui redditi da lavoro, le pensioni di anzianità, gli istituti di patronato e assistenza sociale, il collocamento al lavoro, il part-time, il lavoro a domicilio; i contratti di lavoro a tempo determinato, le trattenute associative e sindacali e i licenziamenti ? dei quali soltanto gli ultimi due sono stati dichiarati ammissibili, gli altri bocciati prevalentemente perché non presentavano caratteri adeguati alla Costituzione o al sistema delle regole approvate dall’Unione Europea.

Il referendum abrogativo sui licenziamenti – di particolare rilevanza per il suo significato di indirizzo programmatico verso il liberismo della società italiana – investe l’articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n.300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), nel testo vigente quale risulta dalle modifiche apportate dall’articolo 1 della legge 11 maggio 1990, n.108 (Disciplina dei licenziamenti individuali):

?Ferma restando l’esperibilità delle procedure previste dall’articolo 7 della Legge 15 luglio 1966 n. 604, il giudice con la sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento ai sensi dell’articolo 2 della predetta legge o annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo, ovvero ne dichiara la nullità a norma della legge stessa, ordina al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici prestatori di lavoro o più di cinque se trattasi di imprenditore agricolo, di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro. Tali disposizioni si applicano altresì ai datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori, che nell’ambito dello stesso comune occupano più di quindici dipendenti ed alle imprese agricole che nel medesimo ambito territoriale occupano più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa alle sue dipendenze più di sessanta prestatori di lavoro.

Ai fini del computo del numero dei prestatori di lavoro si tiene conto anche dei lavoratori assunti con contratto di formazione e lavoro, dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato parziale, per la quota di orario effettivamente svolto, tenendo conto, a tale proposito, che il computo delle unità lavorative fa riferimento all’orario previsto dalla contrattazione collettiva del settore. Non si computano il coniuge ed i parenti del datore di lavoro entro il secondo grado in linea diretta e in linea collaterale.

Il computo dei limiti occupazionali non incide su norme o istituti che prevedono agevolazioni finanziarie o creditizie.

Il giudice con la sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata l’inefficacia o l’invalidità stabilendo un’indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione e al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dal momento del licenziamento al momento dell’effettiva reintegrazione; in ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione globale di fatto.

Fermo restando il diritto al risarcimento del danno al prestatore di lavoro è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro un’indennità pari a quindici mensilità di retribuzione globale di fatto. Qualora il lavoratore entro trenta giorni dal ricevimento dell’invito del datore di lavoro non abbia ripreso il servizio, né abbia richiesto entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza il pagamento dell’indennità di cui al presente comma, il rapporto di lavoro si intende risolto allo spirare dei termini predetti.

La sentenza pronunciata nel giudizio in cui si dibatte circa l’inefficacia del licenziamento è provvisoriamente esecutiva?.

Si è convinti che la disposizione oggetto del quesito costituisca l’espressione della civiltà giuridica e di lavoro poiché prevede la cd. tutela reale contro il licenziamento, il cui tratto fondamentale sembra essere rappresentato dal potere del giudice nei casi di recesso inefficace, nullo o ingiustificato, di ordinare al datore di lavoro di reintegrare il dipendente nel posto di lavoro e corrispondergli un’indennità dal giorno del licenziamento a quello dell’effettiva reintegrazione.

Obiettivo dei promotori del referendum pare essere proprio l’abrogazione, fermo restando il risarcimento patrimoniale, dell’obbligo di riassunzione del lavoratore licenziato perché considerato un vincolo disincentivante alla creazione di nuovi posti di lavoro. Infatti tale referendum si propone di abolire la reintegrazione nel posto di lavoro nei casi di licenziamento senza giusta causa nelle aziende con più di quindici dipendenti di conseguenza in caso di approvazione del quesito il lavoratore potrebbe venire licenziato senza giustificazione ottenendo semplicemente una indennità che oscilla da 2,5 a 6 mensilità per rapporti di lavoro protrattasi nel tempo.

Si ritiene peraltro opportuno rammentare brevemente in prospettiva diacronica, come l’originaria normativa del codice civile del 1942 contemplasse la piena libertà di recesso (c.d. recesso ad nutum) del datore di lavoro nel rapporto a tempo indeterminato, con il limite dell’obbligo di preavviso, ovvero della corresponsione di un’indennità sostitutiva (art. 2118 cod. civ.); obbligo che, peraltro, veniva meno in presenza di una giusta causa di risoluzione del rapporto lavorativo, tale da non consentirne la prosecuzione, anche provvisoria (art. 2119 cod. civ.).

Detta disciplina sopravvisse, nella sua generale portata, sino alla legge 15 luglio 1966, n. 604, con la quale fu introdotto il diverso principio di necessaria giustificazione del licenziamento, richiedendosi a tal fine che l’atto di recesso del datore di lavoro fosse, comunque, sorretto da una ?giusta causa? (art. 2119 cod. civ.) ovvero da un ?giustificato motivo? (art. 3 della legge n. 604 del 1966), alla cui insussistenza conseguiva l’obbligo del medesimo di riassumere il dipendente o, alternativamente, di versagli una indennità risarcitoria, secondo quanto stabilito dall’art. 8 della stessa legge n. 604.

A tale regime, detto di tutela obbligatoria, dal quale erano esclusi, in linea generale (e salvo ulteriori specifiche esclusioni), i datori di lavoro che occupassero sino a 35 dipendenti, ha fatto poi seguito la legge 20 maggio 1970, n. 300 (c.d. Statuto dei lavoratori), che, con l’art. 18, ha introdotto, per i casi di accertata inefficacia, nullità o mancanza di giustificazione del licenziamento, il regime di c.d. tutela reale del posto di lavoro, sia pure limitandone l’applicazione (art. 35 della stessa legge n. 300) alle imprese, industriali e commerciali, che occupassero più di 15 dipendenti nell’ambito dell’unità produttiva ovvero nell’ambito dello stesso comune, nonché alle imprese agricole che occupassero, in analoghe situazioni, più di 5 dipendenti. La stessa norma ha, inoltre, previsto una speciale procedura atta a garantire, nello stesso ambito di materia, la sollecita risoluzione delle controversie nelle quali è parte il lavoratore sindacalista.

La c.d. tutela reale, nei termini in cui risulta attualmente disciplinata dopo l’intervento in materia della legge 11 maggio 1990, n. 108, comporta, oltre all’obbligo di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, quello del risarcimento del danno dal medesimo subito, in ragione di una indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello di effettiva reintegrazione (e in ogni caso, non inferiore a 5 mensilità della retribuzione globale di fatto), cui si aggiunge il versamento, per lo stesso periodo, dei contributi assistenziali e previdenziali. Spetta, inoltre, al lavoratore la facoltà di richiedere, in luogo della reintegrazione nel posto di lavoro, il pagamento di una indennità sostitutiva pari a 15 mensilità della retribuzione globale di fatto.

Dai sopra menzionati interventi normativi è derivato un quadro di disciplina che, secondo le indicazioni della medesima legge n. 108 del 1990, comporta:

 

·           un’area di applicazione dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970 che riguarda tutti i datori di lavoro, imprenditori o non, nell’ambito dei previsti limiti dimensionali, ma con estensione dell’area stessa all’ulteriore ipotesi di datori di lavoro che occupino più di 60 dipendenti (art. 1);

·           un’area di applicazione della legge n. 604 del 1966, estesa ai datori di lavoro, imprenditori non agricoli e non imprenditori, che occupino sino a 15 dipendenti (sino a 5 dipendenti nei confronti degli imprenditori agricoli), ovvero che occupino sino a 60 dipendenti qualora non sia applicabile l’art. 18 della legge n. 300 del 1970, come modificato dalla stessa legge n. 108 del 1990 (art. 2, comma 1).

 

Si pensa dunque che il successo del referendum possa per un verso rendere applicabile a tutte le imprese – indipendentemente dalla soglia dimensionale – il regime vigente per quelle che non superano i quindici dipendenti, per le quali la ?sanzione? prevista per il datore di lavoro consiste nella riassunzione o in alternativa nella corresponsione di un’indennità monetaria (pari a 2,5 ? 6 volte la retribuzione mensile); per altro verso rendere necessario un successivo intervento del legislatore per colmare il vuoto legislativo relativo alla disciplina delle grandi imprese.

Il secondo quesito referendario approvato dalla Corte Costituzionale investe l’intero testo della legge 4 giugno 1973, n. 311, recante ?Estensione del servizio di riscossione dei contributi associativi tramite gli enti previdenziali”, e successive modificazioni?.

Tale legge è composta da un unico articolo, suddiviso in tre commi che stabiliscono rispettivamente che:

 

·           ?L’Istituto nazionale della previdenza sociale, l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro le malattie e l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro possono essere autorizzati dal Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, su richiesta delle associazioni sindacali a carattere nazionale, ad assumere il servizio di esazione dei contributi associativi dovuti dagli iscritti, nonché dei contributi per assistenza contrattuale che siano stabiliti dai contratti di lavoro? (1 comma);

·           ?I rapporti tra gli istituti di cui al precedente comma e le organizzazioni sindacali saranno regolati da convenzioni, da sottoporre all’approvazione del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, ai soli fini di accertare che il servizio di riscossione non sia pregiudizievole per il corrente adempimento dei compiti di istituto, che siano rimborsate le spese incontrate per l’espletamento del servizio e che gli istituti medesimi siano sollevati da ogni qualsiasi responsabilità verso terzi derivante dall’applicazione della convenzione? (2 comma);

·           ?Nei casi in cui l’esazione dei contributi avvenga a mezzo di ruoli esattoriali, per la riscossione dei contributi di cui al presente articolo si applicano le disposizioni di cui all’articolo 3, quarto comma, del testo unico delle leggi sui servizi della riscossione delle imposte dirette approvato con decreto del Presidente della Repubblica 15 maggio 1963, n. 858? (3 comma).

 

Con tale quesito referendario i promotori intendono chiedere l’abolizione della trattenuta associativa sulle buste paghe dei dipendenti dell’INPS iscritti al sindacato e sulle pensioni degli iscritti; in realtà il quesito referendario non coinvolge i pensionati perché la legge oggetto del quesito ? la n. 311 del 1973 ? riguarda solo le trattenute di riscossione dei lavoratori attivi, mentre il sistema di riscossione delle trattenute sindacali dei pensionati iscritti ai sindacati è regolato dalla legge n. 485 del 1972 (che invece non rientra nel raggio d’azione del referendum).

In conclusione, si invita a riflettere sul fatto che i referendum sociali possano in qualche modo configurare una strategia di attacco alla dignità e ai diritti delle persone, nonché rivelare un’idea di società in cui la certezza delle regole per tutti rischia di sostituirsi nella legge del più forte.

 

 

 

Intervento del dr. FRANCESCO BELLOTTI

 

Si è convinti che le riforme del mercato (e soprattutto del mercato del lavoro) siano necessarie per stare al passo con l’Europa e che, per il Paese, la maggior parte dei quesiti in materia sociale e del lavoro proposti al giudizio di ammissibilità della Corte Costituzionale rappresentino un’esigenza comunque forte per lo sviluppo della nostra società.

Si ritiene che, pur essendo stato bocciato dalla Corte Costituzionale lo strumento referendario per alcuni di tali quesiti, rimangano in ogni caso validi gli obiettivi generali da essi prefigurati: obiettivi che Confindustria da tempo sostiene ? ben prima di questa ?tornata? referendaria e a prescindere da essi. È da anni infatti che gli industriali si battono per la riforma del mercato del lavoro: posizione che ha reso quasi scontata la scelta di Confindustria di schierarsi a favore della prossima consultazione.

La riduzione dei vincoli sulle assunzioni a termine, la reale liberalizzazione del collocamento, del part-time e del lavoro a domicilio sono considerati obiettivi da perseguirsi senza indugio per eliminare quei vincoli che si ritiene gravino sulle imprese italiane e pregiudichino le opportunità di lavoro di tante persone ? soprattutto giovani; si precisa inoltre che pare opportuno recepire le direttive dell’Unione Europea in materia di lavoro senza l’aggiunta di vincoli.

Si pensa che la vera ricetta per creare occupazione sia da ricercarsi in un sistema di lavoro flessibile, infatti la decisione della Consulta dovrebbe ? a parere di molti ? rappresentare uno stimolo per gli industriali a premere ancora di più nei confronti del Governo perché vengano affrontati con tempestività e responsabilità i nodi del Paese ovvero una maggiore competitività che inevitabilmente dovrebbe passare attraverso una maggiore flessibilità.

Posto che la globalizzazione economica venga in un certo senso imposta, la sfida è da ricercarsi in primis nella decisione se restare o meno all’interno degli standards europei nel mercato del lavoro e in secondo luogo nell’acquisizione della consapevolezza che per rimanere occorre produrre e distribuire maggiore benessere.

Pare inoltre opportuno precisare che coloro che affermano che Confindustria stia facendo una battaglia per la precarietà e per la liberalizzazione dei licenziamenti distorce la realtà; è invece importante riflettere sul fatto che regole troppo rigide, come quelle che ci sono oggi sul mercato, rischiano di paralizzare lo sviluppo delle imprese. Al contrario la liberalizzazione del mondo del lavoro è finalizzata da un lato a creare maggiore competitività delle aziende e dall’altro a consentire una più elevata distribuzione del reddito.

Nel contesto sopra delineato le due fondamentali ragioni che alimentano il quesito referendario che verte sull’abolizione dell’obbligo per il datore di lavoro di reintegrare il lavoratore licenziato ingiustamente sono da ricercarsi:

 

·         da un lato, nell’esigenza di tutelare l’equilibrio interno dell’impresa;

·         dall’altro, nel bisogno di avere la certezza del costo della forza-lavoro.

 

In altre parole con tale quesito referendario non si richiede la libertà di licenziare ma si sottolinea come regole troppo rigide possano disgregare la forza di coesione dell’ambiente di lavoro. A conferma di quanto è stato detto pare opportuno focalizzare l’attenzione su due aspetti di particolare rilevanza nell’ambito degli obiettivi dichiarati dai promotori:

 

·         da un lato, la volontà di abolire la reintegrazione nel posto di lavoro, ma non il diritto a un risarcimento patrimoniale in caso di licenziamento ingiustificato poiché si è convinti che l’indeterminatezza della giustizia ? attribuibile al sistema vigente che ruota attorno all’obbligo di reintegrazione ? possa costituire un ostacolo ad una reale esplicazione delle libertà economiche. Si pensa dunque che possa costituire una potenziale soluzione per la giustizia del lavoro la sostituzione del suddetto obbligo con un indennizzo patrimoniale; a maggior ragione, se si tiene conto dell’eventualità che i lavoratori abusino dell’eccesso di tutela del lavoro, rompendo in tal modo l’equilibrio dei rapporti all’interno delle aziende, in particolare le piccole e medie imprese;

·         dall’altro lato, l’intenzione di far permanere la tutela per i licenziamenti discriminatori, ossia determinati da ostilità politica, sindacale, razziale e religiosa, trattandosi di atti nulli perché illeciti in quanto contrari ai fondamentali principi costituzionali.

 

 

 




 

PRINCIPALI APPROFONDIMENTI DEL DIBATTITO

 

 

 

v      Si riscontra chiaramente che il mondo è cambiato, tuttavia si invita a riflettere sul fatto che il problema ora è cercare di dare delle regole idonee al mutamento alla cui elaborazione partecipino attivamente tutte le parti sociali. Si ritiene che il quesito referendario sulla delega sindacale abbia una rilevante valenza politica poiché sembra configurarsi come un attacco alla libertà delle associazioni – così come risulta dall’articolo 39 ?L’organizzazione sindacale è libera??.? – in quanto si annovera tra i suoi obiettivi quello di ?colpire? le organizzazioni sindacali ?dalla parte del portafoglio?.

      Infatti oggi i datori di lavoro inviano, direttamente alle organizzazioni sindacali i contributi prelevati dalle retribuzioni degli iscritti o secondo le seguenti modalità:

 

·         la delega di pagamento: assicurava eccezionalmente al lavoratore la facoltà di delegare il datore di lavoro a pagare il contributo al sindacato, pur essendo lui stesso ? e non certo il datore ? debitore del contributo associativo;

·         la cessione di credito: è l’altra strada con la quale si ha innanzitutto una cessione del lavoratore al sindacato di una quota della sua retribuzione pari al contributo associativo dovuto; poiché da quel momento il sindacato diviene esso stesso creditore diretto del datore di lavoro (diversamente dall’ipotesi della delega), questi non può rifiutarsi di pagare.

 

Si è convinti che il fine ultimo dei promotori del referendum sia rendere veramente difficile il finanziamento del sindacato, con il ritorno all’antidiluviana colletta nonché il rischio di non potersi valere dei normali strumenti previsti per i movimenti di danaro dalle leggi civili.

Con riferimento al referendum sui licenziamenti si riscontrano alcune difficoltà a condividere l’opinione secondo cui occorre licenziare per avere la possibilità di procedere a nuove assunzioni, proprio in considerazione dei dati sul tasso di disoccupazione in Italia che è piuttosto disomogeneo. Infatti se la media è pari al 12% appare opportuno sottolineare che laddove vi è piena occupazione non occorre licenziare mentre in luoghi in cui il tasso sale fino al 20% si è convinti che la strategia idonea debba prevedere un sistema per consentire il rientro della disoccupazione entro determinati limiti.

Inoltre con riguardo ai due aspetti rilevanti nell’ambito degli obiettivi dichiarati dai promotori si ritiene da un lato che la tutela risarcitoria sia di per sé insufficiente, e dall’altro lato che il carattere discriminatorio del licenziamento sia molto difficile da dimostrare. Invero oggi il lavoratore licenziato tendenzialmente recupera il posto di lavoro perduto perché il datore non riesce a dimostrare un giustificato motivo di licenziamento e non già perché riesca a dimostrare di essere stato licenziato per discriminazione politica, sindacale o altro.

Focalizzando infine l’attenzione sul tema dei rapporti tra sindacati e Confindustria si ritiene opportuno che diventino espressione dell’incontro tra componenti della società, in funzione della mediazione tra cittadino e Stato e non tra corpi estranei ai lavoratori e agli imprenditori; in altre parole sarebbe auspicabile che la mediazione avvenisse tra corpi sociali e non tra individui e ?altri? nel contesto di una visione orizzontale del mondo del lavoro (prof. G. Scarsi, segretario provinciale CISL).

 

v      Alla luce della considerazione ? che ha riscosso un diffuso consenso ? secondo cui il mondo è veramente cambiato negli ultimi dieci anni, si pensa che i quesiti referendari siano in qualche modo l’espressione della grande difficoltà della nostra società nazionale ad adeguarsi a tale cambiamento, a fronte di una eccessiva lentezza del sistema politico a precisare le direttrici per governare tale cambiamento. Del resto, lo strumento referendario è di per sé considerato da molti l’estrema ratio che ha assunto il carattere della necessarietà proprio a seguito dei vani tentativi di dialogo tra le parti sociali e politiche (anche) sulle questioni relative al mercato del lavoro.

Si riscontra infatti che anche in sede parlamentare sono state poste in essere ben poche iniziative funzionali al cambiamento delle regole sul lavoro che tendono a paralizzare lo sviluppo delle imprese (sig. V. Ghisolfi, presidente Unione Industriale Alessandria)

 

Ø                Si sottolinea come incentivare liberalizzazione del mercato del lavoro non significhi creare precarietà, bensì obiettivo rilevante di tale proposta è quello di distribuire un alto reddito ai lavoratori e contribuire in tal modo a creare le condizioni per vincere la concorrenza, individuabili principalmente nei seguenti aspetti:

 

·         rispetto delle norme minime di tutela dei diritti degli individui;

·         creazione di un mercato del lavoro in cui la solidarietà non costituisca un costo non facilmente gestibile.

 

Si tratta di una problematica urgente se si considera che tra il 1998 e il 1999 gli investimenti diretti esteri sono passati da 3,2 a 2,3 miliardi di Euro principalmente perché sembra che l’Italia abbia dato l’impressione di essere un Paese economicamente poco ?interessante?. Si precisa inoltre che per risolvere tale spinoso problema le imprese sentono il bisogno di stringere una forte alleanza con il sindacato per creare buone opportunità di formazione per i giovani e indurli a riflettere sul fatto che il mercato del lavoro oggi richiede personale che compia periodicamente un processo di apprendimento (dr. F. Bellotti).

Ø                Si ritiene lecito ribadire un concetto di fondo: si sta rivendicando un sistema di regole che mediante l’obbligo di reintegra tuteli un lavoratore ingiustamente licenziato. Con particolare riferimento alle ragioni di carattere economico addotte dai promotori – in virtù delle quali l’indeterminatezza della giustizia del lavoro che ruota attorno ad un obbligo di tal genere contribuisce ad ostacolare lo sviluppo dell’economia italiana ? pare opportuno invitare a riflettere sul fatto che la legge Bassanini prevede l’obbligo della conciliazione tra le parti (datore di lavoro e lavoratore) nelle sedi rappresentative prima di ricorrere alla Magistratura. Si ritiene inoltre lecito che il risarcimento patrimoniale – che nella proposta dei promotori dovrebbe sostituire l’obbligo di reintegra ? non escluda automaticamente l’accesso alla Magistratura per dibattere circa l’esatta quantificazione.

La fonte di maggiore preoccupazione è tuttavia la problematica relativa alla precarizzazione del lavoro giovanile e a tal proposito si precisa che per intraprendere un’impresa in un’area ad alto tasso di disoccupazione vi sono particolari agevolazioni in ordine alla tipologia dei contratti di lavoro grazie ai quali è possibile avviare il processo produttivo senza neanche un lavoratore assunto a tempo indeterminato e quindi chiudere senza dover licenziare nessuno (dr. G. Cremaschi).

 

v      Si riscontra (con preoccupazione) come il quesito referendario incida sui diritti di una sola parte della società italiana: quella dei lavoratori dipendenti (dr. W. Giacchero).

v      Si riscontra la diffusione della consapevolezza che la collaborazione tra datore di lavoro e lavoratore per lo sviluppo e la competitività dell’impresa e una progressiva diminuzione delle situazioni conflittuali ? specialmente nelle piccole medie imprese (dr. R. Guala).

v      Si rileva come il problema della disoccupazione sia grave e si coniughi tendenzialmente con la conclusione secondo cui il lavoro c’è dove sussiste l’impresa che lo crea; peraltro nel contesto di tale visione piuttosto pragmatica si sottolinea l’importanza della formazione di personale-imprenditore all’interno dell’impresa la cui competenza si attribuisce principalmente alla collaborazione tra sindacato e datore di lavoro. Si aggiunge infine che la filosofia – considerata da molti ?rigida? – con cui il sindacato affronta tale problematica pare contribuisca ad alimentare l’incapacità dell’opinione pubblica ad accettare l’orientamento promosso dal Governo per adeguarsi ai mutamenti dell’economia (dr. R. Lenti).

v      Si ritiene che vi sia stata una sorta di strumentalizzazione del rischio di giungere, se vincessero i sì, alla rottura definitiva delle relazioni tra le parti sociali, alla luce del fatto che a tutt’oggi continuano i contatti sia a livello nazionale che provinciale. Si è inoltre convinti che la flessibilità del lavoro non comporti automaticamente l’aumento del tasso di disoccupazione poiché si riscontra come nei Paesi in cui la flessibilità è maggiore, minore è il tasso di disoccupazione. I dati statistici in qualche modo sono a sostegno di tale tesi poiché risulta che nei giovani tra i 19 e i 30 anni ben il 45% è disposto ad accettare rapporti di lavoro sprovvisti di tutela, mentre soltanto l’8% mostra di essere contrario ad intraprendere un tale tipo di rapporto (dr. M. Bramaldi).

 

Ø                Si pensa che si stia snaturando l’istituto referendario, considerato maggiormente idoneo alle decisioni che riguardano una ristretta parte del territorio (quale ad esempio un quartiere) oppure grandi questioni civili; si precisa quindi che in questo caso tutti i cittadini votano per la decisione di una quesito che invece riguarda una sola parte di essi. Si ritiene giusta la considerazione secondo cui occorre collaborazione tra sindacati e imprenditori per creare condizioni di maggiore competitività economica; si sottolinea tuttavia che pare opportuno tenere sempre in considerazione il fatto che l’Italia presenta una situazione industriale disomogenea per cui in una parte si riscontra una sovraoccupazione mentre nell’altra sottoccupazione.(dr. G. Cremaschi).

Ø                Si fa notare come tra gli orientamenti macro-economici e politici adottati dalla Svezia e dalla Finlandia ? ritenuti Paesi ?campioni? del welfare state e  protagoniste negli ultimi dieci anni  di un rilevante sviluppo economico ? siano stati messi in discussione proprio lo stato sociale e i modelli tradizionali del mercato del lavoro (dr. F. Bellotti).

 

Scarica File