AA. VV., Diario di Repubblica. Le parole del 2005, Gruppo editoriale L’Espresso, 2005.


 


È da poco uscito in edicola un interessante volume, pubblicato da Repubblica a prezzo appetibile (12.90 euro), che raccoglie tutti i ?Diari? pubblicati dal quotidiano nel corso del 2005. Come sottolinea il direttore Ezio Mauro, il Diario di Repubblica (che esce periodicamente nelle tre pagine centrali del giornale) nasce per aiutare il lettore a orientarsi nell’intelligenza degli avvenimenti, per rispondere giornalisticamente a un bisogno di sapere organizzato, a una necessità di conoscenza. Ogni volta viene scelta una parola, emblematica di un periodo, nucleo di una discussione pubblica o di una vicenda politica in atto, la quale viene non solo declinata in termini di attualità, ma approfondita in senso storico. Il libro costituisce dunque una sorta di miscellanea, una micro-enciclopedia di qualità: ogni singola voce contiene una definizione d’autore della parola-chiave, lo svolgimento del tema da parte di tre specialisti in materia (scelti spesso al di fuori delle firme del giornale), una nutrita bibliografia e filmografia e alcune citazioni storiche in appendice, il tutto corredato da immagini che testimoniano una ricerca iconografica non banale. Il Diario, consultabile sul sito repubblica.it, costituisce una ricca e approfondita strumentazione culturale, che fa uscire il quotidiano dalla sua naturale dimensione di ?effimero?. Le parole del 2005, per citare il sottotitolo del libro, sono le più disparate e sono riproposte in ordine di uscita, con un indice iniziale che ne facilita la consultazione. Si va dai personaggi storici o della cultura e della letteratura (Alessandro Magno, Franco, Che Guevara, Pasolini, Sartre, Don Chisciotte), a fatti storici o di cronaca (Norimberga, Watergate, Tatcherismo, Perestrojka), ad argomenti geografici e ambientali (India, Iran, Libano, Medio Oriente, Tsunami, uragano), ad approfondimenti su categorie o termini storico-filosofici (dittatura, monarchia, socialdemocrazia, protezionismo, fede, relativismo, scientismo, legalità). (a.s.)


 


E. Bellone, La scienza negata, Codice Edizioni, Torino 2005.


 


L’autore, già brillante ospite dei Giovedì culturali, ha pubblicato in questo agile volume le riflessioni che ha maturato sullo stato della ricerca nel nostro Paese. Con toni pacati ma inesorabili argomenta sul fatto che, nel generale atteggiamento antiscientifico che caratterizzerebbe la cultura del Novecento, il caso italiano costituisce un suicidio non solo scientifico ma politico ed economico. Sembra chiedersi come sia possibile che l’atteggiamento antiscientifico, in quanto antirazionalistico, non sia stato sufficientemente denunciato dagli stessi uomini di scienza laddove si faccia una ricognizione tra autori, largamente pubblicati e lusingati, che hanno attribuito alla matematica e alle scienze l’origine di tutti i più grandi crimini del Novecento. A suffragare la sua tesi sul declino dell’Italia, sono gli indici statistici relativi alla ricerca e alla innovazione. ?La consolazione è fallace: là dove l’Italia è al 45° posto, la Germania è al 14° e la Francia al 20° […] per le reali capacità di sviluppo e innovazione? (p. 117) L’Italia sembra consolarsi del fatto di essere al terzo posto per la diffusione dei telefonini, ma in realtà quanti ?hanno predicato sulle modalità alienanti e pericolose della conoscenza scientifica? (p. 118) hanno ormai raggiunto un risultato difficilmente reversibile. (f.b.)


 


A. Del Boca, Italiani, brava gente?, Neri Pozza, Vicenza 2005.


 


Il volume di Del Boca ripercorre alcune delle pagine più nere della storia d’Italia, dalla  ?guerra al brigantaggio? fino alla ?resa dei conti? del secondo dopoguerra. Si tratta di pagine legate soprattutto alle guerre coloniali, alle due guerre mondiali, oppure agli episodi di ?guerra civile? nel passaggio dal fascismo alla Repubblica, dalle quali emerge  un’immagine collettiva assai diversa dal luogo comune ?italiani, brava gente? con cui spesso amiamo scusare le nostre scarse capacità militari, la nostra faciloneria, oppure  tentiamo di esaltare alcune nostre supposte virtù, come la simpatia, la generosità o l’umanitarismo. A casa nostra e in giro per il mondo abbiamo trucidato prigionieri, massacrato le popolazioni civili, utilizzato armi proibite dalle convenzioni internazionali, abbiamo deportato intere popolazioni in campi di concentramento con una mortalità da fare invidia ai lager nazisti, abbiamo usato la tortura e siamo stati ottimi collaborazionisti. Tuttavia i crimini di guerra, come ad esempio quelli imputati ai vari Roatta, Graziani e Badoglio, non sono quasi mai stati riconosciuti e perseguiti; anche il pur duro trattato di pace inflitto all’Italia dagli Alleati (10 febbraio 1947 – oggi ?giorno del ricordo?) è stato considerato dai più, grazie forse alla corta memoria, come del tutto arbitrario e immotivato. Dove eravamo? Una compiacente rimozione collettiva continua a sollevarci dalle nostre responsabilità, dal dovere di fare i conti con la storia, e ci consente tuttora di baloccarci con il mito degli ?italiani brava gente?. (g.r.)


 


G. Preterossi (a cura di), Le ragioni dei laici, Laterza, Roma Bari 2005.


 


Nel dibattito attuale su laicità e invadenza ecclesiastica nella cultura politica del nostro paese si inserisce il bel volume collettaneo Le ragioni dei laici , dove per laici si intendono tutti coloro ?che ? non importa se agnostici, atei o credenti ? rifiutano di fondare la politica, le istituzioni, la convivenza civile su basi teologiche, fideistiche; tutti coloro che nel discorso pubblico fanno proprio un orizzonte etico-culturale non ?assoluto’, che contempli la pluralità delle ragioni e degli argomenti, e l’apertura critica verso di essi; tutti coloro che non sono disposti a transigere sui diritti di libertà e sulla neutralità dello Stato verso ogni confessione religiosa, ciò che non significa affatto ostilità, ma anzi garanzia per tutti anche della libertà religiosa.? Nel volume compaiono scritti di Preterossi, Bodei, C. Galli, Remotti, Ferrone, Margotta Broglio, DeMauro, Magris, Scoppola, Riccardi, Fouad Allam, Foa, Dominijanni, Veronesi  (in corsivo gli autori che sono già stati relatori qui da noi). Personalmente è quanto di più convincente ho letto sul tema. (g.g.)


 


F. Bimbi, Un’agenzia indipendente per la valutazione, RESET, I-II, 2006, pp. 64-68.


S. ZapperiF. Sylos Labini, Quando l’università invecchia, Le Scienze, II, 2006.


 


Il problema dell’Università italiana, stressata da riforme, controriforme, inadeguatezze economiche e incertezze strategiche, continua a ripresentarsi sotto diversi angoli visuali. Il primo (della Bimbi) parte dalla constatazione, non nuova invero, che ?il nostro sistema università-ricerca, è diseguale, male organizzato, sottofinanziato, chiuso ai giovani di talento: non risponde né alla crescita della domanda d’istruzione, né alle necessità di una competizione scientifica globale?. Per affrontare questi nodi  due sono gli obiettivi: ?la convergenza tra i sistemi europei di formazione e  l’internazionalizzazione della ricerca. Il primo richiede confrontabilità dei curricula e comparabilità delle competenze; il secondo il raggiungimento di standard di qualità in ogni area disciplinare?. Il pregio del contributo risiede nell’articolazione e argomentazione dei vari passaggi. Ben palese nel titolo, il secondo articolo documenta, anche con confronti internazionali, come le conseguenze dello squilibrio demografico tra i docenti, stia per abbattersi ? tsunami che arriva da lontano ? sull’università italiana. Anche l’editoriale dello stesso fascicolo, a firma Bellone, si appunta amaramente sulle ?due leggi di conservazione? dell’università. (d.f.)                                                                  


 


S. Luzzatto, Bruno Vespa, il contastorie, MicroMega, II, 2006.


 


L’articolo di Sergio Luzzatto ? storico di grande valore ? al di là dell’argomento specifico  di cui si occupa (la squallida falsificazione dei fatti di Via Rasella operata da Bruno Vespa negli ultimi due suoi libri), si raccomanda per la sua capacità di evidenziare quali siano i  meccanismi subdoli, ma purtroppo assai efficaci, di produzione del falso storiografico,  ovvero di uso mediatico e ideologico della storia. Fortunatamente il falso di Vespa è stato  contestato proprio da uno dei protagonisti della vicenda di Via Rasella (il gappista  Rosario Bentivegna) che ha saputo ribattere punto per punto ? in un carteggio ora in pubblicazione presso le edizioni Manifestolibri ? tutti gli stravolgimenti e le forzature. Luzzatto ripercorre sinteticamente la polemica tra Vespa e Bentivegna, esplicitando ? oltre alla pochezza culturale dello stesso Vespa ? la natura profonda del più generale disegno  revisionistico mirante ad assimilare qualunquisticamente le varie parti in causa, mirando ad appiattire e a confondere in categorie amorfe tutti i punti di vista, i progetti politici, i valori di coloro che in passato si sono schierati e combattuti. Indubbiamente la produzione reiterata di simili ?blob? storici non può che risultare funzionale alla diffusione della menzogna, alla distruzione delle capacità critiche e delle identità storiche, il tutto allo scopo di costruire una beata massa di consumatori di ?storie?. (g.r.)


 


G. Paoloni, La battaglia della plastica. Ascesa e declino di una grande industria italiana, Le Scienze, I, 2006, pp. 98-105.


 


Si tratta di una documentata ?ricostruzione della parabola dell’industria chimica in Italia, tra premi Nobel, intuizioni manageriali, errori strategici e intrecci politici e finanziari?. L’occhiello dell’articolo bene evidenzia il dramma: la parabola tra la creatività scientifica e industriale, il decadimento successivo culminato con la catastrofe finanziaria di fine anni Ottanta, a seguito delle sciagurate manovre politico finanziarie degli ?scalatori del momento? intrecciatesi con Tangentopoli. Eppure nel secondo dopoguerra la Montecatini è gruppo d’eccellenza, che coglie l’opportunità di investire sui polimeri , utilizzando la geniale invenzione di Giulio Natta (qui in sintesi illustrata). Ma l’?assalto alla diligenza? inizia già negli anni Sessanta, con gli errori manageriali conseguenti alla fusione Montecatini Edison, promossa da Cuccia: due culture aziendali che non si integrano? fino ad arrivare nel 1997 alla cessione dell’attività della plastica alla Shell. (m.f.)


 


Politica Internazionale: elezioni in Palestina.


 


F. Venturini, Il kalashnikov nelle urne, Il Corriere della Sera, 24 gennaio 2006.


Scritto quando il successo di Hamas nelle elezioni in Palestina era solo una possibilità, denunciava il trionfo dei fondamentalisti in tante nazioni del mondo arabo. In palese riferimento critico alla tesi della democrazia da esportare propria di Bush, si chiedeva: ?Che la democrazia vada costruita prima, e non soltanto attraverso le urne?? (f.l.)


 


G. Riotta, Europa, niente sconti all’odio, Il Corriere della Sera, 27 gennaio 2006.


Odio implacabile e omicida di innocenti, azione sociale meritoria tra la povera gente palestinese e reazione alla corruzione hanno determinato la vittoria di Hamas in Palestina. Come già gli Hezbollah in Libano e i partiti islamici in Turchia, anche quelli di Hamas potrebbero mutare, una volta al governo. ?L’Unione (Europea) deve confrontare Hamas con risolutezza, pronta a cogliere ogni apertura, ma inflessibile davanti a odio, violenza, terrore. È l’unica strada, per impervia che appaia, verso la remota pace?. (f.l.)


 


A. Cazzullo, Islam e democrazia, le elezioni non bastano, Il Corriere della Sera, 27 gennaio 2006.


Intervista a Giuliano Amato. Contro il trionfo di Hamas non servono le ?sanzioni?, sempre favorevoli ai dittatori. Si dimostra fallace la dottrina Bush sull’esportabilità della democrazia, che non è solo diritto di voto, ma anche garanzia delle minoranze e rinuncia alla violenza in vista della pace. È fatta, insomma, di valori condivisi fondamentali, non solo di regole del gioco. Non è del tutto pessimista sul futuro. ?Non sarebbe la prima volta che un movimento armato si purifica nella democrazia. Sta accadendo agli albanesi in Macedonia, ad esempio?. (f.l.)


 


L. Cremonesi, Il leader di Hamas: ?Legittimi i kamikaze?, Il Corriere della Sera, 14 gennaio 2006.


Intervista con il leader di Hamas, Mahmoud Zahar, alla vigilia della sua vittoria elettorale in Palestina. La linea dura verso Israele non era rinnegata affatto, ma già emergevano talune interessanti contorsioni politiche. ?Chi parla con loro (gli israeliani) è destinato alla sconfitta. Ma lo potremmo fare via intermediari: in Europa, nel mondo arabo, tramite gli americani. Lo stesso Abu Mazen ? il presidente palestinese ? potrebbe occuparsene?. (f.l.)


 


AA.VV., Dopo le elezioni in Palestina, Il Diario di Repubblica, 30 gennaio 2006.


Traendo spunto dall’esito delle elezioni in Palestina, il quotidiano ?La Repubblica? ha dedicato uno dei suoi Diari (monografie di tre-quattro pagine, con altrettanti articoli di specialisti) al tema della debolezza della democrazia, ovvero della sua espugnabilità da parte dei movimenti anti-sistema che, ottenendo il potere con il processo democratico di conquista della maggioranza, lo usano poi per instaurare regimi totalitari. Caso emblematico quello di Hitler nel 1933. Lo esamina Carlo Galli, già più volte nostro ospite in Associazione. Renzo Guolo, che ci auguriamo di avere a breve tra noi, critica le posizioni dei movimenti teo-con statunitensi, che hanno ispirato la teoria della esportabilità della democrazia del governo americano. Infine K. Fouad Allam si interroga sulla compatibilità tra Islam e democrazia, analizzando la situazione palestinese alla luce dei precedenti storici di Algeria, Turchia ed Egitto. (g.g.)


 


C. Augias, Dio ci guarda dal primo momento della vita, La Repubblica, 12 – 18 gennaio 2006.


 


Con qualche levità teologica, ma con altrettanto grande tempestività politica, papa Ratzinger ha ricordato recentemente che Dio ci guarda costanemente e, ancor più, conosce già tutto intero il destino di ciascuno di noi, fin dal momento della fecondazione. Si tratta, come ognun sa, di uno dei problemi più spinosi della teologia, intorno al quale si è arrovellato il pensiero religioso di ogni tempo e civiltà. Tra le conseguenze di questa uscita, segnalo un dibattito, veramente minimale, ma interessante, svoltosi nella rubrica ?Lettere? di Repubblica. Un lettore veneziano ha scritto ad Augias riproponendo, in forma attuale, la scandalosa domanda di Giobbe. A sua volta Augias rispondeva ripercorrendo per sommi capi il dibattito filosofico intorno alla teodicea e lasciando aperta l’angosciosa domanda intorno all’indifferenza divina. La settimana successiva, in una bella lettera, un pastore valdese riprendeva l’argomento avanzando l’ipotesi ? a partire dal rabbino Kushner ? che ?Dio non può essere queste tre cose insieme: buono, giusto e onnipotente. Se è onnipotente non è né buono né giusto. Se invece è buono e giusto dobbiamo concludere che non sia onnipotente ?. La risposta alla domanda di Giobbe non c’è ? conclude il pastore. Occorre allora stare accanto a chi soffre ?accettandone, e talvolta perfino condividendone, le maledizioni contro Dio?. Poco consolante, ma chiaro e distinto. (g.r.)


 


M. De Caro, Se Dio sa tutto non sono libero?, Il Sole 24 Ore, 29 gennaio 2006.


 


Da qualche tempo si è ripresentata al dibattito culturale una serie di vecchi e intriganti problemi di natura teologica e filosofica: come è possibile conciliare un dio onnisciente con il nostro libero arbitrio? Tale questione è intrinsecamente legata a un’altra: come può un dio buono e onnipotente coesistere con il male (morale e naturale)? In uno stile lucido, De Caro offre una panoramica di tali ?questioni mortali?, sottolineando la loro centralità non solo in contesto teologico o di filosofia teista ma anche per pensatori di impostazione laica e naturalista. E come sempre capita per i grandi temi del pensiero, è difficile dire di aver raggiunto un risultato stabile; c’è chi pensa (addirittura) che sia impossibile di principio giungere ad una soluzione. Se il problema della libertà e dell’onniscienza divina ha un sapore forse un po’ teorico, per gli addetti ai lavori, questo certamente non vale per la drammatica questione della teodicea, ovvero del ?da dove il male, se Dio è buono??. Anche in questo caso però vale la raccomandazione di fuggire da semplicistiche soluzioni e apprezzare lo svolgersi dell’argomentazione razionale. In questo senso mirabile (e densissimo) è Armin Kreiner, Dio nel dolore, Queriniana, Brescia 2000 dove gli antichi quesiti della teodicea vengono letti alla luce di soluzioni vecchie e nuove in un esempio di notevole profondità di analisi. (c.d.f.)


 


M. Dapor, Scopri chi sei con il dilemma del prigioniero, La Stampa tSt, 11 gennaio 2006.


 


La teoria matematica dei giochi, che ha già fruttato ben due premi Nobel, ancorché condivisi tra cinque economisti (J. Nash, R. Selten, J. Harsanyi, premiati nel 1994 per i loro contributi all’analisi degli equilibri nei giochi non competitivi, e T. Shelling e R. Aumann premiati lo scorso anno, il primo, per il suo contributo alla comprensione della strategia nei conflitti, e il secondo, per aver fornito una intelaiatura comune a tutte le scienze sociali), ha consentito di chiarire che, in un mondo di individui egoisti e in assenza dell’imposizione di una autorità superiore, è sufficiente che in piccoli gruppi si affermi una strategia cooperativa basata sulla reciprocità, perché col trascorrere del tempo essa si estenda all’intero sistema. Questo risultato, che ha trovato importanti conferme anche nel campo della teoria evoluzionistica (la cooperazione consente una maggiore sopravvivenza rispetto alla logica del ciascuno pensi per sé) è stato ottenuto simulando al calcolatore i processi della collaborazione: se entrambi i giocatori scelgono di cooperare come prima mossa e se per ogni mossa successiva entrambi scelgono di agire come ha agito l’altro giocatore, la strategia della cooperazione è vincente. (b.s.)


 


F. Peiretti, La coda più vicina è più veloce, La Stampa tSt, 18 gennaio 2006.


 


A chi non è capitato di ritenersi sfortunato perché ogniqualvolta si trovi a dover scegliere, al supermercato, al casello dell’autostrada, alla biglietteria della stazione, quale sia la coda giusta, cioè quella più breve, gli capita sempre quella sbagliata? Dopo una simpatica spiegazione illustrata del perché al supermarket bisogna sempre aspettare, e del motivo per il quale quando si percorre un’autostrada trafficata ci si ritrovi improvvisamente bloccati in coda e poi, inspiegabilmente il traffico riprenda a scorrere, il matematico Federico Peiretti ci avverte: ?Peccato che la matematica sia poco amata, potrebbe aiutarci a vivere meglio?. Giuro che adesso che conosco il perché, la prossima volta che mi ritrovo in coda, anziché mettermi a contare mi metterò a cantare! (b.s.)


 


G. De Rita – L. Diotallevi, Stato assente, giacobini all’assalto, Il Sole 24 Ore, 25 gennaio 2006.


 


Primo di un viaggio in sei puntate sulle trasformazioni in atto in Italia e sulle criticità diffuse, condotto da Il Sole 24 Ore attraverso il Censis, l’articolo pone in risalto la crisi dello Stato, per effetto di carenza di risorse economiche conseguenti a sprechi nella gestione e a incapacità di rimodellare la macchina statale nel nuovo contesto dell’evoluzione sociale, con riforme solo nominali o mezze riforme che hanno amplificato gli effetti negativi. Lo Stato dell’Otto-Novecento come soggetto generale di sviluppo ? avendo prodotto importanti risultati quali l’unificazione, l’ordine interno e il prestigio internazionale, l’industrializzazione, grazie a una attiva politica economica e al ruolo della mano pubblica, l’alfabetizzazione, la salute e l’emancipazione civile ? ha ceduto il passo a una organizzazione che è sempre meno efficiente ed efficace, nonostante la sua confermata imponenza burocratica, comprese le folte schiere di pubblici dipendenti, al di là di appena più che formali ventate antistataliste e federaliste. In altre parole, secondo gli autori è sempre più evidente il distacco tra organizzazione pubblica e ambiente sociale, nel momento in cui, senza nostalgici richiami al passato, si conferma che una società avanzata e con una diversificata presenza di interessi e soggetti difficilmente potrebbe funzionare senza un maturo sviluppo delle funzioni istituzionali, da innovare e da snellire. (gu.b.)


 


N. Rubini, L’Italia e il rischio Argentina, www.lavoce.info, 31 Gennaio 2006.


 


Ampia sintesi del discorso di Nouriel Rubini pronunciato a Davos che ha suscitato le proteste con  insulti di Tremonti  e pubblicato per esteso sul blog personale dell’autore. Nella sostanza ribadisce argomentandola, punto per punto, una tesi che, da qualche tempo, da più parti ci viene prospettata: con questo tipo di politica economica, in mancanza delle riforme necessarie, è possibile che entro i prossimi cinque anni l’Italia debba uscire dall’Unione Monetaria e tornare alla lira ripudiando il debito denominato in euro. Siamo dunque sostanzialmente candidati a ripetere l’esperienza dell’Argentina. Le cause: perdita di competitività, diminuzione delle esportazioni, crescita del deficit e conseguentemente del debito a livelli non più sostenibili. La bassa crescita del pil è stata per ora mascherata, come per altri paesi europei, dalla bolla immobiliare, che una volta scoppiata renderà ancora più evidenti problemi non rinviabili. L’uscita dell’Italia dall’Unione non sarebbe comunque indolore anche per i nostri partner, in quanto la bce dovrebbe affrontare la crisi di solvibilità conseguente al ripudio del debito italiano stampando moneta. Nouriel Rubini attualmente è professore associato presso il Departments of Economics and International Business and Stern School of Business della New York University. Dal 1997 è anche Associate Editor del Journal of International Economics. (m.r.g.)


 


Rapporto Eurispes 2006, L’Italia non cresce più, www.rassegna.it.


 


È stato presentato a Roma, in data 27 gennaio, il Rapporto Eurispes 2006. Dalla ricerca emergono molti spunti di riflessione sulla situazione economica italiana: diversi i settori in crisi, sempre più circoscritte le note positive. Tra i dati presentati spiccano la crescita del tasso d’inflazione complessiva (23,7% negli ultimi quattro anni, con relativa erosione del potere d’acquisto), il calo complessivo della produttività lavorativa (scesa del 10,8% nell’ultimo decennio) e la crescita delle famiglie povere di 300mila unità (con ulteriori 8 milioni di persone a rischio per il futuro, ben l’11% delle famiglie totali). Nel tentativo di far fronte a questa crisi il credito al consumo in soli dodici mesi ha registrato un’impennata del 23,4%, spesso indirizzato all’acquisto di beni di prima necessità. A preoccupare per il futuro, oltre alla crescita quasi nulla del pil (l’incremento si è attestato su valori compresi tra lo 0,1% e lo 0,2%) è come sempre il settore della ricerca, con un conseguente e progressivo allargamento del divario tra l’Italia e il resto del mondo sul piano della competitività. Di contro, analizzando la mappa della distribuzione della ricchezza in Italia, emergono le categorie che hanno goduto i maggiori benefici dalla congiuntura economica: il settore finanziario, quello amministrativo, immobiliare e dei servizi alle imprese. Salgono anche i commercianti all’ingrosso e al dettaglio, produttori e rivenditori di beni di lusso, nonché liberi professionisti appartenenti ai settori sopra elencati, in grado di sfruttare il ciclo economico di elevata inflazione per adeguare in maniera più che proporzionale onorari, tariffe e parcelle professionali. Il Rapporto completo verrà pubblicato in tempi brevi sul sito dell’Eurispes (http://www.eurispes.it/index.asp). (m.m.)


 


 


R. Calvanese – C. Dominelli – D. Lusi – A. Marini – G. Parente, Tra mattatoi e casinò fioriscono le Iri locali, Il Sole 24 Ore, 25 gennaio 2006.


 


L’articolo, il primo di una serie, affronta il tema del cosiddetto neo-socialismo municipale, formulando, in premessa, un rilievo critico, sintetizzato nella formula ?Gli enti territoriali tendono a mantenere il controllo anche dove non sarebbe necessario e svolgono funzioni di gestione al posto di attori privati qualificati?. Si tratta di un forte giudizio di merito, che peraltro non viene sviluppato e argomentato, al pari delle tesi contrarie che valorizzano invece gli effetti positivi dell’interventismo pubblico per promuovere lo sviluppo economico locale. L’articolo è invece utile in quanto presenta un quadro ampio e dettagliato delle partecipazioni detenute dalle Amministrazioni Provinciali nelle società pubbliche, locali e non. In particolare, nel settore autostradale è rilevante la posizione della Provincia di Milano, con oltre la metà del capitale sociale della Milano – Serravalle (oggetto di roventi polemiche con il Comune di Milano, altro azionista di rilievo della società), oltre alle partecipazioni di minoranza  in altre società autostradali. Per gestire in modo coordinato le partecipazioni, nell’ottica della realizzazione delle grandi opere stradali, la Provincia di Milano ha conferito i pacchetti azionari in una holding. Analogo modello di holding, in questo caso plurisettoriale, si registra con la Livorno Sviluppo spa. Nel medesimo settore autostradale detengono partecipazioni, tra le altre, anche le Province di Savona, di Imperia e di Napoli. Venendo al comparto aeroportuale (dove il Comune di Milano esercita un ruolo rilevante con oltre l’80% del capitale della sea per la gestione degli aeroporti di Malpensa e Linate, società partecipata anche dalla Provincia di Milano), si evidenzia il ruolo delle Province di Roma, di Agrigento e del Friuli nell’aeroporto di Ronchi dei Legionari. Accanto a queste aree di intervento, che sono coerenti con l’ambito di competenza delle province in campo infrastrutturale e della promozione territoriale, l’articolo segnala poi una miriade di partecipazioni in settori marginali e di nicchia, quali le terme (ad esempio la Provincia di Forlì – Cesena con le Terme di Castrocaro e la Provincia di Parma con Salsomaggiore), la gestione delle tonnare, il macello, le case da gioco (Casinò di Campione d’Italia e Casinò di Sanremo, quest’ultimo partecipato dalla Provincia di Imperia) e le società operanti in svariati ambiti culturali. Il quadro presentato offre un interessante panorama per sviluppare analisi e valutazioni sul sistema economico locale e sul ruolo delle istituzioni locali. (gu.b.)


 


Presentiamo, di seguito, altre segnalazioni (corredate di abstract) sull’argomento.


 


Ø       D. Bellini, Enti locali e fondazioni bancarie, in Aziendaitalia, I, 2006.


 


Ø       S. Bocci, La governance delle società di servizi pubblici: le scelte sui controlli, Il controllo nelle società e negli enti, IV-V, 2005.


 


Ø       A. Maccaferri, L’impresa della generosità, Il Sole 24 Ore, 26 gennaio 2006.


 


 


J.F. AugerauLa crisi dell’energia rilancia il reattore nucleare di quarta  generazione, Le Monde, 25 gennaio 2006.


 


L’articolo descrive, senza entrare nei dettagli, lo stato dell’arte della tecnologia nucleare e le decisioni dei nostri cugini d’oltralpe. È riportata una cartina con la distribuzione delle centrali nucleari in Europa e una breve descrizione delle ?generazioni? delle centrali nucleari. Emergono dalla lettura alcuni spunti che possono essere d’aiuto alla riflessione sulle fonti energetiche da privilegiare. Tutte le forme di energia, nessuna esclusa, sono da prendere in considerazione. Gli esperti prevedono una grossa crescita del nucleare nei prossimi decenni. In questo campo occorre studiare e progettare con decenni di anticipo rispetto alle applicazioni. Le future centrali nucleari non produrranno solo energia ma serviranno, ad esempio, a dissalare l’acqua marina. Sarebbe insensato, per un paese, pensare di dedicarsi da solo al progetto di un nuovo reattore nucleare. (b.b.)


 


J. Thornhill, The View of the Future from Davos, Financial Times, Europe Edition, 31 gennaio 2006.


 


Il quotidiano economico londinese offre un’interessante visuale dall’interno dei lavori del Forum Economico Mondiale, recentemente conclusi a Davos, in Svizzera. Thornhill si concentra fin dall’inizio sui nodi del dibattito economico: da un lato, la crisi del modello globalizzante, contraddetto dalla ripresa del vigore dei mercati regionali e infra-regionali; l’inevitabile compressione del tempo economico e la conseguente difficoltà di adattamento da parte delle imprese tradizionali. Dall’altro, la consapevolezza di trovarsi alle soglie di una rivoluzione economica la cui importanza risulta comparabile con quelle del Rinascimento europeo e dell’Età industriale. Di fronte a questo scenario complesso e di difficile previsione, gli interlocutori del Forum tentano di proporre strade percorribili. Tra le alternative, una sembra raccogliere maggior consenso: la sfida, avvertita come urgenza, di individuare e valorizzare nei protagonisti dell’economia il talento di saper costruire sinergia e gruppi di lavoro motivati che possano offrire valore aggiunto all’impresa contemporanea. La professionalità viene dunque invocata non già come contratto mercenario, ma come missione, dove lealtà e abnegazione all’azienda sono condizioni imprescindibili. Una tendenza moralizzante alla quale tuttavia non può che sottendere un imperativo di profitto, sottolineato dalla provocazione di Larry Page, presidente di Google: ?[…] emancipare il mondo dalla povertà costituisce una enorme opportunità di business?. (l.f).


 


Kofi A. Annan, Un cambio de rumbo en Darfur, El Pais, Edición Europa, 3 febbraio 2006.


 


Il segretario generale delle Nazioni Unite interviene sulla difficile situazione in Darfur, da molti considerata come la più grande tragedia umanitaria degli ultimi anni. Il quadro delineato è gravissimo: due milioni di rifugiati; oltre tre milioni di persone che dipendono dagli aiuti delle organizzazioni umanitarie per la loro sussistenza; recrudescenza degli scontri nonostante l’accettazione del cessate il fuoco; tensioni tra il governo sudanese e il vicino Chad, che lo accusa di armare i ribelli sul suo territorio. Mentre il Consiglio di Sicurezza dell’ONU si sta preparando ad approvare una risoluzione che permetta la transizione dalle attuali forze armate dell’Unione Africana ai caschi blu, le aspettative dei soggetti coinvolti sono rivolte all’assemblea di Addis Abeba, dove si riuniranno il prossimo 20 febbraio gli stati donatori che dovrebbero garantire la copertura finanziaria necessaria alla missione di pace. L’attenzione di Annan si concentra infine sull’urgenza di un reale accordo politico tra i ribelli, la milizia Janjaweed e le forze governative sudanesi quale condizione necessaria al successo del mandato ONU e al graduale rientro di milioni di profughi alle regioni di appartenenza. (l.f.)

Scarica File